Appunti sul fallimento della #BreBemi e perché anticipa il modello Expo

1) 20 anni di progetto per collegare in 62km Brescia ovest a Melzo

2) il costo previsto di 866mln è lievitato a 2,4mld..e l’investimento che era (nelle intenzioni) completamento privato ha richiesto come stampella detrazioni fiscali

3) al di là che non ci sia un solo benzinaio, segnaletica in ingresso né controlli tutor non è corretto dire che non esistono aree sosta, peggio: ce ne sono due vuote dopo tre gare andate deserte

4) i colli di bottiglia sulla congestionata Cassanese e sulla bretella di Brescia-Castrezzato non sono stati affrontati inficiando così il risparmio di tempo ipotetico

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5) dagli 80mila passaggi giornalieri previsti siamo oggi a 16mila reali e 22mila ipotetici per l’anno in corso

6) la BreBeMi, o A35 costa quasi il doppio dell’A4 (15cent al km)

7) nel contesto dell’emergenza ritardi, i suoi cantieri sono stati usati come discariche di rifiuti dalla ‘ndrangheta

In conclusione BreBeMi (l’unico segmento compiuto della matassa autostradale inserita nel dossier con cui Milano ha ottenuto di ospitare Expo2015) è un’opera inutile, costosa e nociva (centinaia gli ettari di terreno agricolo persi). Il modello di “rilancio del territorio” che dovrebbe “nutrire il pianeta” si fonda su una mobilità pesante, privata, inquinante che non ha convinto le banche ieri, gli automobilisti oggi. BreBeMi prefigura la miopia progettuale di un’esposizione universale traballante che, dietro la stessa ammiccante propaganda, si propone come matrice di debito, cemento e precarietà per tutto il territorio regionale.

L’apertura di BreBeMi è il primo tassello del mosaico infrastrutturale di Expo2015. Milano si fa così laboratorio dove sperimentare il paese di domani: restiamo a guardare o prendiamo parola?
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11/12 ott a Milano | Grandi opere e megaeventi: liberiamocene!

Le cronache e le inchieste delle ultime settimane hanno rivelato un quadro di corruzione e malaffare che lega tra loro mega-eventi e grandi opere, da Expo al TAV, passando per Mose e la ricostruzione post sisma de L’Aquila.
Le lotte territoriali e i movimenti non hanno avuto bisogno dei tribunali per svelare questo legame, da anni denunciamo che dietro questi grandi progetti che devastano i territori che attraversano e drenano risorse dalle casse dello Stato, esiste un filo comune di logiche e soggetti che speculano e guadagnano.

Nonostante le evidenze, la macchina va avanti, ineluttabile destino che prescinde dalla volontà politica. Ed ecco come per magia che spuntano commissari speciali e leggi ad hoc, mentre qualche testa salta. Ma come sempre l’incantesimo svanisce e tutto torna come prima, criminalizzazione e repressione delle lotte comprese.

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Milano, proiettata verso Expo2015, è l’esempio di questo.

L’impotenza del supercommissario Cantone e del sindaco Pisapia di fronte a quanto accade sono segnali chiari: i lavori della via d’acqua ancora appaltati alla corrotta Maltauro sono pronti a ripartire nelle periferie ovest di Milano e stanno scatenando le nuove reazioni dei comitati No Canal. Proteste e blocchi contrastano la costruzioni di nuove inutili autostrade e superstrade previste per Expo, secondo un modello di mobilità che ha già consumato milioni di mq di aree agricole e parchi di cintura attorno a Milano e che sembra non avere fine.

Le migliaia di posti di lavoro promessi si sono tradotti per lo più in stage sotto pagati e volontariato, ossia lavoro a gratis, sfruttamento. Con sempre più decisione, però, cresce nel mondo del lavoro precario, esterno e interno, alla confederazione Cgil-Cisl-Uil e nel mondo studentesco l’opposizione agli accordi su volontariato e lavoro, firmati tra i sindacati ed Expo Spa.

In una Milano sempre più da consumare e meno da vivere, vengono sgomberati a colpi di manganelli spazi occupati della città e abitazioni, esperienze di autogestione e riappropriazione nate per soddisfare quei bisogni che una città abbandonata a pavidi imprenditori non considera degni e a cui risponde con la repressione e l’immaginario della città vetrina (Eataly, Porta Vittoria, Expo).

Allo stesso modo i megaeventi diventano i canali comunicativi favoriti per riaffermare la dicotomia di genere, funzionale ad un sistema di crisi. Si normalizzano corpi, identità, favolosità, al solo scopo di creare fette di mercato “pink”, invece che decostruire ruoli ed identità statiche. Attraverso l’istituzionalizzazione di una gay street in via Sammartini a Milano, viene strumentalizzata la presenza di soggetti lgbtq per coprire con il pinkwashing il disegno comunale di pulizia della città, pensando che aprire le porte al turismo omosessuale ricco, maschile e bianco possa essere sufficiente.

Il modello per cui grandi opere ed eventi agiscono è lo stesso e mira all’arricchimento di pochi, a scapito di una collettività varia e molteplice: la corruzione dietro agli appalti, la speculazione sui terreni, l’incontrollabilità del settore edilizio come bacino di arricchimento, gentrificazione di interi quartieri e cementificazione di parchi ed aree agricole sono gli ingredienti che alimentano quel filo comune che lega Expo e Tav, Expo e Mose, Muos e Dal Molin.

Sarebbe ingenuo, quindi, non vedere che questo legame ne sottende un altro: quello della repressione contro ogni forma di dissenso rispetto a queste maxioperazioni. I recenti arresti di tre compagni di Milano incarcerati con pesanti accuse, in continuità con quelli del 9 dicembre scorso e in concomitanza con l’offensiva estiva del movimento NoTav; i provvedimenti repressivi attuati contro centinaia di attivisti del movimento per il diritto all’abitare: tutti questi sono segnali che, tristemente, ne costituiscono ulteriore conferma. Assistiamo ad una tensione sempre crescente sul piano sociale e politico che è solo l’anticipo di quello che sarà l’autunno a livello nazionale. Ci troveremo infatti nel pieno del semestre italiano di presidenza Ue, le riforme autoritarie e liberiste del governo Renzi saranno in fase di realizzazione e a Milano comincerà la volata finale verso i sei mesi di Expo che si inaugurerà il 1° Maggio 2015. Il capoluogo lombardo diventerà, nostro malgrado, capitale italiana ed internazionale dello “sviluppo”, con il suo corollario di ricette e soluzioni per uscire dalla crisi: Expo2015 dovrebbe rappresentare tutto questo, un enorme contenitore dove c’è spazio per tutti e la cui modernità riguarda tutti. Ma noi abbiamo da tempo imparato a riconoscere e smascherare le menzogne, leggendo dietro gli slogan e la propaganda la continuità di quelle politiche economiche e sociali e di austerity che sventrano territori, privatizzano l’esistente, precarizzano vite, sfrattano corpi negando possibilità alternative di governo del territorio, risparmiano sul costo del lavoro e azzerano lo stato sociale.

La sintesi del nuovo modello di società che ci aspetta si regge su tre pilastri: debito, cemento e precarietà in quantità sempre crescenti, e di questo Expo e le grandi opere diventano volano e simbolo, attraverso l’utilizzo di risorse pubbliche per profitti privati.

Non solo. Cresce la consapevolezza che dietro lo slogan vuoto “nutrire il pianeta” si confermino quelle politiche agroalimentari che negano accesso al cibo e all’acqua, impongono OGM e modelli alimentari utili solo alle multinazionali, tra i primi sponsor dei sei mesi dell’evento Expo 2015.

Un altro dei maggiori finanziatori del mega-evento mostra in questi ultimi giorni il suo vero volto: lo Stato israeliano, che da settimane bombarda e devasta Gaza facendo strage della sua popolazione. Pensiamo che non sia un caso che usi ogni mezzo, apparato e utile occasioni per mistificare la sua natura di Stato occupante e terrorista, in affari con governi ed istituzioni incapaci di imporre alternative alla distruzione/allo sterminio di un popolo.

L’anno che è appena trascorso ha segnato una crescita importante per il movimento NoExpo e in generale per i movimenti sociali di opposizione, non solo per i passi in avanti realizzati, ma soprattutto per la consapevolezza e la capacità di iniziativa di quelle fasce sociali sempre più colpite ed escluse. Smontare e rompere il meccanismo di Expo è un’altra importante tappa cui tutti sono chiamati, proprio per il carattere nazionale dei processi che Expo nasconde: la devastazione, il saccheggio e l’impoverimento dei territori. Ci rivolgiamo a tutti i movimenti, i comitati e i singoli, a chi resiste e a quelli che vogliono costruire una nuova ‘equonomia’ capace di riportare al centro i bisogni delle persone e di fermare la crescente disuguaglianza sociale, per ricomporre le molteplici lotte e costruire insieme un’azione ancora più efficace.

Vogliamo avviare un percorso che porti al 1° maggio 2015 e che vada oltre, lasciando il segno, perchè Expo arriva, devasta e passa, mentre noi viviamo e presidiamo in modo permanente il territorio valorizzandolo con pratiche, partecipazione e alternative concrete.

Sensibili all’agenda politica discussa e uscita negli incontri nazionali tenutisi in ValSusa in queste settimane, i soggetti e le realtà della Rete Attitudine NoExpo hanno deciso di avviare la settimana comune di iniziative con l’appello per una due giorni di mobilitazione contro Expo a Milano, partecipando con lo spezzone territoriale NoExpo al corteo che si terrà il successivo sabato 18 ottobre,nell’ambito della giornata nazionale dei territori resistenti “Stop Evictions – Take the city”.

In particolare convochiamo per sabato 11 ottobre un corteo a Milano, corteo a cui invitiamo tutti i compagni, gruppi,comitati, collettivi,realtà e percorsi vicini alla battaglia politica contro Expo2015 e che in vario modo si sono intrecciati con essa in questi anni, contaminandosi e contaminandola, dentro e oltre la metropoli.
Al corteo di sabato seguiranno domenica 12 ottobre due iniziative: assemblea di incontro, discussione e dibattito per decidere e avviare insieme le fasi della mobilitazione verso il 1° maggio 2015 e nei sei mesi del mega-evento; il secondo incontro sarà su “sovranità alimentare e sovranità sociale dei territori” a RiMaflow.Vogliamo ribadire in questo modo che la mobilitazione non finisce il 1° maggio néil 31 ottobre (data di fine dell’Esposizione), ma si pone l’obiettivo di valorizzare, sedimentare e portare avanti le diverse lotte per il Diritto alla Città contro e oltre Expo.

I compagni e le compagne della Rete Attitudine NoExpo

per info: noexpo@autistici.org

L’ultima spallata ad Expo2015

Lo abbiamo sempre detto e l’abbiamo ribadito durante i the Ned – NoExpo Days che si sono aperti dopo il Primo Maggio dei precari: Expo2015 è la negazione puntuale e completa del Diritto alla Città, ovvero di un governo democratico e collettivo del territorio, di una pianificazione urbana che tenga conto delle esigenze lavorative e di vita (prima fra tutte la casa) della popolazione, di un utilizzo pubblico delle risorse comuni. Non soltanto: ha rappresentato e continua a rappresentare una scusa, un esperimento di carattere nazionale, esattamente come altri mega-eventi prima (e temiamo dopo) di esso. Da questo punto di vista, noi che non siamo giustizialisti o manettari, ci saremmo opposti (come di fatto abbiamo fatto) ad Expo anche se fosse stato “pulito”, dal punto di vista della legalità costituita.

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Il problema è che l’eccezionalità di Expo permette i più spregiudicati dei giochi e la più criminale delle gestioni della cosa pubblica: la mega inchiesta del marzo scorso riguardante Infrastrutture Lombarde e gli arresti della scorsa settimana, ribadiscono i forti interessi privati che stanno dietro al mega evento e che possono essere perseguiti anche a scapito della loro legalità, ammettendo atti di corruzione e riducendo drasticamente i controlli anti-mafia. Come in Val di Susa lo Stato copre (forse indirettamente, diamogli pure il beneficio del dubbio) gli affari dell’ndrangheta, qui a Milano il giro d’affari internazionale e nazionale deve essere tutelato da qualunque ostacolo: anche dalla manifesta incapacità dei suoi amministratori. Da questo punto di vista, si rivela profetico il nome scelto per l’Infopoint di Expo inaugurato proprio questo weekend in Largo Cairoli: ExpoGate, neanche farlo apposta! Ormai solo per gli ultimi superstiti dell’Expo-entusiasmo questo nome è riferito alla mitica porta dell’Esposizione universale, mentre per tutta Italia (e non solo) richiama altri episodi di abuso di potere e corruzione (come NigerGate e il più celebre WaterGate). Leggi tutto “L’ultima spallata ad Expo2015”

Ultime dal fronte NoCanal

Giorni tesi, questi, dalle parti di Via Rovello, sede di Expo Spa, e nei palazzi milanesi che contano. Non bastasse la pioggia, il cambio di governo, i ritardi e i No Canal, ci si è messa la magistratura, per l’ennesima volta, a gettare scompiglio con le indagini e gli arresti di uomini ai vertici di Infrastrutture Lombarde (società della Regione che gestisce il piano infrastrutture stradali di Expo e la direzione dei principali lavori al cantiere del sito espositivo) che stanno gettando ombre inquietanti sul sistema che ha governato appalti e cantieri delle opere legate al megaevento, che nelle ultime ore pongono dubbi anche su Sala, l’AD e Commissario Straordinario di Expo 2015. Non ci piacciono le manette, ma è chiaro che queste cronache confermano la nostra analisi e quanto scritto anche in Expopolis: Expo è questo, con le sue corruttele, nocività, intrecci poco chiari e cose simili. Non esiste e non poteva esistere un altro modello di Expo perché questo è il paradigma di grandi opere o megaeventi.

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Queste vicende hanno portato in secondo piano il fatto che dal 25 febbraio Sala ha annunciato la rinuncia alla Via d’Acqua e la soluzione tecnica/idraulica per le acque in eccesso del sito espositivo, e a oggi non ci sono novità. Intanto i cantieri del canale sono fermi e il tempo che passa non può che giovare alla causa NoCanal. Nell’attesa, a memoria e riepilogo di alcuni concetti, sottolineiamo alcuni punti che sui media in questi giorni sono stati usati in maniera ambigua a uso e consumo dei chi vuole ricreare un immaginario positivo attorno all’inutile opera:

– Il progetto Via d’Acqua presentato al BIE nel 2007/2008 e che faceva parte del dossier con cui Milano s’è aggiudicata Expo non c’entra nulla con l’opera che stiamo contestando perciò è fuorviante dire che si deve fare la Via d’Acqua perché su questa Milano ha vinto Expo (per inciso quella idea di canale navigabile morì prima ancora di prendere forma per la sua irrealizzabilità per gli enormi costi)

– I tempi tecnici x finire il progetto di Via d’Acqua attuale e contestato entro maggio 2015, collaudi compresi, non ci sono più; lo ha affermato chiaramente Sala (intervista a Radio Popolare del 24/3 link al minuto 33: dicendo anche che a 300 mt dal sito esiste la soluzione tecnica per smaltire le acque in eccesso ed evitare l’allagamento del sito (intuibile che pensi ai corsi acqua sotterranei Olona, Guisa e Brembilla, che scorrono sotterranei nel territorio compreso tra il sito Expo e i parchi dell’ovest Milano)

– Nella stessa intervista, Sala rimanda alla politica (Maroni e Pisapia in qualità di altri soci oltre al governo che lui rappresenta in Expo Spa) la decisione se fare comunque la Via d’Acqua secondo progetto che i comitati stanno contestando, bloccando i cantieri, quello nei parchi per capirci, anche finendola dopo Expo

– Non è un fatto, ma una considerazione abbastanza ovvia, affermare che se era inutile per Expo, a maggior ragione diventa inutile un nuovo canale dopo, sia perché di canali, fossi e fontanali quei territori sono ricchi, sia perchè è molto probabile che dopo Expo, dal sito, tra stadio, residenze, parcheggi, spazi commerciali e padiglioni che rimarranno, di acqua da far uscire non ce ne sarà molta

– Ogni altra soluzione al momento non è presa in considerazione per motivi di tempi, soldi, procedure

Questi i fatti al di là delle strumentalizzazioni di media ben pagati da Expo Spa per dare buona stampa all’evento.

Noi più modestamente e gratuitamente continuiamo ad attendere che Sala, indagini permettendo, metta la parola fine alla Via d’Acqua e noi si possa cominciare la festa No Canal.

Sulla Via d’Acqua l’arroganza di Expo piegata da chi lotta

Certo, dobbiamo aspettare venti giorni per capire davvero come Expo ha intenzione di modificare la Via d’Acqua.
Certo, qui mica smettiamo di alzarci alle 7 di mattina per andare a vegliare il sonno delle ruspe.
Certo, di Expo, Comune, commissari e sceriffi non ci fidiamo.
E certo, fino a quando ci saranno reti nei parchi ci sarà vento forte a soffiare la notte.

Ma diciamocelo: oggi l’arroganza di Expo 2015 si è piegata davanti a chi non abbassa la testa sotto al peso del mega evento.

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Quanto scrive Expo Spa segna un punto di non ritorno: “nel nuovo disegno la realizzazione dovrebbe limitarsi ad una pura opera idraulica che non interessa i parchi della corona urbana Ovest di Milano”. Tradotto: l’inutile, costoso, dannoso canale non passerà nei parchi dell’ovest milanese. Si ammette quello che diciamo da sempre: la Via d’Acqua è un opera idraulica senza alcuna utilità pubblica, funzionale solo agli interessi di Expo nei sei mesi di durata dell’Esposizione. Expo prende atto del fallimento della trattativa con i comitati, dicendoci che si erano dati il 31 gennaio come termine ultimo entro cui concluderla. In questi mesi abbiamo visto come hanno provato a dividere i #NoCanal tra buoni e cattivi, tra chi voleva trattare e chi era per il no a prescindere. Hanno solo perso tempo, arroganti ancora una volta, senza capire che le diverse sfumature e sensibilità in una lotta comune rendono solo più forti.
Loro invece forti non lo sono, e come potrebbero esserlo? Stanno cercando di venderci un evento che produce solo nocività, precarietà e debito pubblico. Si facciano furbi, facciano un passo indietro anche su Expo: quei 10 miliardi pubblici possono essere spesi in altro modo.
Noi intanto vigileremo, l’abbiamo detto: non ci fidiamo di queste persone.
Con i nostri #spaventaruspe, nei parchi, a denunciare le nefandezze di Expo 2015.