Mi ricordo che poi venne l’alba, e poi
qualche cosa di colpo cambiò
il domani era venuto
e la notte era passata
c’era il sole su nel cielo
sorto nella libertà.
Il milione della Cgil, lo sciopero sociale, il diritto alla Città
Una delle frasi fatte che circolano di più in questi giorni, dopo la manifestazione oceanica della Cgil di sabato a Roma, è “non si può ignorare un milione di persone”. Vero, siamo d’accordo. Eppure vogliamo anche stare attenti a non cadere nell’errore opposto che, visto il vuoto politico che ci circonda, legge necessariamente nella piazza romana un segnale di nuovo conflitto e ritrovata voglia di lottare per la Cgil e dintorni. Proviamo piuttosto a suggerire qualche ragionamento.
Anzitutto, quale il senso politico della manifestazione? Ne possiamo trovare almeno due: da un lato, un pezzo di Pd e i sopravvissuti di Sel che tentano di raccogliere consensi per modificare i rapporti di forza dentro il Pd; dall’altro, la destra sindacale della Camusso (maggioritaria nel sindacato) che porta in piazza uno strano aggregato di ex-lavoratori, categorie, simpatizzanti (segnaliamo, per onestà intellettuale, anche un buon numero di migranti ed una presenza minoritaria di giovani soprattutto meridionali) con l’unico obiettivo di ritornare alla concertazione istituzionalizzata.
In quella piazza, nonostante l’alto numero e il grande sforzo della macchina organizzativa Cgil, non possiamo poi ignorare che c’erano tante contraddizioni quanti assenti: chi ha firmato infatti gli accordi e le leggi sul lavoro degli ultimi vent’anni? Chi ha sostenuto politiche di frammentazione e atomizzazione del lavoro, limitando la propria azione di tutela alle sole roccaforti categoriali di massa e ponendo di fatto le basi per l’emarginazione progressiva del sindacato? Chi ha accettato la creazione e il conseguente allargamento di aree di lavoro segmentato, non garantito, ultra-precario (per l’appunto, i grandi assenti)?
La retorica della Camusso, dei dirigenti della minoranza Pd e, a modo suo, dello stesso Landini, è basata su quella che potremmo definire “produttività politica dei diritti”, ovvero un linguaggio ed una comunicazione che semplificano all’estremo la realtà: non considerano minimamente la gerarchia sociale e lavorativa che favorisce la precarietà, fanno leva su nostalgia del passato ed un appello generico ai “diritti” per occupare uno spazio politico (quello della difesa dei lavoratori) e garantirsi legittimità d’intervento (in quanto “uniche voci di opposizione” nel quadro dell’egemonia renziana).
Basterebbero anche solo gli obiettivi politici della piazza romana per tenerci alla larga, ma volendo evitare un atteggiamento “snob” cerchiamo di ampliare il ragionamento circa il dato sociale che ci si presenta, ponendo(ci) una domanda: è possibile leggere in quella folla una volontà conflittuale, anche solo in embrione (dopo tanti anni di silenzio)? E qui bisogna essere onesti: dipende. Ci sono gruppi sociali che hanno sentito la necessità di dare un segnale forte, mescolando le proprie ragioni con quelle di una folla più ampia dai sentimenti differenti, persone non rappresentate o in collisione con i propri dirigenti, che hanno preferito la piazza della Cgil al nulla. Erano minoranza, sicuramente ma non possiamo non vedere i disoccupati e i precari provenienti dal Sud, gli operai cassaintegrati, i migranti. Pezzetti piccoli di segmenti molto più ampli, maggioritari nella forza-lavoro, che il sindacato ha tradito e tradisce quotidianamente.
Non crediamo nella potenziale, latente, conflittualità di quella piazza: troppe svendite, troppi ritardi, troppi tradimenti in questi ultimi vent’anni. Soprattutto non vediamo una reale alternativa al modello Leopolda (di cui il Pd è sempre più una corrente), contro cui non interessa opporsi, ma solo riottenere i privilegi perduti. La concertazione, appunto. Crediamo invece nella necessità di dare forza ai percorsi di organizzare, unione, politicizzazione del precariato, dei disoccupati, di una forza-lavoro atomizzata e rassegnata all’esistente.
In questo senso si inserisce il lungo discorso sullo sciopero precario e sociale che da anni i movimenti e il sindacalismo di base provano a portare avanti (finora, purtroppo, con poco successo, eccezion fatta per i lavoratori della logistica, oggi al centro di una dinamica conflittuale). Il 14 novembre, con mobilitazioni in tutte le principali città e sul territorio, sarà tempo di #scioperosociale. Il percorso e la rete No Expo aderiranno a Milano e porteranno le proprie battaglie in quella giornata: proprio perché qui da noi, Milano e Lombardia, Expo 2015 è anche un modello lavorativo la cui funzione è fare da laboratorio per il paese di domani. Gli accordi lavorativi e sindacali regionali (quindi FIRMATI da chi sabato ha dichiarato di manifestare contro il Job’s Act) sono peggiorativi rispetto alla riforma nazionale di Renzi e Poletti: prescrivono l’utilizzo di massa del lavoro in somministrazione e del volontariato, permettono deroghe ai Ccnl, creano Zone economiche speciali sottratte alla legislazione nazionale sul lavoro, limitano (per ora in termini facoltativi) il diritto di sciopero, favoriscono il rapporto individuale eliminando legalmente la possibilità dei lavoratori di organizzarsi e protestare.
Dal nostro punto di vista (come collettivo Off Topic), infine, il senso più generale della giornata del 14 novembre sta nel forte legame tra la lotta politica sempre più ampia per il diritto alla Città e le rivendicazioni di chi, nella Città e nei territori, vive, lavora, produce in modo sempre più precario. David Harvey, nel suo Il capitalismo contro il diritto alla città, sostiene che le grandi rivolte urbane, degli ultimi due secoli almeno, sono sempre state precedute da una crisi economica, lavorativa, urbanistica delle città che non riuscivano più a far fronte alle esigenze, ai bisogni, alle condizioni materiali della massa lavoratrice (stagionale e disoccupata). Chiedendosi (e chiedendoci) “dov’è la nostra Comune di Parigi?”, Harvey si/ci interroga alla ricerca di un progetto politico in grado di tenere insieme una forza-lavoro frammentata e precaria, con interessi al suo interno divergenti, spesso disoccupata o relegata in periferie sempre più abbandonate. Quelo confederale non è un invito al conflitto, un “assalto al cielo” che forse vorrebbe una parte della sua piazza ma che non c’è. L’opzione dello sciopero precario, metropolitano e sociale è un passaggio che apre ad un nuovo protaonismo collettivo. Scioperare la Milano di Expo 2015 è’ un invito che non possiamo non raccogliere. Qui precarietà e volontariato per profitti privati si fanno paradigma, qui occorre una presa di parola contro l’offensiva presente.
Appello e piattaforma dello sciopero sociale: http://blog.scioperosociale.it/
Per approfondire su Expo e lavoro:
Il volontariato a/l tempo di Expo2015
Il lavoro a/l tempo di Expo
Gratis non si lavora. Appello di Sergio Bologna
Recap: l’effetto Expo sull’occupazione
#AskExpo: ennessimo flop del brand Expo2015
I lavoratori del Comune di Milano contro Expo
Rappresentanza e conflitto sociale
11/12 ott a Milano | Grandi opere e megaeventi: liberiamocene!
Le cronache e le inchieste delle ultime settimane hanno rivelato un quadro di corruzione e malaffare che lega tra loro mega-eventi e grandi opere, da Expo al TAV, passando per Mose e la ricostruzione post sisma de L’Aquila.
Le lotte territoriali e i movimenti non hanno avuto bisogno dei tribunali per svelare questo legame, da anni denunciamo che dietro questi grandi progetti che devastano i territori che attraversano e drenano risorse dalle casse dello Stato, esiste un filo comune di logiche e soggetti che speculano e guadagnano.
Nonostante le evidenze, la macchina va avanti, ineluttabile destino che prescinde dalla volontà politica. Ed ecco come per magia che spuntano commissari speciali e leggi ad hoc, mentre qualche testa salta. Ma come sempre l’incantesimo svanisce e tutto torna come prima, criminalizzazione e repressione delle lotte comprese.
Milano, proiettata verso Expo2015, è l’esempio di questo.
L’impotenza del supercommissario Cantone e del sindaco Pisapia di fronte a quanto accade sono segnali chiari: i lavori della via d’acqua ancora appaltati alla corrotta Maltauro sono pronti a ripartire nelle periferie ovest di Milano e stanno scatenando le nuove reazioni dei comitati No Canal. Proteste e blocchi contrastano la costruzioni di nuove inutili autostrade e superstrade previste per Expo, secondo un modello di mobilità che ha già consumato milioni di mq di aree agricole e parchi di cintura attorno a Milano e che sembra non avere fine.
Le migliaia di posti di lavoro promessi si sono tradotti per lo più in stage sotto pagati e volontariato, ossia lavoro a gratis, sfruttamento. Con sempre più decisione, però, cresce nel mondo del lavoro precario, esterno e interno, alla confederazione Cgil-Cisl-Uil e nel mondo studentesco l’opposizione agli accordi su volontariato e lavoro, firmati tra i sindacati ed Expo Spa.
In una Milano sempre più da consumare e meno da vivere, vengono sgomberati a colpi di manganelli spazi occupati della città e abitazioni, esperienze di autogestione e riappropriazione nate per soddisfare quei bisogni che una città abbandonata a pavidi imprenditori non considera degni e a cui risponde con la repressione e l’immaginario della città vetrina (Eataly, Porta Vittoria, Expo).
Allo stesso modo i megaeventi diventano i canali comunicativi favoriti per riaffermare la dicotomia di genere, funzionale ad un sistema di crisi. Si normalizzano corpi, identità, favolosità, al solo scopo di creare fette di mercato “pink”, invece che decostruire ruoli ed identità statiche. Attraverso l’istituzionalizzazione di una gay street in via Sammartini a Milano, viene strumentalizzata la presenza di soggetti lgbtq per coprire con il pinkwashing il disegno comunale di pulizia della città, pensando che aprire le porte al turismo omosessuale ricco, maschile e bianco possa essere sufficiente.
Il modello per cui grandi opere ed eventi agiscono è lo stesso e mira all’arricchimento di pochi, a scapito di una collettività varia e molteplice: la corruzione dietro agli appalti, la speculazione sui terreni, l’incontrollabilità del settore edilizio come bacino di arricchimento, gentrificazione di interi quartieri e cementificazione di parchi ed aree agricole sono gli ingredienti che alimentano quel filo comune che lega Expo e Tav, Expo e Mose, Muos e Dal Molin.
Sarebbe ingenuo, quindi, non vedere che questo legame ne sottende un altro: quello della repressione contro ogni forma di dissenso rispetto a queste maxioperazioni. I recenti arresti di tre compagni di Milano incarcerati con pesanti accuse, in continuità con quelli del 9 dicembre scorso e in concomitanza con l’offensiva estiva del movimento NoTav; i provvedimenti repressivi attuati contro centinaia di attivisti del movimento per il diritto all’abitare: tutti questi sono segnali che, tristemente, ne costituiscono ulteriore conferma. Assistiamo ad una tensione sempre crescente sul piano sociale e politico che è solo l’anticipo di quello che sarà l’autunno a livello nazionale. Ci troveremo infatti nel pieno del semestre italiano di presidenza Ue, le riforme autoritarie e liberiste del governo Renzi saranno in fase di realizzazione e a Milano comincerà la volata finale verso i sei mesi di Expo che si inaugurerà il 1° Maggio 2015. Il capoluogo lombardo diventerà, nostro malgrado, capitale italiana ed internazionale dello “sviluppo”, con il suo corollario di ricette e soluzioni per uscire dalla crisi: Expo2015 dovrebbe rappresentare tutto questo, un enorme contenitore dove c’è spazio per tutti e la cui modernità riguarda tutti. Ma noi abbiamo da tempo imparato a riconoscere e smascherare le menzogne, leggendo dietro gli slogan e la propaganda la continuità di quelle politiche economiche e sociali e di austerity che sventrano territori, privatizzano l’esistente, precarizzano vite, sfrattano corpi negando possibilità alternative di governo del territorio, risparmiano sul costo del lavoro e azzerano lo stato sociale.
La sintesi del nuovo modello di società che ci aspetta si regge su tre pilastri: debito, cemento e precarietà in quantità sempre crescenti, e di questo Expo e le grandi opere diventano volano e simbolo, attraverso l’utilizzo di risorse pubbliche per profitti privati.
Non solo. Cresce la consapevolezza che dietro lo slogan vuoto “nutrire il pianeta” si confermino quelle politiche agroalimentari che negano accesso al cibo e all’acqua, impongono OGM e modelli alimentari utili solo alle multinazionali, tra i primi sponsor dei sei mesi dell’evento Expo 2015.
Un altro dei maggiori finanziatori del mega-evento mostra in questi ultimi giorni il suo vero volto: lo Stato israeliano, che da settimane bombarda e devasta Gaza facendo strage della sua popolazione. Pensiamo che non sia un caso che usi ogni mezzo, apparato e utile occasioni per mistificare la sua natura di Stato occupante e terrorista, in affari con governi ed istituzioni incapaci di imporre alternative alla distruzione/allo sterminio di un popolo.
L’anno che è appena trascorso ha segnato una crescita importante per il movimento NoExpo e in generale per i movimenti sociali di opposizione, non solo per i passi in avanti realizzati, ma soprattutto per la consapevolezza e la capacità di iniziativa di quelle fasce sociali sempre più colpite ed escluse. Smontare e rompere il meccanismo di Expo è un’altra importante tappa cui tutti sono chiamati, proprio per il carattere nazionale dei processi che Expo nasconde: la devastazione, il saccheggio e l’impoverimento dei territori. Ci rivolgiamo a tutti i movimenti, i comitati e i singoli, a chi resiste e a quelli che vogliono costruire una nuova ‘equonomia’ capace di riportare al centro i bisogni delle persone e di fermare la crescente disuguaglianza sociale, per ricomporre le molteplici lotte e costruire insieme un’azione ancora più efficace.
Vogliamo avviare un percorso che porti al 1° maggio 2015 e che vada oltre, lasciando il segno, perchè Expo arriva, devasta e passa, mentre noi viviamo e presidiamo in modo permanente il territorio valorizzandolo con pratiche, partecipazione e alternative concrete.
Sensibili all’agenda politica discussa e uscita negli incontri nazionali tenutisi in ValSusa in queste settimane, i soggetti e le realtà della Rete Attitudine NoExpo hanno deciso di avviare la settimana comune di iniziative con l’appello per una due giorni di mobilitazione contro Expo a Milano, partecipando con lo spezzone territoriale NoExpo al corteo che si terrà il successivo sabato 18 ottobre,nell’ambito della giornata nazionale dei territori resistenti “Stop Evictions – Take the city”.
In particolare convochiamo per sabato 11 ottobre un corteo a Milano, corteo a cui invitiamo tutti i compagni, gruppi,comitati, collettivi,realtà e percorsi vicini alla battaglia politica contro Expo2015 e che in vario modo si sono intrecciati con essa in questi anni, contaminandosi e contaminandola, dentro e oltre la metropoli.
Al corteo di sabato seguiranno domenica 12 ottobre due iniziative: assemblea di incontro, discussione e dibattito per decidere e avviare insieme le fasi della mobilitazione verso il 1° maggio 2015 e nei sei mesi del mega-evento; il secondo incontro sarà su “sovranità alimentare e sovranità sociale dei territori” a RiMaflow.Vogliamo ribadire in questo modo che la mobilitazione non finisce il 1° maggio néil 31 ottobre (data di fine dell’Esposizione), ma si pone l’obiettivo di valorizzare, sedimentare e portare avanti le diverse lotte per il Diritto alla Città contro e oltre Expo.
I compagni e le compagne della Rete Attitudine NoExpo
per info: noexpo@autistici.org
Tutti i NoExpo al corteo #NoCanal
Scarpe comode, mantella, thermos pieno e la consapevolezza che possiamo ancora dare molto fastidio a Expo 2015, alle imprese che stanno distruggendo i parchi del nord-ovest milanese dando materialità al progetto chiamato “via d’acqua” e alla balbettante giunta Pisapia.
Con questi attrezzi, da più di tre mesi, presidiamo i cantieri aperti dalla Maltauro di Vicenza e dalla Tagliabue di Paderno Dugnano, a Parco Trenno come in via Cancano a Baggio o in via Caldera a Quinto Romano; volantiniamo nei mercati dei quartieri interessati e manifestiamo sotto Palazzo Marino o in via Rovello, sede legale di Expo 2015. Leggi tutto “Tutti i NoExpo al corteo #NoCanal”
#19O: tornare ad avere un peso politico
Non è stata una sfilata, né una passeggiata: è stato un corteo compatto, duro e deciso, in cui il corpo militante si è felicemente sciolto nella grande varietà ed eterogeneità dei percorsi e delle lotte presenti in piazza. La due giorni di mobilitazione nazionale non è stata una testimonianza, ma una precisa dichiarazione di protesta e di rappresentanza: precari, disoccupati, immigrati, comitati e movimenti per la casa e di difesa territoriale (No Tav, No Muos, No Expo e le sigle minori); il sindacalismo di base e parte di quel mondo del lavoro operaio tradito dai confederali (in prima fila, l’Ilva).
50, 80 o 100 mila in piazza sabato, importa fino ad un certo punto (sebbene i numeri abbiano ampiamente superato le previsioni più ottimistiche della vigilia): i percorsi presenti che hanno gridato la propria rabbia e la propria storia, incontrandosi e rimanendo compatti cordone dopo cordone, anche nei momenti di maggiore tensione, a significato della propria volontà di organizzazione, non erano riconducibili alla sola galassia dell’antagonismo e dei centri sociali: erano una parte attiva, ma estesa, di popolazione che ha accettato di raccogliersi su parole d’ordine radicali e di sfidare il terrorismo mediatico e politico dei giorni precedenti. Leggi tutto “#19O: tornare ad avere un peso politico”