A due settimane di distanza dalla decisione della Soprintendenza di porre il vincolo sul secondo anello dello Stadio di San Siro, riconoscendone la valenza storica e culturale, facciamo un punto della situazione e chiarezza su quanto accaduto. Siamo convinti che la decisione presa dalla Soprintendenza, che impedisce l’abbattimento di fatto dello stadio, scombussolando i piani delle indebitate società finanziarie proprietarie di Inter e Milan, sia non solo uno schiaffo alle scelte di Sala e della sua Giunta che avevano sposato a pieno le volontà delle due squadre, riconoscendo l’interesse pubblico a una operazione speculativa privata sul Piazzale dello Sport, ma anche agli appetiti immobiliari di Hines e Axa, con i loro progetti per le aree ex Trotto e relative scuderie, e di chi già immaginava di spartirsi lo storico quartiere ALER di San Siro e quanto di non edificato e non vincolato a verde è rimasto in zona. Ma partiamo dalla questione vincolo per capire cosa significa.
Il D.Lgs. 42/2004, cosiddetto Codice dei beni culturali, definisce che i beni immobili e mobili, appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, sono oggetto di disposizioni di tutela. Occorre inoltre che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni. Vale a dire, in sintesi: se sono pubbliche, hanno più di settant’anni, sono opera di un autore deceduto e abbiano un minimo interesse culturale, allora sono vincolate e si devono presumere come tali, a prescindere. Nel 2019 la Soprintendenza si era già espressa una prima volta affermando la non sussistenza del vincolo su San Siro. Allora però mancavano i 70 anni e non erano stati individuati (allora) elementi di rilevanza storica, artistica e culturale.
Negli scorsi mesi il Comune, avvicinandosi la soglia dei 70 anni dalla costruzione ha chiesto nuovamente alla Soprintendenza la verifica sul bene (la cosiddetta VIC che prevede che: “I competenti organi del Ministero, d’ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono e corredata dai relativi dati conoscitivi, verifichino la sussistenza dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”). Questa volta la Soprintendenza e gli organi ad essa collegati hanno dichiarato che non solo i 70 anni incorreranno dal 2025, ma che il secondo anello e le scale hanno una valenza storico culturale. In particolare, il disegno dei portali e le stesse rampe, che assumono un suggestivo significato simbolico, aggiungendo anche la Tribuna ovest con le targhe dei successi delle squadre, che ha la valenza di un Archivio Esposto, quindi pubblico perché di proprietà comunale.
Al netto dei formalismi e delle valutazioni architettoniche, la Soprintendenza ha preso atto di quanto andava affermando da anni chi si opponeva all’abbattimento del Meazza e al progetto di nuovo stadio, ossia il valore storico-culturale che lo Stadio di San Siro riveste per la città di Milano, oltre che il suo valore in quanto bene pubblico e, in maniera più ampia, per la storia del calcio non solo milanese. Un valore negato o sminuito solo dai diretti interessati, Inter e Milan, perché in conflitto con gli interessi di Red Bird e Suning di fare cassa quanto prima con un’operazione immobiliare da oltre 1 mld di euro che non poteva coesistere con l’attuale stadio. Questa narrazione interessata ha trovato ampia sponda dai media sportivi e non, che hanno convinto i tifosi che senza nuovo stadio Inter e Milan non sarebbero più tornate alla ribalta internazionale (cosa smentita nella recente Champions League), tifosi su cui hanno lavorato anche le due società tramite le curve e il mondo del tifo organizzato.
Che Cardinale, Scaroni o Zhang si lamentino del vincolo è scontato, che lo facciano gli sviluppatori immobiliari anche, perché ora che non si può più abbattere lo Stadio di San Siro, devono rivedere i piani; che sia scontento il Comune di Milano, Sindaco in testa, un po’ meno, se non fosse che proprio Sala è il grande sconfitto di questa operazione. Si era speso in primis per gli interessi di Inter e Milan dichiarando l’impossibilità di ristrutturare il Meazza secondo le esigenze delle due squadre ed è stato subito sbugiardato dal progetto Aceti-Magistretti che dimostrava la fattibilità della cosa utilizzando lo stadio seppur a capienza ridotta. Aveva provocato gli oppositori al progetto, con atteggiamenti più da bulletto che da Sindaco, arrivando di fatto a boicottare il referendum e a rendere una farsa il dibattito pubblico, e si è visto bocciare il parere dato dal Comitato dei Garanti avverso allo svolgimento del referendum. Ha fatto di tutto per riconoscere l’interesse pubblico ad abbattere il Meazza e a dare il via libera al progetto di nuovo stadio ed ecco che la Soprintendenza fa quello che avrebbe dovuto fare Sala da subito, ossia dichiarare lo Stadio di San Siro patrimonio pubblico, storico e culturale della città e pertanto non abbattibile né sostituibile. Sala sconta anche il suo atteggiamento supponente e ondivago rispetto al destino del Meazza, attribuendo alle squadre la responsabilità di non volere ristrutturare l’attuale stadio, attaccando chi lo accusava di non fare gli interessi della città, salvo poi nei fatti confermare quello che gli oppositori al progetto sostengono da anni, ossia l’assoluta compatibilità dello Stadio di San Siro con gli standard richiesti da CIO e UEFA candidando il Meazza a sede della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi 2026 e ad ospitare la finale di Champions League del 2027.
Quello che emerge da tutta questa vicenda è che la rinuncia ad un ruolo vero di tutela dell’interesse pubblico da parte dell’Amministrazione Comunale ha alimentato aspettative e progetti da parte di gruppi finanziari e immobiliari che non vedevano l’ora di poter mettere mano alle tante aree non edificate della periferia ovest e a stravolgere le caratteristiche della zona di San Siro, trasformando e gentrificando il quartiere ALER del Quadrilatero compreso tra le vie Civitali-Paravia-Albertinelli-Ricciarelli, ritenuto incompatibile con le case di lusso e le ville della zona ricca che fiancheggia l’Ippodromo e i nuovi insediamenti sull’ex Trotto e scuderie e quanto era previsto dal progetto stadio. La decisione della Soprintendenza rilancia la palla al Comune di Milano e al Sindaco, ma, sarebbe più corretto dire, alla Città Metropolitana e al peso che Sala ha da questo punto di vista. Questo perché l’orientamento delle due società calcistiche è quello di proseguire, anche separatamente, sulla strada di un nuovo stadio di proprietà e relative volumetrie per rendere profittevole l’operazione finanziaria e di farlo su aree perimetrali ai confini di Milano e su terreni privati, a San Donato e Rozzano, oggi aree verdi, in comuni comunque parte dell’Area Metropolitana e del Parco Agricolo Sud Milano. Le amministrazioni locali dei due comuni difficilmente avranno la forza di opporsi alle pressioni, anche mediatiche e dei tifosi più ottusi, e al possibile ricatto economico stante i bilanci traballanti che hanno gli Enti Locali e alla possibilità di fare cassa con gli oneri di urbanizzazione. Sala, viceversa, forte anche di un’opinione pubblica milanese, probabilmente divisa, ma sicuramente legata e orientata e mantenere il calcio al Meazza, potrebbe invece giocare il doppio ruolo di Sindaco di Milano e di socio di maggioranza dell’Area Metropolitana per ricondurre le due società ad un tavolo negoziale che azzeri le varie opzioni in campo e rimetta al centro il tema della ristrutturazione dell’attuale Stadio di San Siro.
Fantasia? Utopia? Vana speranza? Probabilmente si, nulla ci aspettiamo da Sala e dalla maggioranza che lo appoggia, anche a fronte delle politiche urbanistiche e di gestione del patrimonio comunale che vengono portate avanti a Milano da Sala, e dai suoi predecessori, da anni. Ma sarebbe sbagliato pensare che, salvato il Meazza dall’abbattimento, sia un problema di altri comuni e territori e che per l’attuale stadio qualcosa per utilizzarlo si troverà. Crediamo invece che la situazione possa rappresentare un punto da cui ripartire per il riscatto del concetto di città pubblica e interesse pubblico, che passa sicuramente dall’aver evitato l’abbattimento dello Stadio di San Siro, ma che non si può fermare a questo. Un riscatto che deve affermare forte e chiaro che le città e i territori non devono e non possono essere merce da spartire a piacimento per realizzare profitti privati, giocando sulla pelle di chi le vive e considerando le aree non edificate come inutili vuoti. Un riscatto che necessariamente può partire solo da una forte stagione di lotte per il diritto alla città e il diritto all’abitare. I mesi alle spalle hanno fatto intravedere la nascita o la ripresa di percorsi di lotta su questi temi, ancora frastagliati, sicuramente eterogenei, magari ancora poco comunicanti, ma sicuri punti da cui partire se vogliamo ribaltare il senso della frase che oggi meglio rappresenta la città: bella Milano, ma non ci vivrai.