Giuseppe Sala è tornato sui conti di Expo 2015 S.p.A., per annunciare la conclusione dell’iter di liquidazione della società da lui amministrata e lo straordinario risultato utile da questa generato:
51 milioni di Euro restituiti ai soci in base alle rispettive quote: MEF (40%), Regione Lombardia (20%), Comune di Milano (20%), Città Metropolitana di Milano – ex Provincia (10%) e C.C.I.A.A. di Milano (10%) che nel loro complesso hanno conferito a Expo 2015 S.p.A. la bellezza di 2318,7 milioni di Euro (più di 2,3 miliardi di Euro).
La conferenza stampa del 23 febbraio è stata l’occasione per chiarire lo scopo della stravagante affermazione: “sulle Olimpiadi Milano – Cortina vigileremo per avere gli stessi risultati di Expo 2015”.
Un Sala particolarmente beffardo ha chiosato: “Ora ditemi voi, io non ricordo un’opera pubblica in Italia che sia stata fatta in tempi giusti, per bene e spendendo meno del previsto”, cancellando in un sol colpo gli extra costi milionari del Padiglione Italia e le condanne definitive (con ammissione di colpa e patteggiamento della pena) comminate ai suoi “vice” Antonio Acerbo e Diana Bracco, a metà del management pubblico e privato (tra Regione Lombardia, Infrastrutture Lombarde, MM , Maltauro S.p.A. e molti altri) per “peccatucci veniali” come la turbativa d’asta, la corruzione, l’associazione a delinquere e l’infiltrazione mafiosa.
Dei conti di Expo 2015 abbiamo già parlato (vedere per credere), basandoci sui bilanci ufficiali depositati, certificati e firmati dallo stesso Sala nella duplice veste di A.D. della società e Commissario Straordinario dell’evento (oltre che sulle verifiche ufficiali della Corte dei Conti) ed è evidente che i 51 milioni di Euro “avanzati” dalla liquidazione di Expo 2015 S.p.A. hanno lo stesso peso di una goccia nel mare dei 1485 milioni di Euro di debito pubblico generato dalla fiera che voleva nutrire il pianeta.
Le dichiarazioni del Sindaco, al netto della loro ambiguità “contabile” e le incongruenze dei singoli importi da restituire ai soci (che non corrispondono alle effettive quote societarie), sono servite principalmente a rivendicare la validità del “Modello Expo 2015” che, da mesi e da più parti, si vorrebbe replicare nella gestione dei Giochi Invernali di Milano – Cortina 2026.
Una modalità fondata sul “regime emergenziale”, modello consolidata nella gestione delle grandi opere e dei grandi eventi in Italia fin dagli anni Ottanta, provocato da intenzionali ritardi su progettazione e realizzazione delle opere, per ottenere la deroga a leggi e protocolli che altrimenti ostacolerebbero la distribuzione dei finanziamenti pubblici miliardari. Uno stato d’eccezione che sospende i tempi e le procedure di una sempre più svuotata democrazia rappresentativa formale, come è sogno di molti nella classe dirigente economico-politica nazionale e in ampi settori della società civile; uno stato d’eccezione fondato su commissariamento, lievitazione dei costi in corsa, ossequio alla teoria economica del “trickle-down”: se ci guadagnano i piani alti, qualcosa cadrà anche in basso, con benefici a pioggia su tutti – sì, diciamo noi, ma non si tratta di benefici bensì di una montagna di merda e debito contratto dagli operatori privati sulle spalle della collettività e dei redditi più bassi per gli anni a venire.
Per Milano – Cortina 2026 vengono in conclusione confermate le facili previsioni che facemmo sul lascito dell’Esposizione universale meneghina: debito, cemento e precarietà, a favorire una devastazione ambientale (già cominciata sulle Dolomiti) eguale, se non superiore, a quella causata dalle Olimpiadi Invernali di Torino 2006 con il suo lascito di 4 miliardi di Euro di debito pubblico che hanno fatto di Torino il Comune più indebitato d’Italia e tra le 4 città commissariate nelle finanze per i piani di aggiustamento strutturale previsti dal Governo, assieme a Napoli, Palermo e Reggio Calabria.