La recente epidemia ha contribuito, fra le altre cose, a render manifeste le inadeguatezze ed iniquità – già prefigurate e denunciate negli ultimi anni da una nicchia di cittadinanza consapevole – di un sistema sanitario in buona misura mutato radicalmente rispetto agli albori del SSN, aziendalizzato e privatizzato. In particolare in seguito alle riforme degli anni 90 si è imposto un modello a tratti anglosassone mirato più all’ospedalizzazione, alla cura ed al servizio profittevole piuttosto che all’attenzione alla prevenzione ed alla salute pubblica, bene comune di rilevanza costituzionale su cui insiste la grande riforma sanitaria del ‘78 (da cui l’istituzione del sistema sanitario nazionale
Esio di un trentennio abbondante di lotte, il Sistema Sanitario Nazionale (d’ora in poi SSN) ebbe il merito di superare il precedente sistema di tipo corporativo/mutualistico a tutela dei lavoratori (e delle loro famiglie) previa assicurazione sociale e di impone un diritto alla salute universale ed incondizionato. In quanto tale, da un lato subordina la facoltà di scelta di persone alla sola legge; dall’altro, impegna le risorse ad esso destinate non solo nella cura, ovvero assicura risorse significative alla prevenzione e formazione come affermazione della duplice natura del “diritto alla salute” – “fondamentale diritto dell’individuo” e “interesse della collettività” intera.
Il primo SSN prevede 3 livelli di intervento (Stato, Regioni ed Enti locali), istituisce le USL, unità sanitarie locali da considerare decentramenti territoriali fra i cui compiti è importante quello collegato alla prevenzione, in un’Italia più vessata dalle epidemie (vaiolo, tubercolosi, ancora colera in molte zone) e quindi più attenta alla fondamentale richiesta sociale di prevenzione. Al lato pratico si diffonde un livello di benessere mai visto prima.
Ovviamente il sistema derivato dalla riforma non presenta solo pregi: le nomine delle figure apicali nelle USL sono politiche e di conseguenza sale il livello di corruzione deflagrato definitivamente con Tangentopoli. La spesa pubblica inoltre aumenta non sempre in base a bisogni reali e non sempre quest’aumento implica un miglioramento del servizio.
In seguito alle crisi nazionali di inizio anni ‘90 la politica, sulla spinta della gente, procede con una radicale riforma del SSN, su cui vengono introdotti elementi mutuati dalle ultime tendenze anglosassoni di riforma del pubblico impiego, abbondantemente utilizzate da Reagan e Thatcher ma anticipate dall’amministrazione Carter, conosciute in ambito accademico come NPM (New Public Management), programmi che impongono ai servizi pubblici un management simili alle aziende private, un’importante riduzione dei costi attraverso principalmente il blocco delle assunzioni ed il collegamento di queste con le cessazioni (il turnover) ed incentivi “di mercato”.
Tornando in Italia, la riforma del 92 (d.l. 502/92) impone il principio dell’aziendalizzazione. Viene sostanzialmente rivisto il rapporto fra committenza ed erogazione del servizio sanitario, procedendo di fatto all’esternalizzazione dei servizi sanitari in direzione di aziende, pubbliche o private che siano, dotate di autonomia finanziaria e naturalmente sensibili alle condizioni di mercato. Cambia la struttura organizzativa, le ASL sostituiscono le USL e le AO, gli istituti ospedalieri ora Aziende Ospedaliere, viene proposto il sistema “a contratto” poi mitigato con la riforma Bindi, che ripropone invece un parziale ritorno al precedente sistema con la sostituzione di un sistema di mercato (in realtà mai raggiunto operativamente) ad un sistema “quasi mercato” a cui vengono imposti i LEA (livelli essenziali di assistenza) e la stabilizzazione dell’utilizzo dei DRG (in italiano ROD), pacchetti di servizi che raggruppano i costi di degenza e prestazioni sanitarie. Entrambi i dispositivi aiutano le ASL a tenere sotto controllo le spese, riequilibrando le posizioni contrattuali in favore della committenza.
La sostituzione delle USL con le ASL, infine, non è una sostituzione puramente nominale: viene tolto agli amministratori politici locali il potere di nomina, si impone la figura del manager (il direttore generale) a capo dell’azienda. Il medico manager è il modo attraverso cui l’ordine dei medici è riuscito ad allargare quello che in sociologia si chiama “domininanza medica” nell’era delle grandi riforme sanitarie. Avanza quindi la figura del professionista tecnicamente neutro ma in sostanza collegato alla figura politica, da cui deriva l’eventuale proroga (in genere i direttori generali lavorano su contratti quinquiennali) e buona parte del salario accessorio, collegato al raggiungimento degli obiettivi. Motivo per cui la struttura pubblica non si differenzia di molto, oggi, nell’atteggiamento, rispetto alla struttura privata.
Si deduce quindi che “l’aziendalizzazione” non limita la penetrazione della politica nel SSN, ora ben più pervasiva e capillare ed in grado di gestire non solo le commesse ma il rapporto stesso coi grandi produttori farmaceutici. In Lombardia storicamente questo tipo di penetrazione fa capo all’organizzazione “Comunione e Liberazione”. Il sistema formigoniano, col suo ampio strascico di grandi fallimenti e grande malaffare, ne è ampia dimostrazione.
Alle differenti riforme sanitarie nazionali si affianca il percorso lento e costante di regionalizzazione del sistema politico italiano, percorso che impatta sul SSN dal momento in cui, come cristallizzato dalla riforma Bindi, le regioni regolano e amministrano le ASL e le AO pubbliche e di fatto gestiscono la parte operativa del SSN, lasciando al ministero solo le norme generali (e la possibilità di fissare le LEA). Le concessioni offerte inoltre dall’organizzazione centrale dello Stato al federalismo in salsa italiana muta la condizione dei responsabili dei servizi sul territorio ora non più decentrati ma in buona parte autonomi.
Da fine anni 90 in poi le Regioni organizzano attraverso riforme di portata regionale il servizio sanitario in maniera differente l’una dall’altra. La maggior parte di queste utilizza le ASL come centrali di appalto e come erogatrici di servizi, spesso collegate direttamente con le AO.
Solo la Lombardia, fra le regioni italiane, ha sposato un sistema “a contratto” puro dove l’erogazione del servizio viene posto su un mercato dove AO pubbliche e private agiscono alla pari e dove ASL (ora ATS) e AO sono totalmente separate.
Questo principio in pratica esternalizza totalmente il servizio sanitario. Diviene fondamentale in questo contesto, per i presidi ospedalieri, concentrarsi sui servizi più remunerativi, andando ad erogare più servizi possibili in grado di portare maggior profitto. E’ una riconfigurazione della propria struttura rimodellata sulle esigenze di mercato. Si delineano delle eccellenze, ove è più redditizia l’attività, e dei buchi, nel caso sia meno redditizia, ovvero nei casi delle malattie rare, delle malattie troppo comuni e di tutto l’ambito che riguarda la previdenza. Ne esce indebolito anche il SSN tutto, il naturale sviluppo del quasi mercato delle prestazioni sanitarie subisce quel che viene dalla critica marxista chiamato sviluppo geograficamente differente e si formano nel paese, laddove la situazione era già critica, zone in cui il livello di assistenza sanitaria è sotto la soglia degli standard conosciuti in quel che un tempo veniva definito “occidente”.
Qual’è l’incidenza reale delle AO private sul sistema sanitario lombardo?
Partiamo da un presupposto fondamentale per evitare semplificazioni poco utili: la sanità lombarda non è stata privatizzata un giorno attraverso una riforma. La sanità lombarda è ancora un sistema misto pubblico/privato dove l’incidenza del privato, in ossequio al principio di sussidiarietà orizzontale tanto caro a Comunione e Liberazione, dall’era Formigoni in avanti, è aumentata poco per volta. E dove la parte pubblica è in tutto “aziendalizzata”. Utilizziamo la recente ricerca della professoressa Sartor, contrattista dell’Università Statale di Milano in cui quest’anno insegna “Programmazione, organizzazione, controllo nelle aziende sanitarie”, per evidenziare in primo luogo la distribuzione, in Lombardia, provincia per provincia delle strutture di ricovero ordinario.
Le strutture ospedaliere private sono quindi ormai in maggioranza sul territorio lombardo, ma erogano meno servizi (e con meno personale), poiché attraverso sempre una rilevazione del 2017 possiamo notare come il numero di ricoveri sia inferiore rispetto a quelli gestiti nel pubblico ma più profittevoli.
Risparmiano sul personale, nonostante non siano obbligate a seguire le limitazioni imposte alle AO pubbliche limitate dal turnover (sistema di acquisizione di risorse umane superata solo dall’ultima legge di stabilità), risparmiano sui servizi meno profittevoli, investono ove il mercato suggerisce.
La missione sociale che dovrebbe indurre una tensione nei confronti del servizio pubblico ha in queste strutture una portata limitata (pur sempre presente, ma limitata).
Fa sorridere di conseguenza l’esternazione di Fontana per cui il governo (quelli precedenti, fra le altre cose) ha imposto limiti di assunzione quando un 40% abbondante dei servizi viene gestito da strutture private le cui politiche occupazionali non son certo regolate da un qualche ministero……fa invece incazzare l’enfasi con cui Gallera comunica che dopo 10 giorni di crisi totale una quindicina di medici (ed al momento nessuna struttura) porterà aiuto alla sanità pubblica per superare l’emergenza…..scopriamo in quel preciso momento che minimo il 40% del potenziale normale del SSL non viene utilizzato….e che piuttosto che usare medici dei servizi privati o di altre regioni vengono utilizzati medici in pensione, appartenenti a quelle categorie di età maggiormente colpite dal Coronavirus…..ma nonostante la burrasca i nostri cari amministratori locali continuano a tessere le lodi dell’eccellenza lombarda, che ci sono e che garantiscono al bilancio regionale lombardo un surplus annuo dovuto a pazienti provenienti da altre regioni d’Italia (a scapito ovviamente delle regioni di provenienza) che è allo stesso tempo il fardello di questa, ovvero il motivo per cui la salute pubblica è meno seduttiva dell’erogazione della prestazione sanitaria profittevole. Il plusvalore derivato da quello che in maniera poco elegante viene chiamato “turismo sanitario”, a cui si collegano anche i servizi di foresteria dedicati ai parenti dei pazienti, viene recuperato, come abbiamo precedentemente evidenziato, in maniera importante nelle strutture private
Sarebbe necessario a questo punto un approfondimento su taglio posti letto e sui tagli in generale alla sanità nazionale e regionale ma non è obiettivo di questo contributo offrire un’ottica così esaustiva. Ci teniamo però a ricordare il progetto di chiusura degli ospedali San Paolo e San Carlo su cui un comitato di cittadini si sta opponendo, ben esemplificativo della tendenza.
Qui comunque alcuni spunti
Discorso a parte merita il sistema dei medici di medicina generale, gestito”in riserva”, favorendo l’accumulo di pazienti per medico. Ricordiamo che i medici di medicina generale non sono dipendenti delle ASL o del ministero, sono partite IVA che ricevono dalle istituzioni un rimborso mensile calcolato sulla base dei pazienti in consegna.
Questo sistema, considerazione valida a livello nazionale, salvaguarda i redditi dei medici ma non il lavoro di questi, fatto di accumuli di domande ingestibili e di continui rischi gestiti in generale attraverso responsabilità evitate ricorrendo al consiglio del Pronto Soccorso.
La guardia medica (altra conquista del SSN, che permette una copertura sanitaria anche nel weekend in sostituzione dei medici di medicina generale) è un altra delle vittime delle successive riforme sanitarie lombarde, in particolare dell’ultima riforma Maroni (quella che rinomina le ASL in ATS) che ne decreta la drastica riduzione.
Anche l’ordine dei medici, dall’alto di quella che in sociologia viene definita “dominanza medica”, ovvero la capacità di condizionare il settore sanitario in tutte le sue componenti, non è esente da colpe, in primis per la sottesa imposizione del numero eccessivamente chiuso delle facoltà di medicina, a salvaguardia del valore della professione ma a deperimento della forza lavoro utilizzabile sul territorio, ora come mai insufficiente rispetto alla richiesta di servizi. Altra tegola a carico dell’Ordine è l’assenso alla regionalizzazione del SSN oggi dallo stesso Ordine contestata (in realtà da poco prima dell’ultima crisi, https://www.lettera43.it/medici-autonomia-regionale-sanita/). Va ascritto ai medici (impiegati nelle strutture pubbliche), comunque, uno spirito di servizio importante e di sforzo in direzione della pubblica utilità in grado di consentire allo sbucanato SSL di resistere all’emergenza.
La regionalizzazione ha creato anche ulteriori problemi burocratici: sarebbe stato più semplice spostare medici da altre zone a sostegno dello sforzo dei medici lombardi, non fosse che la Sanità è gestita a livello regionale e con contratti di lavoro che a livello decentrato non sono identici su tutto il territorio nazionale e di conseguenza non è così semplice richiedere a questi uno spostamento……oltretutto occorrerebbe dai diversi presidenti della Regione un bagno di umiltà che sembra ben lungi dall’esserci per costringerli a richiedere ai propri colleghi di differenti regioni un aiuto……e l’annoso problema dell’assenza di un protocollo unico nella gestione delle emergenze, sollevato dalle Regioni del Nord, le stesse che il giorno prima rivendicavano autonomia: le battute del duo Fontana/Gallera avrebbe caratteristiche buone per la commedia all’italiana, non fosse che al contrario ci troviamo nel bel mezzo di una tragedia.
In definitiva, nel bel mezzo della burrasca ci sembra utile tratteggiare quei limiti imposti alla Sanità Pubblica dallo slittamento della tensione in direzione della conquista della salute pubblica a vantaggio della prestazione sanitaria come servizio fondamentale e profittevole all’interno di un’economia in cui le prestazioni ospedaliere ed i trattamenti farmacologici sono una delle punte più avanzate e sviluppate in quel settore chiamato volgarmente “terziario avanzato”.
Quei limiti gettano un’ombra sul sistema immunitario della società in cui viviamo, oggi pesantemente indebolito. Non è un caso che praticamente tutte le analisi che scorrono sotto i nostri occhi in questi giorni vertano sulla capacità del nostro SSN (ed in particolare del SSL) di sostenere lo sforzo. CIò dovrebbe farci riflettere ancor più dei siparietti dei nostri amministratori locali, un momento produttivisti ed un momento dopo apocalittici. Le pressioni di Federalberghi e Confcommercio all’interno di un sistema sanitario efficace possono essere rispedite al mittente senza aver paura di perdere di popolarità.