In vista della iniziativa di martedì 12 marzo a ZAM (via Sant’Abbondio, 4), pubblichiamo una breve anteprima di testo e grafica del prossimo Pieghevole Bella Milano, ma non ci vivrai dedicato alle trasformazioni nel sud-est di Milano e, in particolare, nel quartiere Corvetto. Tra Olimpiadi e svendite del patrimonio ERP, l’area urbana che si estende sulla diagonale tracciata da Corso Lodi, storicamente abitata da ceti popolari e redditi medio-bassi, collega oggi due tra i più grandi cantieri in corso in città, in termini sia di metri quadrati che di investimento di risorse economiche e di narrazioni: la costruzione del Villaggio Olimpico Scalo di Porta Romana e l’Arena Olimpica di Santa Giulia a Rogoredo. Tra questi due poli di accentramento massiccio di attenzioni e capitali, la zona che promette di acquisire un valore inaspettato è proprio quella che chiamiamo la “grande Corvetto”: a partire dall’inizio dei cantieri, il valore al metro quadro è passato da 3700 a oltre 4500, con una crescita intorno al 9%, circa il doppio della media cittadina. Ecco quindi il testo di introduzione alla prossima autoproduzione offtopica.
Dopo la prima puntata che ha voluto raccontare come Milano non sia più quella di un tempo, sondando le trasformazioni urbane divenute la copertina di un prodotto Milano nel contesto di San Siro, ora continuiamo a farlo spostandoci a sudest della città, indagando come altre spinte di trasformazione mettano le mani su Corvetto.
Corvetto, tuttavia, non è San Siro. Sebbene le spinte di trasformazione siano sempre quelle di grandi gruppi internazionali in cerca di spazio su cui investire capitali globali, il quartiere si trova ancora più sotto pressione da parte di queste mire: sullo scalo Romana che si trova poco distante, è in costruzione il Villaggio Olimpico Milano-Cortina 2026. Si ripropone quindi la di speculazione guidata dai grandi eventi che ha avuto la sua massima rappresentazione in EXPO: il “modello Milano” dipinto come auspicabile e inevitabile e la collaborazione tra pubblico e privato per le trasformazioni urbane.
Ma, tuttavia, in questo contesto, tale appropriazione è accompagnata da un’operazione di re-branding del quartiere mirata a renderlo più attrattivo per gli investitori che riguarda la sfera simbolica e quella culturale, oltre a quella economica. Ciò avviene tramite l’invenzione di una narrazione (come avvenuto nei casi di Isola e Nolo) basata su un uso strumentale della cultura. Nel concreto, assegnando a Corvetto l’immagine di “quartiere degli artisti”, si tende a favorire l’insediamento di realtà di quest’ambito con una certa disponibilità economica, a spese degli abitanti attuali del quartiere e della loro vita quotidiana. Se non si conformano (o non possono permettersi di conformarsi) a questo nuovo “spirito culturale”, ne vengono automaticamente esclusi.
La mappatura si è focalizzata quindi sui grandi investitori che si stanno prendendo pezzi di quartiere e delle aree dismesse. Ne ripercorre la geografia, le attuali linee di cambiamento e le implicazioni che esse possono avere. Oltre a questo, ha individuato anche le trasformazioni culturali e spaziali dei vari pezzi del quartiere.
La trasformazione di Corvetto implica una riproposizione dell’enfasi portata da EXPO che mira a costruire qualcosa di nuovo? In parte sì, ma si tratta anche di una nuova forma di speculazione. È sufficiente leggere come viene presentato il quartiere nel sito di promozione urbana Yes Milano per capirlo: alcune caratteristiche attuali – ad esempio, la multiculturalità unicamente come diversità culinaria – vengono valorizzate in un modo de-politicizzato che non contesti la privatizzazione e l’arrivo degli investitori. Un’appropriazione simbolica di cosa significhi essere abitanti del quartiere che ignora i bisogni e le necessità di chi lo vive.
Questo lavoro vuole quindi restituire un’altra narrazione del “quartiere in trasformazione”, focalizzata proprio su ciò che la narrazione dominante nasconde. Con l’approccio collettivo, partendo dalla prospettiva di chi vive il quartiere, la mappatura propone una lente diversa per comprendere le trasformazioni in atto. Contrapposta all’ideologia del “Modello Milano”, essa mette in luce le linee di tensione che lo attraversano e la violenza strutturale che tale modello genera.