Si protesta in Brasile e si muore in Qatar nei cantieri aperti per realizzare le prossime edizioni dei mondiali di calcio. Si paga la crisi in Grecia e si suda freddo a Roma per effetto delle olimpiadi passate o col pensiero proiettato a quelle a venire. I giorni scorrono ovattati nei quartieri di Milano, dove l’unica certezza è che anche questa trovata dell’Expo scorrerà senza traumi né entusiasmi.
Qui, insensibili alla cartellonistica più invasiva di sempre, si vivacchia nella più gelida indifferenza verso l’evento vetrina che avrebbe dovuto spolverare l’immagine turistica e internazionale della city. Il composito fronte del sì (e con lui il precario versante dell’opposizione) guarda a questo autunno come definitivo giro di boa verso il traguardo del 1^ maggio 2015. Tutto quello che dentro e fuori i recinti dell’esposizione avverrà in quei sei mesi, si realizza qui ed ora. Un countdown lungo 500 giorni per edificare padiglioni e complessi residenziali, asfaltare le campagne, rivitalizzare ideologie moribonde e coagulare le galassie dei perplessi, degli indifferenti e dei furbi attorno ad un’expo assolutamente priva di appeal dentro e fuori le mura della città. Milano si scrive metropoli ma si legge paesone. L’Expo si vorrebbe mega-evento ma al posto dei rendering fantascientifici ci è rimasto in mano un grande timbro a colori da apporre freneticamente a qualunque iniziativa artisticoculturalscientifica ospitata in città e provincia per i prossimi due anni. Protette dalle campagne stampa si mettono in moto ruspe per il movimento terra, assalti alla diligenza dei bilanci pubblici, indagini della procura. Non è tutto. Contratti atipici, commissari straordinari, cantieri aperti 20 ore al giorno, ci parlano di una scommessa sull’eredità dell’evento che tracima la nostra stessa lettura precedente.
Debito, cemento e precarietà sono i tre pilastri su cui si fonda il potere eversivo di un’esposizione che sta già mutando forme del territorio, rapporti di lavoro, organizzazione della vita metropolitana. Siamo alla resa dei conti: le larghe intese sono decise a nascondere sotto un tappeto di asfalto le contraddizioni sociali generate dal modello produttivo che abbiamo sin qui conosciuto in questo angolo di mondo. Questa la posta in gioco e questa l’ipotesi di lavoro su cui ci siamo confrontati con le altre comunità di ricerca e azione territoriale nella narrazione di ExpoPolis.
I movimenti contro le grandi opere, le opposizioni alle nocività, l’assemblea convocata la scorsa estate al Monte Amiata da Genuino Clandestino, hanno deciso di convergere in una giornata di azione diffusa per il territorio bene comune sabato 12 ottobre. A Milano i comitati a difesa dei parchi sotto scacco (La Goccia, Giardino degli Aromi, Pagiannunz..), la rete Terre In Moto e le soggettività dell’Attitudine No Expo si sono convocate per una pedalata critica e una piazza tematica condivisa in cui confrontarsi sul futuro della città..e il presente della nostra azione collettiva.
L’appuntamento è per sabato 12 ottobre, a Milano, alle ore 14.30 alla Stazione di Affori