La politica degli ultimi decenni ha sempre privilegiato l’annuncio rispetto alla sostanza delle misure proposte, per cui ciò che è possibile affermare oggi in virtù del famigerato “pacchetto sviluppo” è piuttosto relativo. Ricordiamo già numerose iniziative tremontiane atte a stimolare processi economici di crescita o di lotta alla recessione poi rivelatesi autentici buchi nell’acqua, fra tutte i tremonti-bond, che dovevano sostenere la concessione del credito e che ebbero invece un impatto zero, tanto che oggi nessuno li ricorda più. Passera però, come si dice sui giornali, è un tecnico, il tecnico a cui è affidato il lancio della fase due del governo Monti, il governo che per Repubblica ed il Corriere sta salvando l’Italia.
Data l’entità e l’ambizione della manovra, non ci finisce di sorprendere il costante disinteresse nel dibattito pubblico, a tutti i livelli, in merito a questo importante passaggio che definisce una linea sulla quale si inserisce, come minimo, il futuro di questo paese. Al di là del colore del prossimo governo, i provvedimenti che vi sono inseriti definiscono nel medio/lungo periodo l’indirizzo della politica industriale nazionale.
Consideriamo il fatto che per i tecnici che presiedono il governo (ma anche per i politici che siedono in parlamento o nelle redazioni dei più grossi giornali italiani) questa crisi offre due ordini di problemi: il primo è la riduzione del debito ed il secondo è la crescita del PIL. Se da un lato c’è bagarre, giustamente, sulla questione dei tagli orizzontali e dello smantellamento del pubblico, dall’altro non vediamo lo stesso interesse rispetto a ciò che riguarda le misure proposte per “far riprendere l’economia”. Questo è un forte limite del dibattito pubblico, a tutti i livelli, perché è nell’agenda sviluppo che il governo sta elaborando in questi giorni che si decide, per esempio, il futuro dei territori sia in termini di devastazione sia in termini di sovranità. La collettività ha un ruolo in merito a decisioni di questo tipo o deve accontentarsi di reagire a ciò che le viene proposto, senza possibilità di passare al versante della proposta?
Non faremo qui un’analisi esaustiva di questo pacchetto, vogliamo invece concentrarci su alcune misure che riteniamo forti e fortemente indirizzanti la futura economia e la futura organizzazione sociale.
Ciò che colpisce maggiormente è l’abbattimento dell’IVA rispetto agli investimenti sulle nuove opere infrastrutturali, misura aberrante per tutti coloro che da anni si battono contro gli scempi ambientali. Questi (scempi) hanno prodotto un consumo di territorio unico in Europa in grado di produrre un dissesto ambientale che si traduce in tragedia ogni qualvolta accade un acquazzone (addirittura su L’Espresso troviamo una forte critica a questo tipo di atteggiamento http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2012/08/17/news/consumo_suolo_all_estero-39849608/). Il ministero calcola un fabbisogno di 300 mld di euro per le prossime infrastrutture, al 18% di Iva sono 54 mld di euro tolti all’erario, per Passera recuperabili dall’opera stessa (nel caso delle autostrade si presume dal pedaggio…). Ovviamente il nuovo presidente di Confindustria, Squinzi, la cui Mapei è leader nel settore della produzione di materiali per l’edilizia, plaude l’iniziativa, così come la Cassa Depositi e Prestiti che ha in ballo numerosi nuovi progetti infrastrutturali (vedi TEM) e gestisce attraverso i suoi fondi tratti autostradali (vedi Serravalle). Questa imponente misura, in sostanza, ci indica quale sarà il settore considerato trainante della ripresa economica: quello delle grandi infrastrutture (ricordate il New Deal? al netto delle politiche sul welfare).
Oltre a misure che interessano una dimensione tributario/fiscale (che determinano però buchi di bilancio la cui ricaduta ha molteplici effetti) il pacchetto si avvale della serie di provvedimenti denominati “Semplifica Italia”, che dietro al dogma inviolabile (almeno dagli anni 80) della semplificazione della burocrazia cela il tentativo di centralizzare i luoghi della decisione rispetto a molte questioni, di competenza a questo punto non più locale ma direttamente del governo nazionale. Non è un caso che si parli, sempre nello stesso pacchetto, anche di nuovi approcci burocratici alla disciplina delle autorizzazioni ambientali, incriminata di far perdere eccessivo tempo alle imprese: è in arrivo l’autorizzazione unica ambientale per le pmi. Sportello unico anche per l’edilizia. Di fatto, oltre ai costi da affrontare, l’altro grande vincolo storico che rallenta la costruzione delle grandi infrastrutture è la necessità da parte dell’istituzione di garantire ai cittadini quanto meno una limitazione della devastazione ambientale, o per lo meno un controllo di questa. Semplificaitalia aggredisce questo dispositivo.
Non si parla ovviamente solo di autostrade, il pacchetto si occupa anche di porti, interporti, alta velocità, energia, termovalorizzatori, con un particolare richiamo ad un rilancio della produzione nazionale di idrocarburi, oltre che il ritorno in pompa magna dei rigassificatori, oggi pare i nuovi salvatori della patria. Quando c’era Berlusconi molta stampa li considerava un’idiozia novecentesca. Ciò che si dice sulle energie rinnovabili, rispetto a cui sulle politiche di incentivi degli ultimi anni ci sarebbe molto da discutere, è poco influente rapportato al contesto generale.
Proprio la questione idrocarburi ci permette a questo punto di uscire da un livello di discussione, se vogliamo, più generale per accedere ad una dimensione più terrena (o meglio localizzata) rispetto a cui esprimeremo alcune spicciole osservazioni per sollevare la questione dell’impatto territoriale di questo pacchetto. Non ritornando sulla questione delle autostrade, rispetto a cui abbiamo già offerto brevi cenni ed esiste già un fronte di opposizione metrolombardo.
Idrocarburi
http://lombardia.indymedia.org/node/47230
Già il comitato “No al pozzo di petrolio nel parco del Curone” ci mette in guardia sul pericolo trivellazioni in Brianza, pericolo oggi più imminente considerata sia la volontà di rivedere le “restringenti” (per utilizzare il gergo di Passera) normative di limitazione delle trivellazioni sia la scelta rispetto a cui il governo diviene, attraverso uno “sportello unico”, interfaccia diretta con le aziende che vogliono investire in Italia.
Fondo per incentivare nuove start-up
C’è chi continua a credere che in Italia non ci sia impresa per via della difficoltà nell’aprire legalmente nuove attività. In realtà il problema sembra non derivi dalle difficoltà burocratiche che emergono qualora si attiva una volontà imprenditoriale, le difficoltà emergono ad attività avviata, tanto che un recente studio su ciò che accade a Milano nota come sempre più giovani (anche se il marketing totale ormai ci ha insegnato che non si finisce mai di essere giovani…) stiano aprendo nuove attività ma che nove su dieci di queste nuove aziende chiudono nel breve periodo. http://milano.repubblica.it/cronaca/2012/08/14/news/strage_delle_nuove_imprese_create_dai_figli_della_crisi_-40907566/
Il piano città
Il governo mette a disposizione 2 miliardi di euro per incentivare operazioni tese a riqualificare quartieri degradati. Milano ha già un progetto che rientra all’interno di questo disegno, quello di Bovisa/Gasometri, progetto di EuroMilano, azienda che ha in ballo tre diversi progetti nei terreni limitrofi all’area Expo2015 (gli altri due sono ad Arese-area Alfa e a Cascina Merlata). Tutte e 3 le operazioni non sono tese a riqualificare alcun quartiere bensì a costruire nuovi quartieri, attraverso ovviamente variazioni di destinazione d’uso (quindi valorizzazioni milionarie). Questa nuova cementificazione, che sorge in una città in cui il problema non è la mancanza di alloggi ma è l’eccesso di alloggi vuoti (ed il difetto di aree verdi), è osservabile a questo link
http://www.euromilano.net/progetti-euromilano-nuova-bovisa.html
Navigando nel sito di Euromilano è possibile conoscere chi sono gli attori che compongono la società e quali sono gli altri progetti in corso. Un’apposita scheda “Euromilano” è reperibile anche nell’opuscolo ExitExpo2015.
Grazie al pacchetto sviluppo ora veniamo a conoscenza anche di chi sarà il vero finanziatore del progetto Bovisa/gasometri: la collettività. In merito alla mancanza di alloggi, il Comune di Milano, ha preferito non effettuare il censimento degli alloggi sfitti, forse è ora di attivare un censimento dal basso.
In linea di principio, il pacchetto sviluppo racchiude elementi di pianificazione anche se si discosta e di molto da ciò che consideriamo una pianificazione della politica economica, quella tanto per intenderci cara al keynesismo anche in senso lato oltre che ovviamente alle economie socialiste. L’approccio del pacchetto sviluppo, ma non è assolutamente una novità del governo Monti, è spiccatamente neoliberale, o neoliberista che dir si voglia. Ormai da decenni l’approccio della politica economica di questo paese possiede questa caratteristica ma per la prima volta, a prima vista (un’analisi più accurata del pacchetto deve come minimo attendere i primi effetti di questa) si pone fine alla chiacchiera dell’economia che si regola da se e dello Stato che non vi deve intervenire. Argomenti ben lontani da ciò che in realtà affermano sia gli economisti neoliberali sia i tecnici del governo Monti. Al contrario sono gli interventi dello Stato, spesso da finanziatore, a volte da facilitatore, sempre da referente autorevole in grado di bypassare le difficoltà “locali” e quindi in grado di trasferire poteri decisionali dai nodi al cuore della rete istituzionale, a render possibile il profitto, per cui se esiste un piano di conflittualità fra gli interessi dell’istituzione politica con quelli del mercato, è vero anche che esiste, oggi più che mai, un’importante progetto di collaborazione fra mercato e istituzioni politiche in cui il primo è nel rapporto dialettico il fattore più importante, ed il secondo è il fattore che ha come compito quello di garantire al primo di crescere creandone le condizioni adatte. Nel “pacchetto sviluppo” il riferimento che vuole offrire una misura allo sviluppo supposto è l’impatto della misura sul PIL, lo sviluppo è la crescita del PIL, niente di più, niente di meno. Il PIL, fra le altre cose, non cresce e non crescerà, gli interventi in realtà mirano a preservare gli interessi di alcuni potentati economici che altrimenti si troverebbero in seria difficoltà.L’attacco dei mercati alle economie nazionali è per questo una mezza verità, o forse una mezza bugia a seconda del nostro modo di vedere le cose: è comunque più vero notare un disegno comune di mercati e istituzioni nazionali che mira a riformare l’intera organizzazione della società, limitando le forme di autocontrollo e di contropotere di questa. Il pacchetto sviluppo sarà quindi, ci auguriamo, uno dei protagonisti di quest’autunno, in cui oltre allo smontare la retorica del merito, a lottare contro l’affossamento della ricerca e della cultura, a mostrare il vero volto della riforma Fornero, forse la più mostruosa fra le riforme del governo Monti, ci auguriamo emerga anche il bisogno di discutere da che parte stiamo andando, cosa vogliamo produrre ed in che modo e (in che quantità) l’economia debba entrare nelle nostre vite.