“Valle Urbana – Gigantesco prato – Foresta sospesa – Esperimento di nuove intersezioni tra mondo naturale e mondo dell’artificiale”….spostiamo indietro le lancette del tempo di un decennio, cambiamo alcuni termini e la location, ma sembra di riascoltare la narrazione tossica che ha preparato Expo 2015, ora traslate sulle Olimpiadi. A ricalcare ulteriormente, il sogno dei “10 milioni di visitatori” che s’immagina il capo cordata dell’operazione “Scalo Romana” – Manfredi Catella di Coima. E’ “la Milano di domani” rinforza colui che del greenwashing e della propaganda sulla città con la miglior qualità della vita facendo il suo brand, Beppe Sala. Ciò su cui punta per recuperare quella regressione all’epoca pre-Expo, in termini di PIL, che il Covid-19 ha imposto alla “Milano Città-Stato”, con terrore della sua alta borghesia (im)produttiva.
Stiamo parlando, se non si fosse capito, della presentazione del progetto di trasformazione dello Scalo Romana, prima nel Villaggio Olimpico per i Giochi Invernali 2026 e poi in quello che i progettisti chiamano “Parco Romana”. Più che un progetto sembra di guardare un ologramma, con il solito Grande evento come orizzonte di tempo e di spazio (il 2026 e 400 km di arco alpino usati come fossero dietro l’angolo), che al di là di rendering e della solita patina “verde-Sala” non può nascondere la metamorfosi.
Innanzitutto lo Scalo Romana era un’area pubblica, ceduta da FS Sistemi Urbani alla cordata Coima-Fondazione Prada-Covivio per una cifra di 180 milioni di €, irrisoria per una superficie di 200.000 mq e relativi diritti edificatori agevolati dal nulla osta del Comune alla trasformazione in nuovo ambito per investimenti immobiliari. Quello che 60 anni fa destava scandalo nel film Le mani sulla città è diventato norma e prassi. Poi c’è l’aspetto clamoroso della trasformazione, quasi una contraddizione dei principi della termodinamica: prima scalo ferroviario, poi area abbandonata in gran parte libera e rinaturalizzata e, infine, di nuovo “mezzo parco” (il 50%? Non proprio) che addirittura farebbe diminuire il consumo di suolo prodotto dall’operazione. Prodigi del “modello Milano”.
Senza nessuna attenzione al contesto, ai quartieri popolari adiacenti (sia mai), dal Villaggio Olimpico e relativi servizi avranno poi origine residenze, studentati e il completamento del business district che già caratterizza la zona a sud dello scalo tra Fondazione Prada e Centro Symbiosis. 10.000 i nuovi abitanti previsti di questo “Quartiere Prada”. Il tutto dovrà essere confermato dal consueto “percorso partecipativo” di consultazione, di cui è facile prevedere l’esito conoscendone i meccanismi già verificati e consolidati anche nei casi dello Scalo Farini o del Progetto Navigli: una chiamata alla partecipazione per discutere delle briciole, senza mai affrontare davvero la sostanza o mettere in discussione l’assetto complessivo del progetto. Ci penserà la propaganda visuale, con immagini futuristiche quanto irrealistiche, e la promessa dell’arricchimento dei metri quadri esistenti per costruire il consenso. Alla fine, a Milano bisogna costruire e si costruirà.
Ci vuole una bella faccia tosta per propagandare un’operazione di valorizzazione di un pezzo di città pubblica a vantaggio di 2-3 gruppi finanziari e immobiliari privati, con annessa conseguente gentrificazione delle zone più popolari adiacenti, facendola passare per svolta “green” della pianificazione urbana e nuovo modello “social” di quartiere. Il modello di crescita metropolitana affermatosi negli ultimi 20 anni esige di fatto la cancellazione della città reale in favore di nuovi contesti fondati sul nulla se non l’interesse dell’investitore che punta tutto sulla trasformazione sociale e urbana del tessuto da cui andrà a estrarre valore impoverendo gli abitanti che non saranno in grado di reggere il peso della “rigenerazione”. Sembra di sentire le parole dello scrittore cileno Pedro Lemebel a proposito della trasformazione della Santiago post-dittatura, “quartieri usa e getta, senza storia, senza passato che possa trascinare un trauma futuro, dove è più facile vendere la felicità”.