L’utopica speranza che la coincidenza di crisi economica e sociale (causate dalle speculazioni sulle risorse energetiche e sulle materie prime alimentate da pandemia e guerra in Ucraina) e dell’emergenza climatica e ambientale, su cui si è innestata la crisi di governo e le conseguenti elezioni anticipate, portassero a rivedere i piani per le Olimpiadi Milano-Cortina 2026 è crollata con l’ultima versione del Decreto Aiuti emanata dal Governo Draghi a inizio agosto. Con lo stanziamento di ulteriori 500 mln di euro per opere ritenute essenziali, supera i 2 mld la cifra complessivamente stanziata fino a oggi e, guardando alle Olimpiadi del recente passato, di sicuro non sarà quella definitiva. Quelle che dovevano essere Olimpiadi a costo zero o quasi e sostenibili per territori e ambiente, come dichiarato alla nausea da Sala, Zaia, Fontana e Malagò, non solo si confermano come un evento e un business gravoso per casse pubbliche, ecosistemi e consumo di suolo, ma stanno alimentando una dinamica perversa, visti i tempi che viviamo, che rischia di devastare in maniera irreversibile ampie fette di territori montani e risorse idriche, in nome di un modello neoliberista e ad alto impatto ambientale di turismo che la Montagna non può più sostenere.
L’anno e l’estate che stiamo vivendo hanno evidenziato e reso tangibile, qualora ce ne fosse il bisogno, quanto sia attuale e non più rinviabile imporre un netto cambiamento al modello di sviluppo e di vita proprio del sistema capitalistico nella sua fase attuale e affrontare le conseguenze che sta generando al Pianeta e al suo equilibrio climatico e ambientale. Chi irrideva le giovani generazioni affascinate seguaci di Greta Thunberg, quando parlavano di emergenza sul Pianeta Terra chiamata surriscaldamento globale e cambiamenti climatici, deve fare i conti con la realtà di un clima, parlando del nostro Paese, sempre più secco che ha portato quest’estate a una crisi idrica senza precedenti. Le temperature costantemente elevate e per un lungo periodo, senza rilevanti precipitazioni, con lo zero termico abbondantemente sopra i 4500-5000 mt di quota, hanno fatto scempio delle masse glaciali alpine, già profondamente intaccate negli ultimi 30 anni da una costante riduzione delle dimensioni e della massa. Le conseguenze le abbiamo viste, e le stiamo pagando in termini di maggiori costi per l’alimentazione, tutte e tutti: laghi e fiumi ridotti al minimo se non in secca, dighe svuotate per consentire un minimo di afflusso d’acqua verso i sistemi d’irrigazione dei campi coltivati, maree saline che sono risalite per chilometri lungo il Po con danni irreversibili alle culture e all’ecosistema della foce. Quando poi le piogge sono arrivate, sono state torrenziali, trombe d’aria, uragani in puro stile caraibico, frutto di un Mar Mediterraneo mai così caldo, con conseguenti danni ingenti causati da frane, smottamenti, piene alluvionali, vento e cadute di alberi, eventi amplificati spesso dal perdurante dissesto idrogeologico di gran parte dei territori montani e collinari e dal pesante impatto avuto negli anni da edificazioni, infrastrutture, opere di trasformazione del paesaggio, disboscamenti, incuria e abbandono degli ambiti boschivi e montani, prevalentemente in costante spopolamento, tranne che nelle località e nelle vallate più mainstream da un punto di vista turistico.
Le valli dolomitiche e le loro belle, ma fragili, montagne hanno mostrato tutti gli effetti e le conseguenze dei cambiamenti climatici, generati dal surriscaldamento globale, su un ecosistema così particolare: l’inverno secco e privo di neve e l’estate torrida hanno favorito distacchi e frane un pò in tutti i gruppi montuosi delle Dolomiti (senza dimenticare la vicenda della Marmolada), e le forti piogge d’agosto hanno causato danni in diverse vallate, anche in quelle zone, Cortina d’Ampezzo e le valli di Fassa e Fiemme, interessate dalla kermesse olimpica del 2026. La conferma che sono territori che necessitano ben altro che nuove opere, infrastrutture, cemento, ad aggravare un equilibrio idrogeologico già compromesso dal combinato effetto degli agenti atmosferici, del tempo e del pesante impatto antropico, peraltro crescente, spinto dalla turistificazione di massa anche degli ambienti montani. Analogo discorso si potrebbe fare anche per l’alta Valtellina, altra “zona olimpica”, altrettanto sfruttata e devastata da cemento, impianti e asfalto e dove i temporali estivi hanno dimostrato quali dovrebbero essere le priorità di quei territori. E strideva, in queste settimane di siccità, vedere pieni d’acqua gli invasi artificiali dei comprensori sciistici, utilizzati per fare scorte per l’innevamento artificiale, mentre mancava l’acqua per coltivare prodotti necessari alla nostra alimentazione. La dimostrazione di dove sia arrivata la follia di voler alimentare un modello di turismo montano invernale sempre più insostenibile ambientalmente, ma che lo diventa anche economicamente per migliaia di appassionati, perché sempre più caro dovendo sostituire la neve vera (che è gratis) con quella sparata che costa e anche tanto, oltre che in termini ambientali, anche energetici. Non a caso molte stazioni sciistiche chiudono per bilanci in rosso (salvo sovvenzioni milionarie nelle Regioni e nelle Province autonome) e i comprensori diventano sempre più grandi e simili a luna-park, per poter generare economie di scala, e soprattutto, restare attrattive nella competizione tra le località montane nel mercato del turismo globale (un pò come succede alle metropoli).
Ma se il Pianeta, il clima, la Natura, lanciano segnali sempre più frequenti e inequivocabili, il sistema politico e di governo e i media mainstream che lo sorreggono, proseguono imperterriti sulla china disastrosa di considerare territorio e risorse naturali come beni infiniti da sfruttare, distruggere, mettere a valore, riempiendosi la bocca di paroloni quali sostenibilità o transizione ecologica, per il consenso e quel tanto di greenwashing che non basta mai, a sviare l’opinione pubblica. E così mentre la Penisola bruciava, arsa da siccità e roghi, e un po’ ovunque si contavano i danni dei sempre più frequenti fenomeni temporaleschi eccezionali per intensità e violenza, il Governo confermava tutta la sua distanza dal mondo reale e il servilismo agli interessi economico-finanziari, stanziando nuovi ulteriori fondi, con il già citato Decreto Aiuti, per le opere da realizzare in vista delle Olimpiadi Milano-Cortina 2026 e portando la cifra complessiva finora stanziata a oltre 2 mld (ai quali andrebbero sommati altri svariati miliardi per infrastrutture viabilistiche e TAV Brescia-Venezia, non direttamente essenziali per lo svolgimento dei giochi ma contenute nel dossier olimpico presentato al CIO e nei vari documenti governativi e della Fondazione Milano-Cortina 2026 che descrivono lo scenario olimpico). Il Decreto, così come comunicato dalla società di scopo “Infrastrutture Milano-Cortina 2020-2026 Spa” agli Enti Locali coinvolti, distingue tra opere essenziali indifferibili (indispensabili per lo svolgimento dei Giochi), pari a circa 284 mln di euro, ed essenziali per circa 1,88 mld di euro e legate a interventi viabilistici e ferroviari necessari per i collegamenti tra le diverse località interessate dalle gare, molte delle quali potrebbero anche non essere pronte per il 2026 (lo dicono loro!!!) nonostante i vari decreti sul tema olimpico abbiano previsto per tutte queste opere procedure semplificate e deroghe alle normative in tema di appalti e valutazione ambientale. Una caratteristica comune ad altri grandi eventi (ultimi in ordine di tempo Expo2015 e Mondiali di Sci a Cortina): si inseriscono nei dossier decine di interventi infrastrutturali, a prescindere dall’effettiva utilità e realizzabilità nei tempi previsti, perché ci sono risorse economiche altrimenti indisponibili (ma le casse sono sempre quelle pubbliche ossia le nostre tasche) e perché si possono aggirare leggi e procedure grazie a deroghe o poteri commissariali conferiti ad hoc.
Entrando nel merito dei vari interventi finanziati, abbiamo la conferma di quanto le Olimpiadi 2026 saranno impattanti per i territori che le ospitano. Tra le opere essenziali indifferibili, vengono stanziati 261 mln per la realizzazione o la ristrutturazione di impianti, piste e strutture per gare; tra questi spiccano per costi e inutilità gli 85 mln per la pista da bob a Cortina, contestata dagli abitanti, che non piace nemmeno al Comitato Olimpico Internazionale, uno spreco considerando l’esistenza di soluzioni pronte alternative (coinvolgere Innsbruck e la sua pista) e la sicura scarsa utilità per una disciplina che in Italia non raggiunge i 20 praticanti. Altre voci di spesa inutili, vista l’esistenza di altri impianti nel Paese e i possibili utilizzi futuri, sono quelle per ristrutturare il trampolino di Predazzo (TN), 23,5 mln, e il nuovo stadio del pattinaggio di velocità a Baselga (TN), costo 50 mln. Importanti anche gli stanziamenti in alta Valtellina dove sono previsti oltre 50 mln di spesa per nuove piste, impianti di risalita e bacini artificiali per l’innevamento, sia a Bormio che a Livigno.
Per Milano si parla solo dei circa 13 mln necessari a ristrutturare il Palasharp, perché l’Arena prevista al quartiere Santa Giulia sarà realizzata da privati (ma ovviamente dietro concessioni e agevolazioni avute dal Comune). Altri 100 mln di euro circa verranno invece spesi per realizzare i villaggi olimpici di Predazzo e Cortina (dove i comitati locali hanno già dimostrato che con pochi milioni di euro anziché i 48 previsti si possono recuperare alberghi e strutture esistenti senza nuovo consumo di suolo e cemento) e per ristrutturare immobili pubblici per l’ospitalità, l’accessibilità e i parcheggi degli impianti di gara e i servizi di supporto alle Olimpiadi.
Rispetto invece agli interventi infrastrutturali, si evidenzia ancora una volta la centralità del trasporto su gomma e privato nel modello di mobilità pensato per i Giochi, con un impatto sui territori e un costo accentuato dalla distanza tra le diverse località di gara. La maggior parte delle risorse stanziate è destinata a nuovi percorsi viabilistici ad alto impatto ambientale in zone ad alto dissesto idrogeologico e spesso nelle cronache dei media per le conseguenze di fenomeni franosi o alluvionali: 570 mln di euro è la spesa per realizzare le tangenziali di Cortina e Longarone (dove finisce l’autostrada Venezia-Belluno) a fronte dei soli 12 mln stanziati per interventi sulla linea ferroviaria Venezia-Calalzo; 385 mln i fondi destinati per interventi viabilistici in Lombardia, di cui 40 mln servono per la tangenziale di Sondrio, anche su strade e percorsi lontani dalle sedi di gara (da Busto Arsizio a Trescore Balneario per citare due degli interventi più significativi), mentre solo 96 mln vengono spesi per migliorare la linea ferroviaria Milano-Tirano, in maggioranza concentrati sulla ristrutturazione della stazione di Tirano. Importanti voci di spesa sono poi i 150 mln per interventi sulla viabilità nelle valli di Fassa e Fiemme e in Val Pusteria, anche questi luoghi che necessiterebbero altro che non nuove strade e asfalto, e i 211 mln per collegare la stazione del Malpensa Express alla rete ferroviaria nazionale.
Come se non bastasse l’impatto di queste opere citate, andrebbero aggiunti e ricordati altri interventi o progetti pubblici e privati che fanno da corollario a queste infrastrutture e impianti ritenuti essenziali. Oltre alla già citata TAV Brescia-Venezia, sul piano viabilistico spiccano il collegamento Malpensa-Abbiategrasso (una nuova tangenziale ovest esterna di fatto), il completamento della Pedemontana Lombarda e di quella Veneta, oltre ad altri progetti, fortunatamente per ora solo su carta, miranti a potenziare le direttrici di collegamento verso il valico del Brennero (collegamento autostradale tra Parma e la A22 del Brennero) e a potenziare la rete autostradale nella bassa padana (Broni-Mortara e Cremona-Mantova). Ancora più pericolosa è la miriade di interventi privati che la macchina olimpica, e le aspettative di business e di marketing territoriale, sta generando, soprattutto nelle località alpine interessate dalle gare e nelle zone adiacenti. Ovviamente la parte preponderante sono interventi sul fronte immobiliare volti a incrementare l’offerta alberghiera e di nuovi appartamenti per il turismo, pensando non tanto a chi dovrà trovare alloggio per seguire i 15 o 20 giorni di eventi olimpici, ma al volano che si attende che le Olimpiadi generino per qualche anno sui flussi turistici, senza preoccuparsi di cosa questo significhi in termini di consumo di suolo e, soprattutto, di impatto ambientale sull’ecosistema alpino (tra questi spicca il progetto di mega-resort di lusso al Passo Giau, sopra Cortina, dove a inizio giugno si è tenuta la manifestazione Salviamo la Montagna. Altrettanto devastanti sono i progetti volti a potenziare l’offerta sciistica, anche in zone e ad altitudini dove sempre più futuro sarà impossibile sciare su neve naturale per effetto del surriscaldamento globale (il consorzio CIPRA che studia da anni gli ambienti alpini stima che nel giro di un decennio sarà quasi impossibile sciare sotto i 1800 mt di quota, altezza sotto la quale la permanenza di un manto nevoso stabile per tutta la stagione invernale sarà sempre più improbabile) con il conseguente saccheggio di una risorsa fondamentale come l’acqua per garantire al luna park di poter funzionare. In tal senso citiamo i fondi stanziati dalla Regione Lombardia per il nuovo sistema di innevamento (e relativo bacino di accumulo delle acque) ai Piani di Artavaggio (LC), 1600 mt di quota, ma non è certo l’unico progetto folle in tal senso. Soprattutto nella zona dolomitica le richieste di nuovi impianti e piste da sci è proliferata negli ultimi anni, o per connettere le valli adiacenti alla conca e alle piste di Cortina, ovvero per realizzare comprensori in grado di essere concorrenziali alla località ampezzana (vedi Alta Pusteria e collegamento con il Comelico). Idem discorso si potrebbe fare per il progetto di collegare gli impianti di Livigno-Bormio e Santa Caterina di Valfurva per realizzare un unico comprensorio in grado di fronteggiare ed essere concorrenziale al Dolomiti Superski o al MonteRosa Ski, per citare due esempi.
Per l’impatto che hanno le opere previste, amplificato da progetti e iperboli che il business olimpico genera (vedi la ricca fascista arroganza dell’onorevole Santanchè e la sua proposta di un aeroporto a Cortina, perché insomma i ricchi mica possono fare le code o prendere i mezzi del trasporto pubblico), le Olimpiadi 2026 non solo non saranno giochi a impatto zero su conti pubblici, ambiente e territori che le ospiteranno, ma rischiano di essere il volano per dare il colpo letale ai territori montani interessati e alle vallate che conducono ai siti di gara. Non solo, ma non fanno che alimentare una dinamica tossica, che non riguarda solo gli ambiti montani ma che in questi è oltremodo nociva, per cui al turista, soprattutto se ricco, tutto è dovuto in termini di servizi e fruizione, a fatica zero, di bellezze naturali e paesaggistiche che, ovviamente, devono essere raggiungibili in breve tempo, con auto o impianti a fune, per essere in sintonia con il modello “mordi e fuggi” che caratterizza oggi la turistificazione di massa: costi ambientali, sociali ed economici scaricati su chi vive stabilmente, così da poter essere più attrattivi e concorrenziali, nelle dinamiche del turismo globale, anche a discapito dei danni che questo genera e lascia sui territori coinvolti in questi processi e che diventano ambientalmente insostenibili e dannose per il nostro futuro (basta pensare ai danni a foreste e sistema delle acque).
Nelle settimane e nei mesi scorsi, voci molteplici e autorevoli si sono levate contro gli scempi delle opere previste per le Olimpiadi 2026, ma provenienti soprattutto da chi vive le valli dolomitiche e l’alta Valtellina, dal mondo alpinistico e ambientalista o da realtà associative (su tutte Mountain Wilderness) che mettono la tutela della Montagna, dei suoi paesaggi e delle sue genti, al centro del proprio agire. E’ mancata la voce dei movimenti, delle lotte metropolitane, dei tanti soggetti precari e non che indirettamente o direttamente pagheranno i costi sociali degli sprechi olimpici. E’ mancata, soprattutto, la voce di Milano, che più di altre, anche per le pessime condizioni ambientali e non solo che vivono i milanesi, dovrebbe alzarsi e dire basta a questo modello di sfruttamento della Montagna e a una progettualità finalizzata solo nel solco del grande evento salvifico. L’autunno che verrà si annuncia foriero di “lacrime e sangue” per gran parte delle persone, a conseguenza delle crisi di cui scrivevamo in apertura, e renderà probabilmente ancora più inutili e insostenibili buona parte delle opere sopra elencate. Soprattutto renderà necessario un diverso atteggiamento e una risposta forte e radicale a quanto la macchina olimpica metterà in moto sui vari territori. Servirà una risposta inequivocabile senza se e senza ma e Milano e i milanesi non potranno sottrarsi o lavarsene le mani. Noi come sempre, contro grandi opere e grandi eventi inutili, nocivi e imposti, ci saremo e faremo la nostra parte, e stiamo lavorando all’organizzazione di un Convegno per l’autunno che possa diventare momento di condivisione di analisi e proposte e prodromo di successive iniziative e mobilitazioni sul tema olimpico. Ma è necessario e indifferibile, anche rispetto alle dinamiche di sviluppo che la metropoli sta avendo, che su questo terreno conflittuale si esca tutte e tutti dalle proprie appartenenze, dalle proprie zone comfort, superando sfiducie, diffidenze e differenze. Non si tratta solamente di avere una città più vivibile o solidale, o di bloccare qualche progetto qua e là, ma in gioco c’è un pezzo del nostro futuro e quello del patrimonio di biodiversità che le nostre valli alpine offrono.