Finite le Olimpiadi è tempo di bilanci. Ma veramente esistono bilanci in grado di giudicare l’impatto di un grande evento? Mentre sul mainstream si profila l’ennesimo spot pro grandi eventi, favorito probabilmente dal discreto medagliere italiano alimentato da successi in discipline che hanno una visibilità minima e dovuta esclusivamente alle Olimpiadi (se il medagliere fosse stato scarso diverso sarebbe il tenore della grande stampa…), nei meandri della rete prolifera invece una lettura critica dell’evento già presente per la verità prima dei giochi.
Non fa quasi più notizia l’aumento della spesa 7 volte di più delle stime fatte nel 2005 (sarebbe interessante sapere se anche in Inghilterra la responsabilità di questi aumenti viene attribuita alla troppa burocrazia) non fa più notizia nemmeno la fine del binomio grande evento/grandi guadagni, persino Moody’s e Visa Europe, al termine di studi discutibili i cui parametri di comparazione sono riferiti alle esperienze di Pechino 2008 e Mondiale di calcio in Sudafrica 2010, considerano irrilevanti nel medio periodo gli effetti sull’economia nazionale. Non sono quindi considerazioni di carattere più materiale ad ergersi in difesa del grande evento del ventunesimo secolo bensì le considerazioni che riguardano “l’energia liberata” ed il nuovo “immaginario” prodotto da questi eventi. Nel caso della capitale inglese, l’immagine della città non era certamente da rilanciare per migliorarne l’attrattività turistica: è già una delle capitali più turistiche al mondo.
Niente di nuovo quindi in mezzo al fumo di Londra. Com’è possibile misurare questi valori per effettuare una valutazione credibile di Londra 2012 non è dato sapere, è possibile invece sottolineare una costante che idealmente lega gli ultimissimi grandi eventi: l’attenzione all’ambiente. Le Olimpiadi londinesi ci hanno presentato palasport smontabili come Lego (pare vogliano vendere il palazzetto del basket all’Olimpiade brasiliana) e stadi composti da materiale di riciclo, il tutto sponsorizzato da BP (ricordate la marea nera nel Golfo del Messico di un paio d’anni fa?!?), Dow Chemical e McDonald’s.
Per avere un metro rispetto all’impatto urbano dell’Olimpiade sull’East End londinese occorrerebbe invece avere nozioni sia sulla storia di quel quartiere sia su ciò che è accaduto negli ultimi anni: noi non ne abbiamo e difficilmente ne avremo in futuro, ma un’analisi credibile da spendere nel campo delle politiche dei territori verrà proprio da ciò. Ovviamente niente trapela nei report dei giornalisti inviati a Londra, in luogo più per l’evento in senso stretto che per l’evento nel suo senso più interessante.
Vi offriamo i diversi link che offrono valutazioni della prima ora rispetto a Londra 2012, fra questi particolarmente interessante è questo di fanpage, in cui il ragionamento di Londra e del vintage, dell’eterno riproporre un passato usurato e ritarato sugli standard attuali, è estendibile al vecchio continente, che oggi cerca appunto attraverso vecchie formule di superare il difficile momento. Expo2015 a parte, i restanti grandi eventi sono tutti localizzati fuori dal nostro continente, segnale anch’esso della scarsa opportunità di inserire eventi simili nell’attuale contesto. Prima del 2015 difficilmente usciranno analisi credibili di ciò che è stata Londra 2012.
Altre fonti per approfondire il tema: Cadoinpiedi | EuropaQuotidiano | LaVoce | LaStampa | Linkiesta | PmiServizi