L’eccellenza nell’era della città vetrina | vol.1

Nella Lombardia dell’era Formigoni il marketing politico era dominato da un tormentone: l’eccellenza. L’eccellenza lombarda nella sanità pontificata mentre il San Raffaele e l’eccellente Fondazione Maugeri si sbriciolavano come neve al sole travolti da debito e corruzione. Mentre il Santa Rita veniva conosciuta in tutto il mondo come “clinica degli orrori”. Finito il regno del Celeste, l’eccellenza continua a dominare lo scenario dei buoni propositi della governo della metropoli nel pre Expo 2015. L’intervista tipo del politico di turno non può non tirare in ballo l’eccellenza lombarda: “nell’agroalimentare, nell’industria….forse è meglio dire nell’artigianato….e poi la moda si! Questa l’ho detta giusta. Beh, forse è meglio non entrare nel dettaglio: l’eccellenza, basta la parola!”

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Meriterebbe in proposito un lungo capitolo la questione dell’agroalimentare nell’evento che nutre il pianeta asfaltando i terreni agricoli, ci soffermeremo invece, almeno inizialmente, sul prodotto culturale di questa città, prodotto che in vista del mega-evento giocherà ovviamente un ruolo fondamentale (chi altro se non la produzione culturale può veicolare il messaggio “expista” volto a salvare il mondo?). In particolare vi parleremo di alcuni casi emersi nell’ultimo mese ben esemplificativi del livello d’eccellenza che la cultura istituzionale riesce a produrre.

La Scala

Reduce dalla tournee dei record in Giappone, il 30 settembre coro e orchestra della Scala scrivono una lettera al sindaco nonché presidente della Fondazione Scala Giuliano Pisapia.

Tagliando corto, non è una lettera di ringraziamento bensì una critica netta all’intera operazione rispetto a cui, si dice, “Troppo marketing e poca qualità artistica”. “Il progetto commerciale è stato brutalmente anteposto alla scelta qualitativa”. Non ci sorprende il contenuto di questi commenti, un po’ di più ci sorprende l’esasperazione che ha spinto coro e orchestra a pubblicare queste considerazioni. Già nel 2010, ai tempi del primo Festival No Expo, siamo venuti a contatto con lavoratori/artisti che percepiscono la propria condizione come precaria dati i continui attacchi all’ente per cui lavorano e che già venivano spediti in tutto il mondo per favorire la campagna del comune di Milano rivolta alla vittoria per l’assegnazione di Expo 2015, campagna che già ai tempi stremò coristi e orchestrali senza peraltro portare loro alcun tipo di vantaggio sul posto di lavoro, economico o di altro tipo. Quei lavoratori/artisti erano già ai tempi i lavoratori della Scala. Ne nacque una performance proprio all’interno del festival No Expo. Era il 30 maggio 2010 e da allora poco sembra essere cambiato.

Un tempo registi teatrali e cinematografici si finanziavano progetti avanguardistici grazie a produzioni più commerciali. I giri per il mondo della Scala sortiscono lo stesso effetto? Dell’incredibile successo giapponese, dal punto di vista economico, poco in realtà rimarrà alla Scala ed al suo prodotto culturale. Lissner, il sovrintende, nuovamente parla di impasse economico ma lo pone in un’ottica interessante, presentandoci un bivio simile al novecentesco socialismo o barbarie: “di fronte all’impasse economico ci sono due strade: smantellare il teatro pubblico – ha detto Lissner – o resistere mantenendo la qualità. In questi anni mi sono stai dati molti suggerimenti e mirabolanti ricette: chiudere i laboratori all’Ansaldo, tagliare l’accademia, diminuire le prove, aumentare il costo dei biglietti: ma il teatro pubblico è questo?”

Contro la logica delle lacrime e del sangue occorre resistere e rilanciare, non c’è dubbio. Chi impone questa logica? Chi è più interessato al marketing che alla qualità, chi parla di eccellenza senza specificare ciò che intende dire, chi risparmia su ciò che non crea importanti profitti prettamente economici. Chi non investe per produrre qualità ma astrae e mercifica contenuti complessi per renderli vendibili ed appetibili, ma allo stesso tempo li semplifica e li banalizza, offrendo più una cartolina che un’esperienza estetico/culturale. I più attenti a questo punto penseranno: che c’è di nuovo, è il capitalismo! Esattamente, non c’è niente di nuovo, è semplicemente la stessa economia di mercato di sempre per cui un pomodoro è qualitativamente uguale ad un assolo di violino o ad un acuto di un tenore. Sono cambiati i prodotti e si è raffinato il meccanismo, certi fenomeni però si leggono ancora attraverso interpretazioni standard. Niente di male quindi, semplicemente la qualità, spesso, non si abbina col mercato. Quel mercato che attende Expo 2015, l’evento profetico, che altro non è se non un’operazione di marketing territoriale volta a produrre un paesaggio effimero, smontabile a fine evento, consumabile e vendibile, in cui l’obiettivo è fare turismo e costruire selvaggiamente nuovi pezzi di città, vendibili al metro quadro a prezzi inaccessibili per la stragrande maggioranza della popolazione. Milano verso il 2015 si manifesta tanto attratta dal profitto quanto estranea alla ricerca artistico/culturale. E’ possibile vendere un prodotto azzerando le motivazioni del lavoro vivo che lo produce? Tempi duri, non solo per l’opera…

L

 

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