Un giovane lavoratore firma per un contratto trimestrale con Coop Lombardia all’interno del sito Expo 2015. Arriva il 30 aprile. A un giorno dall’ingresso in servizio, e a seguito da un brevissimo percorso di formazione, viene convocato dal datore che gli dice “salta tutto, grazie comunque”. A nessuno piace la precarietà ma immaginatevi nei panni di chi, incensurato, viene lasciato a casa a 24 ore dall’ingresso in servizio senza alcuna spiegazione. Zero tempo per cercare un’altra “opportunità di lavoro”, zero proposte per una sistemazione altrettanto temporanea nel carrozzone cooperativo. L’ordine arriva dalla questura di Milano che, dopo oltre cento interdizioni dai cantieri (tra padiglioni commissariati, corrotti, tangentisti e criminalità organizzata) decide che il “nulla osta sicurezza” mai scomodato in anni e anni di cantieri colabrodo, si applica segretamente agli operatori dei padiglioni. Non un commento a mezzo stampa (con la sola eccezione di un articolo di Pucciarelli che paventa decine di casi analoghi, non un dato pubblico in tempi di retorica openexpo, non parliamo dell’eloquente silenzio della politica.
Ma io devo lavorare: no, tu no. Ma perché? Perché lo dice la questura. E cosa ho fatto di male? Non sono informazioni in nostro possesso, buona giornata.
Ora che la sbornia da apertura dei cancelli sta scendendo, ora che i nodi vengono al pettine, che i comunicati ufficiali vengono percepiti come ridondanti e che la nebbia è scesa definitivamente sul sito Expo e sui suoi numeri (e dire che in genere da queste parti non è facile trovarla di primavera…) è forse possibile ricominciare a ripercorrere gli assi che ci hanno orientato negli anni che hanno preceduto Expo, ovvero debito, cemento e precarietà, gli effetti nocivi del mega-evento occultati dai massmedia più seguiti (e più pagati da Expo2015 SpA).
Partendo questa volta, per una volta, dall’ambito del lavoro, su cui è stato ratificato un accordo, nel luglio 2013, firmato dalle compagini sindacali non aderenti alla rete NoExpo, all’interno del quale si norma la relazione con una buona parte dei lavoratori interni al sito Expo. A questo segue un accordo Expo interno al Comune di Milano, nel giugno 2014, con cui si definisce il contributo dell’ente più coinvolto nell’operazione (in quanto “responsabile del territorio”), accordo finalizzato a 10 giorni dall’apertura dei cancelli e tuttora sotto monitoraggio. Infine prendiamo atto dell’accordo del 15 maggio scorso avvenuto ad expo iniziato ed a lavoratori già assunti ed operanti, dopo numerose critiche che ne hanno rinviato la firma dovute all’eccessivo ribasso dei salari offerti (confermato in realtà dall’accordo che però riesce ad aggiungere un interessante percorso di formazione in modalità “e-learning”) che pone paletti (evidentemente troppo fragili) in merito all’assunzione del personale dei diversi padiglioni.
Premesso che gli ulteriori passaggi, quelli più tecnici, dell’iniziale accordo non hanno avuto grossa pubblicità da parte di chi vi ha partecipato, constatiamo come questa eccessiva artificiosità, prossima al modello matrioska in cui però ogni componente pare avere una vita propria indipendente dalle altre componenti, difficilmente può costruire un quadro leggibile della situazione. L’ideale per l’azienda insomma.
Anche per questo prevedibilissimo motivo oggi ci troviamo davanti al “caso” dei choosy che non han voglia di lavorare, salvo poi scoprire importanti difetti nei meccanismi di assunzione di manpower. E’ il turno poi del padiglione belga (o forse è meglio chiamarli “stand”?) luogo in pratica del primo sciopero ad Expo culminato col ritiro di ben 20 lavoratori. Infine (per il momento) la spiacevole vicenda dei lavoratori licenziati per aver manifestato critiche al padrone ad Expo2015, prendendo spunto da una tendenza sempre più in voga in questo paese. Vicenda su cui in queste ore si susseguono aggiornamenti.
E’ il far west del sito Expo, un far west tutelato da permessi di accesso al sito rilasciati dalla questura, tanto poco sensibile durante il periodo di costruzione dell’evento quanto attenta e scrupolosa oggi nel negare la possibilità di accedere al sito a giovani incensurati ma con velleità (così forse vengono definite) critiche nei confronti del vertice. Un far west esteso all’intera area metropolitana in cui non solo i padroni ma anche importanti sindacati tacciano i disoccupati d’aver poca voglia di lavorare.
A tutto ciò potremmo aggiungere la difficoltà di reperimento del personale interno del Comune di Milano da disporre nella struttura di controllo di Expo in Via Drago, lo sciopero precettato dei dipendenti ATM ed il mondo molto “fuoriSalone” (e molto freejobs) dell’Expoincittà, ma ci pare che la situazione sia già sufficientemente problematica se restringiamo il fuoco sul sito Expo.
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