La città e i movimenti. Dalla casa all’housing.

In questa quarta puntata affrontiamo la questione abitativa, sempre più esplosiva in assenza di politiche abitative pubbliche; la retorica della città attrattiva, delle centinaia di migliaia di nuovi abitanti sempre più a fatica nascondono la realtà di una metropoli sempre più cara, esclusiva, escludente e l’amara considerazione “Bella Milano ma non ci vivrai”

POLITICHE ABITATIVE, TURISTIFICAZIONE, STUDENTATI E HOUSING SOCIALE 

Alcuni frammenti presi qua e là restituiscono meglio di tanti ragionamenti quale sia oggi la condizione del vivere a Milano e come il diritto all’abitare e alla città corrano il rischio di diventare chimere per una fetta sempre più ampia dei suoi abitanti. Manfredi Catella, A.D. di Coima, ha ben rappresentato nel marzo di quest’anno, in un’intervista al Corriere della Sera, il suo concetto di diritto all’abitare, rispondendo alla domanda su quali soluzioni per rispondere ai bisogni di case a prezzi accessibili: Genova ha 40.000 case vuote, l’alta velocità ci porterà in Liguria in 40 minuti, a Londra per attraversare la città si impiega un’ora, dimenticando, oltre agli ovvi problemi di sradicamento e reinserimento sociale, che chi non trova casa ai prezzi di Milano, probabilmente ai 40 minuti e ai costi del TAV Genova-Milano dovrebbe aggiungere quelli per raggiungere i poli logistici dove fa il facchino o altre attività che alimentano la macchina Milano e i suoi profitti, ma di cui la città esclusiva e a misura dei nuovi ricchi abitanti, che sia Sala che l’Assessore Maran continuano a ripetere che sono benvenuti perché è il segno che Milano è attrattiva e “cool”.

Oppure basta vedere come Enti Locali, archistar, media e costruttori, giocando ruoli diversi e su piani differenti, agiscono praticamente all’unisono del creare le condizioni per lo smantellamento del patrimonio edilizio pubblico, trascinando in queste dinamiche anche le case di proprietà di enti previdenziali o altri soggetti simili. Comune e Regione, proprietari del patrimonio edilizio popolare, gestito tramite MM e ALER, ha lasciato negli anni degradare progressivamente le condizioni di edifici e alloggi, favorendone l’acquisto se non addirittura mettendo a bando di vendita interi comparti, lasciando crescere oltre le capacità di risposta le liste di attesa per le assegnazioni senza intervenire al contempo sugli circa 16.000 alloggi vuoti (dati giugno 2024) che attendono di essere ristrutturati e assegnati. Unica vera preoccupazione sfratti e sgomberi, anche violenti e peraltro spesso senza soluzioni abitative alternative, spalleggiati in questo dai media, che hanno il ruolo di descrivere i quartieri periferici da gentrificare, come dei piccoli fortini in cui vige la legge del far west, le peggio attività criminali e, ovviamente, i nemici pubblici sempre necessari: migranti e antagonisti. E’ stato così per il Giambellino-Lorenteggio, il primo dei quartieri popolari pubblici sottoposto a un processo radicale di rigenerazione, sostenuto da tutto l’agone politico e con l’imprimatur dell’archistar Renzo Piano. Un quartiere devastato, con palazzi abbattuti, e con un’offerta abitativa a progetto completato che inevitabilmente vedrà l’espulsione di molti degli abitanti originari, i più poveri o anziani, i soggetti più deboli o marginali. Ma analoghe mire ci sono sul quartiere ALER di San Siro, con tanto di progetto, similare nelle conseguenza a quello di Piano per il Giambellino, fatto dallo studio Roi-Verga che ipotizza l’abbattimento delle case e la costruzione di un nuovo quartiere ovviamente con case più di pregio salvo quelle da garantire a chi non potrà comprare i nuovi alloggi, ma non a tutti ovviamente.                         

Se poi guardiamo quanto sta accadendo nei quartieri popolari della zona Corvetto e Molise-Calvairate, vediamo come non solo le i grandi eventi, le grandi trasformazioni e i progetti di rigenerazione urbana generano fenomeni gentrificativi sulle zone adiacenti, ma soprattutto mettano in discussione la sopravvivenza del patrimonio edilizio pubblico. In questo l’Istituzione si fa carico di promuovere o agevolare interventi sul tessuto abitativo che alzano i prezzi delle case o addirittura sottraggono alloggi alla disponibilità, non solo con le alienazioni ma anche con le demolizioni come, per esempio, le case di Via Barzoni). Ma l’Istituzione gioca anche un ruolo subdolo, con finti processi partecipativi che servono solo a creare il consenso attorno a concetti come degrado, decoro, sicurezza o a vendere come interventi positivi progettualità che alimentano la macchina della gentrificazione, come inventarsi un nuovo ruolo di polo culturale per il quartiere Corvetto e dintorni, facendo leva sull’effetto alone di Fondazione Prada e sugli spazi di coworking che stanno sorgendo nella zona a sud dello Scalo Romana, oppure con la cosiddetta urbanistica tattica a ricavare spazi pedonali in piazze e piazzette da votare al sacro rito milanese dell’aperitivo. E dove non basta, ecco che il livello della retorica sale con i progetti C40 -Reinventing Cities, progetti teoricamente improntati alla recuperare pezzi di città restituendole a funzioni compatibili con esigenze di sostenibilità ambientale, sociale, etc, e di cui Milano, insieme ad altre città del globo, si fregia nel suo marketing territoriale quali simboli di resilienza, ma che in realtà sono spesso aree o edifici pubblici messi a bando, assegnati a privati e sottratti alla libera pubblica fruizione ovvero progetti di housing sociale, come appunto nell’area dell’ex macello e mercati generali, con inevitabili conseguenza per l’adiacente quartiere popolare e meticcio Molise-Calvairate.

Tutti questi frammenti che abbiamo rappresentato vedono una costante e portano a una convergente conseguenza. La costante è la pressoché totale assenza di interventi pubblici a qualsiasi livello negli ultimi 20/25 anni per realizzare nuove case popolari a Milano per rispondere alla domanda abitativa di chi escluso dall’accesso agli affitti di mercato, ma anche a quelli di housing sociale o cooperative, o a un mutuo. Ha trionfato e prevalso il principio di sussidiarietà e l’affido al privato, o a Cassa Depositi e Prestiti attraverso le sue SGR o immobiliari che agiscono come soggetti privati, della risposta che sono l’housing sociale che residua, come le frattaglie, dagli interventi per la costruzione di edilizia residenziale libera e per la cui realizzazione spesso il privato stesso riceve dal Comune bonus volumetrici o altre agevolazioni ma che non è “la casa popolare”, né per prezzi né per condizioni e garanzie da fornire per accedervi. Ciò nonostante, l’housing sociale e l’edilizia convenzionata sono sbandierate come risposte al bisogno abitativo e su questo si gioca anche la retorica e la costruzione del consenso attorno alle grandi trasformazioni urbane (vedasi gli scali e i loro circa 3400 alloggi previsti di ERC, di cui 2600 di housing sociale) ben sapendo che le case che sorgeranno risponderanno solo minimamente ai bisogni abitativi dei più.

La conseguenza di tutto questo è che nel 2022 meno del 40% degli abitanti di Milano erano residenti in città 15 anni prima (fonte “L’ultima Milano” – A. Ranzini e J. Lareno). Una vera e propria sostituzione abitativa che è accompagnata anche da un cambiamento socioeconomico della città e dei costi per viverci. Nuovi abitanti più ricchi, magari temporanei o comunque non a tempo indeterminato, con un’età media più bassa di quella degli abitanti storici, con uno stile di vita che genera inevitabili cambiamenti anche sul tessuto di servizi e di attività commerciali che poi offrono i vari quartieri.

Ad aggravare ulteriormente la situazione per chi cerca alloggio a Milano contribuiscono in maniera importante le due “nuove vocazioni” con cui la città si è connotata negli ultimi due decenni, sulla spinta di quanto descritto in precedenza, quello di città turistica e di città attrattiva per studenti fuori sede. Nel caso del turismo, la crescita dei visitatori costruita nel tempo, con l’operazione Expo e poi con il proliferare di eventi, e accompagnata da un supporto mediatico che ha raccontato per anni Milano come città invidiata da tutto il mondo (e ancora ci domandiamo come il “il mondo” abbia potuto crederci), da vivere, da visitare e, soprattutto, “da consumare” è andata pari passo con l’evoluzione delle piattaforme per affitti a breve, su tutte AirBnb. Questo fenomeno è poi esploso nell’ultimo decennio con ormai migliaia di appartamenti (si stimano circa 17.000 alloggi ma il dato non è costante, ci sono punte di inserzioni maggiori in corrispondenza, per esempio, del Salone del Mobile) di cui un buon 40% riconducibile a inserzionisti con due o più alloggi sulla piattaforma, a sfatare la favola che su Airbnb ci sia chi arrotonda il reddito affittando, anche parzialmente, la propria casa. L’assenza di politiche fiscali serie e di una regolamentazione rispetto al mercato degli affitti a breve, che ne limiti il numero sul totale degli alloggi disponibili per affitti a tempo lungo, ha favorito negli anni la sottrazione di sempre più case dalla disponibilità di chi cerca alloggio in affitto a Milano per viverci e non per starci pochi giorni, avendo i proprietari la possibilità di guadagnare in poche settimane quanto svariati mesi d’affitto.

Analogo effetto ha avuto la propaganda per attrarre studenti fuori sede a Milano. L’assenza di politiche pubbliche per studentati accessibili a prezzi sociali ed equi, gli scarsi investimenti delle università pubbliche cittadine in tal senso e un numero di studenti fuori sede in cerca di alloggio nel frattempo cresciuto a oltre 20.000 (ma il dato è variabile di anno in anno) ha generato un effetto speculativo, che ha sottratto anche in questo caso la disponibilità di appartamenti per affitti di lungo periodo e crescita costante dei canoni medi d’affitto (per una stanza in appartamento i prezzi vanno dai 6/700 € a salire), fuga di molti studenti dalla città verso sedi universitarie e località con costi della vita meno cari e, soprattutto, l’esplosione del business degli studentati privati, su cui si sono buttati anche i grossi sviluppatori e fondi immobiliari come Hines, che stanno proliferando un po’ ovunque a Milano e sono ormai una costante nei mix funzionali previsti per le grandi aree in trasformazione e i cui costi d’accesso non fanno altro che alimentare le dinamiche verso l’alto dei costi degli alloggi.   

Nella prossima quinta e ultima puntata faremo un focus sulle grandi aree urbane in trasformazioni e proveremo a rispondere alla domanda “che fare?” per rimettere al centro la città pubblica e il diritto all’abitare.