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“Oggi le Olimpiadi sono diventate un’occasione imperdibile per mettere mano ai fondi pubblici e realizzare nuove “indispensabili” infrastrutture per garantire lo svolgimento dei giochi: strade, autostrade, alberghi, stadi non c’è limite alla fantasia e anche alla realtà. Le Olimpiadi, dietro questa aura di valori positivi universali, sono anche diventate la miglior occasione per ridisegnare le città, svuotandole, in tanti modi diversi, di quelle presenze residuali, povere, che frenano lo sviluppo, la crescita del famoso P.I.L. Svuotandole dei soggetti più deboli, spedendoli in periferia, ad arricchire col lavoro sporco, il “centro”, comunque lo si voglia perimetrare. Alla fine, dopo questa smisurata ed iniqua distribuzione della ricchezza, le città e i territori si ritrovano più povere, indebitate e sotto ricatto, mentre un manipolo di imprenditori è già partito in direzione del prossimo grande evento, abbandonando un territorio saccheggiato dal punto di vista ambientale, con conseguenze sociali immaginabili.”
Così scrive Silvio La Corte nel libro da lui curato “La bolla olimpica”, in uscita edito da Mimesis. E in questa sintesi, così cinicamente realistica, possiamo riassumere quello che ci aspetta, e che si sta già concretizzando in vista delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026.
Vendute all’opinione pubblica, da decenni resa bulimicamente dipendente dai grandi eventi miracolosi, come Olimpiadi sostenibili, a impatto zero su territori e finanze pubbliche, dal gran maestro di greenwashing e marketing territoriale Beppe Sala, ben supportato e completato a comporre un inquietante trio da Zaia e Malagò, a poco più di 5 anni dal loro teorico avvio stanno invece dando corpo ai peggiori timori di chi, come noi, freschi di memoria dell’esperienza Expo e con il ricordo vivo dei debiti e dei lasciti di Torino 2006, vede nei Giochi Invernali 2026 l’ennesima occasione per utilizzare le casse pubbliche per opere inutili, ad alto impatto ambientale, a vantaggio di pochi e con lasciti pressoché nulli sul piano dell’interesse pubblico, se non nocività e oneri per la collettività, come appunto dimostrano gli impianti abbandonati post olimpiadi torinesi. Il tutto con una gestione privatistica del denaro pubblico e dei territori, con procedure di governance commissariale, in deroga a norme sugli appalti, regolamenti urbanistici e valutazioni d’impatto ambientale.
Mentre il Paese era fermo nel lockdown pandemico, la macchina olimpica nel silenzio è andata avanti, in primis proprio con quelle opere più impattanti su territorio e paesaggio: a Cortina sono partiti i lavori di potenziamento delle piste da discesa in vista dei Mondiali 2021, piste che poi saranno utilizzate anche per le Olimpiadi 2026, con notevole impatto su boschi e versanti, devastati da disboscamenti, muri di contenimento, strade e altre opere in cemento; contestualmente in tutta la zona bellunese sono iniziate opere viabilistiche per oltre 150 mln di euro sempre in vista dei Mondiali e anticipo degli altri 300 mln di euro circa che saranno destinati sempre a potenziare le infrastrutture viabilistiche per le olimpiadi; infine, opera non direttamente “olimpica”, ma inserita nel dossier presentato al C.I.O. per ottenere i Giochi come infrastruttura strategica per il 2026, l’accelerazione dei lavori per realizzare il TAV Brescia-Verona, con importanti e irreversibili smembramenti di colline moreniche e distruzione di zone agricole e vinicole. E questo è solo l’antipasto, perché deve ancora partire Milano e, sul lato montano, la Valtellina, zona peraltro ad alto rischio idrogeologico, come anche l’ampezzano. La Valtellina, come Cortina, rischia inoltre di essere subissata di progetti di imprenditori e albergatori interventi su strutture turistiche e alte amenità (a Cortina vorrebbero addirittura potenziare l’attuale pista di atterraggio per velivoli a elica ed elicotteri aprendola ai mini-jet).
Per quanto riguarda Milano, è stata la ministra delle infrastrutture in persona a garantire procedure snelle e semplificate per le opere anche private di interesse per le olimpiadi. Il che vuol dire che sia il Villaggio Olimpico sull’ex scalo Porta Romana e il palazzetto per l’hockey a Santa Giulia potranno essere realizzati con interventi di bonifica più semplici e accelerati, visto che entrambe le aree sarebbero da bonificare. Ma proprio a Milano abbiamo visto con il sito Expo e con le infrastrutture viabilistiche passanti sopra Cava Triboniano, che la salute pubblica e le esigenze di messa in sicurezza di aree inquinate passano in secondo piano di fronte alla macchina e alla propaganda del grande evento.
La crisi epidemica tuttora in corso, oltre a dettare nel buon senso di tutti altre priorità che non finanziare i giochi olimpici (che come abbiamo già scritto qui https://www.offtopiclab.org/wp-content/uploads/pieghevole-olimpico.pdf nell’ultimo trentennio hanno lasciato soprattutto debiti e macerie alle città che li hanno ospitati), ha mostrato come la cura dei territori sia fondamentale quanto quella delle persone per la salute pubblica. Cura del territorio per proteggerlo da cemento inutile, inquinamento, nocività, insomma da quelle conseguenze dell’antropizzazione che peggiorano le nostre condizioni di salute e di difese immunitarie e resistenza ai virus. A maggior ragione quelli montani, indispensabili riserve di ossigeno con le loro foreste, già fragili dopo decenni di sfruttamento turistico capitalista e ulteriormente messi in tensione dal dissesto idrogeologico che ne consegue e che i cambiamenti climatici accentuano. E invece, sotto la traccia del dibattito mainstream, del “niente sarà come prima”, ecco la macchina olimpica procedere spedita come se nulla fosse, con tutto il corollario di appetiti, spartitori, conflitti di interessi, che si porta appresso, per proseguire nel solco del sistema predatorio che si alimenta come parassita dei beni di noi tutti, che siano risorse economiche, paesaggi montani, città.
Incontreremo Silvio La Corte, in streaming, il prossimo 29 ottobre a partire dalle ore 19 per approfondire l’analisi e comprendere cosa sono diventate oggi le Olimpiadi e perché dovremmo opporci alla narrazione prevalente che considera i giochi 2026 l’ennesima grande occasione per la metropoli che fu già di Expo.