Il 2020 è stato un anno tremendo per i nostri polmoni, soprattutto in Lombardia. Da un lato la pandemia di COVID-19, malattia che colpisce le vie respiratorie, e dall’altro il livello di inquinamento dell’aria. La Lombardia ha raggiunto un triste primato globale, diventando una delle zone con il più alto numero di morti COVID-19 per abitanti (240 decessi per 100.000 abitanti). Conseguenza di una complessità di fattori demografici e territoriali, tra cui non si può certamente ignorare la dimensione ecologica. Parallelamente il rapporto sulla qualità dell’aria 2020 dell’Agenzia Europea per l’ambiente conferma che l’Italia è uno dei paesi europei dove si muore di più (quasi 70.000 i decessi nel 2018), la Lombardia e in particolare Milano come una delle aree più inquinate del continente. I dati ARPA del 2020 su Milano evidenziano un trend negativo rispetto agli anni scorsi, con un aumento sia delle medie annuali di particolato (PM10, PM2.5) che dei giorni di sforamento.
L’impatto dell’inquinamento sulla diffusione di Covid19
L’esposizione all’inquinamento atmosferico è associato al diffondersi di malattie cardiovascolari e respiratorie. Allo stesso tempo la preesistenza di queste malattie sono state identificate come fattori di rischio di morte nei pazienti COVID-19, pertanto l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico può esacerbarne la virulenza. Diversi studi nell’ultimo anno si sono concentrati sulla correlazione tra diffusione di COVID-19 e inquinamento e i risultati sembrano confermare altre precedenti ricerche che indicano un ruolo potenziale per l’esposizione al particolato nel peggioramento dell’impatto delle malattie respiratorie (dalla SARS al RSV).
In particolare uno studio, pubblicato sul Cardiovascular Research Journal, ha stimato che circa il 15% dei decessi in tutto il mondo dovuti a COVID-19 potrebbe essere attribuito all’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico. In Europa la percentuale è di circa il 19%, in Nord America del 17% e in Asia orientale del 27%. Un’altra ricerca pubblicata su Science Advances ha stimato che un aumento di solo 1 microgrammo al m3 della media di PM2.5 è associato a un aumento statisticamente significativo dell’11% del tasso di mortalità COVID-19 negli Stati Uniti. Simili studi sono stati condotti in Inghilterra, Olanda e Italia.
Rimane ancora da approfondire la possibilità che il particolato possa essere utilizzato dal virus come carrier, ovvero da vettore di trasporto. Un recente studio italiano ha confermato la presenza di RNA di Sars-Cov-2 su campioni d’aria della provincia di Bergamo, ma essendo solo tracce, non si tratta di virus attivi in grado di essere infettivi, soprattutto all’aperto dove sono soggetti ad agenti atmosferici deterioranti.
Non possiamo affermare che con situazioni climatiche e di qualità dell’aria diverse e migliori la diffusione della pandemia sarebbe stata meno violenta e drammatica in Lombardia, ma sicuramente il virus Covid19 ha trovato condizioni ideali per proliferare, oltre che una situazione generale che vede le persone esposte a elevate concentrazioni continuative di polveri sottili maggiormente sensibili a patologie dell’apparato respiratorio.
L’impatto di Covid19 sulla diffusione dell’inquinamento
Il lockdown di Marzo-Aprile 2020 è stato un periodo interessante da analizzare per quanto riguarda l’impatto antropico sull’ambiente; il calo sensibile (ma non totale) del trasporto automobilistico, marittimo e aereo ha portato a una significativa riduzione delle emissioni di inquinanti atmosferici.
A livello Europeo nell’agglomerato urbano di Milano sono state rilevate le più alte riduzioni di NO2 e PM10. Sia i satelliti del progetto Copernicus che le centraline sul territorio (indipendentemente dalle condizioni metereologiche) hanno rilevato riduzioni del 60% ai valori pre-lockdown e del 30% se confrontato con la media dei 3 anni precedenti.
Anche le concentrazioni di PM10 sono state complessivamente più basse. Le valutazioni sul particolato sono più complesse poichè le concentrazioni possono variare in relazione a una serie di fattori: le condizioni metereologiche; le emissioni di particolato primario da fonti antropiche; le emissioni da fonti naturali che sono altamente variabili da un anno all’altro; le emissioni di gas precursori da fonti diverse. Tenendo comunque conto di questi elementi si è registrata una riduzione variabile dal 10% al 20% attribuibili al lockdown.
Nell’ambito urbano il fattore determinante della riduzione degli inquinanti è stato il crollo del traffico veicolare su strada che a Milano ha raggiunto un picco del -70% a fine marzo 2020. Ennesima conferma che la riduzione di numero di macchine, a prescindere dall’alimentazione, che invadono la città è obiettivo urgente e primario. Durante le misure di blocco introdotte a fine ottobre invece il traffico è tornato a livelli normali e, la concomitanza con accensione dei riscaldamenti e la sospensione di qualsiasi misura anti-smog, ha portato il tasso di inquinamento oltre soglia, soprattutto nel mese di Novembre.
Milano: 2020 in peggioramento
Nonostante il lockdown primaverile, il 2020 probabilmente segnerà un’inversione di tendenza rispetto alla serie degli ultimi anni che vedeva diminuire la quantità media di particolato e dei giorni di sforamento. Preoccupa la media di PM2.5 (più pericoloso del PM10) che sale a 24 microgrammi/m3, il limite UE è di 25. Mentre sono ben 89 i giorni in cui almeno una centralina Arpa a Milano ha superato la soglia limite di 50 microgrammi/m3, un vero record se consideriamo i 69 dell’anno scorso e il limite a 35 imposto dalla UE.
Ma i record della città più “green” d’Italia non si ferma qui. Una ricerca di Legambiente stima per la città di Milano 568 morti in più all’anno attribuibili ai soli effetti dei motori diesel con emissioni fuori norma e che contribuiscono a dare a Milano il triste primato di seconda città in Europa (dopo Bucarest) per impatto economico dell’inquinamento e delle patologie connesse sulla spesa per welfare e sistema sanitario, con un’incidenza di oltre 2800€ per abitante. Un dato che diventa ancora più inquietante se proiettato su base nazionale, dove si stimano nel 2018 oltre 60.000 decessi annui dovuti all’inquinamento con un’incidenza di 20 milioni di euro in termini di perdite per il Paese. Dati che hanno più volte portato la UE e la Corte Europea di Giustizia ad avviare procedure di infrazione e sanzioni, cui Governo ed Enti Locali hanno sempre risposto con provvedimenti parziali, insufficienti e che, soprattutto, non hanno minimamente inciso in termini strutturali sul modello di mobilità, riscaldamento, consumo di suolo e allevamenti intensivi.
In sottofondo gli effetti antropici sul clima concorrono a un peggioramento della situazione. Rispetto alla temperatura media annua, dal decennio ’60-’70 a oggi a Milano c’è stato un incremento di ben 3,3°. L’inverno ’19-’20 a Milano è stato il più caldo degli ultimi 123 anni, segnando un aumento della media stagionale di 3.5° rispetto agli ultimi 30 anni. Le precipitazioni cumulate tra gennaio e febbraio sono state di soli 37mm, contro una media di 110mm. Situazione che trova conferma anche nei mesi autunnali. Sotto la media sono stati settembre (56 mm) e, soprattutto, novembre, con soli 4.8 mm di pioggia in tutto il mese. Ottobre è stato più piovoso della norma (134.5 mm), ma urge sottolineare che circa il 60% circa delle piogge si è concentrato in due singole giornate, in linea con l’aumentare di eventi meteorologici estremi.
Proprio nel pieno della seconda ondata dell’epidemia si sarebbe dovuto incentivare per un cambio di rotta radicale, considerando di avere ancora davanti almeno 3 mesi di condizioni climatiche tipiche per la stagnazione degli inquinanti dell’aria, ma anche i mesi tradizionalmente peggiori per l’insorgere di infezioni alle vie respiratorie e diffusione di virus influenzali.
Invece le politiche di facciata hanno prevalso: l’assenza di un reale piano di mobilità alternativa e il blocco di qualsiasi misura anti-smog (Area B e C in primis) per ben 3 mesi (e probabilmente continueranno a gennaio) hanno esposto maggiormente i nostri polmoni al crescente inquinamento e quindi anche a Covid19.
Politiche ambientali e greenwashing
A livello governativo la cosiddetta “svolta green” si è tradotta in una serie di provvedimenti (bonus rottamazione, bonus biciclette, bonus monopattini, ecobonus ristrutturazioni), che piacciono ai contribuenti-consumatori (che possiedono il cosiddetto potere d’acquisto) ma che portano con sé limiti, contraddizioni o effetti nulli ai fini di ridurre i livelli di inquinanti.
Aumentare la classe energetica degli edifici contribuisce sicuramente a ridurre la produzione di polveri sottili da riscaldamento, ma si scontra con il fatto che parallelamente lo Stato continui a finanziare con i contributi per le energie rinnovabili e sostenibili il passaggio a fonti energetiche quali il metano che, seppur meno inquinante dei derivati del petrolio, resta comunque sempre un combustibile fossile e genera residui da combustione inquinante. Questo mentre ormai in molti paesi l’uso di GPL, metano o altre fonti fossili per il riscaldamento e gli usi domestici è stato completamente bandito e nazioni poste a latitudini molto meno soggette a irraggiamento solare dell’Italia hanno visto da anni uno sviluppo massiccio e diffuso dell’utilizzo di pannelli solari e fotovoltaici sia da parte di singoli che di complessi condominiali. Peggio ancora il “bonus rottamazione”, che è stato dato anche a chi si limitava a cambiare auto inquinanti e vecchie con mezzi nuovi, a minori emissioni, con il risultato di incentivare l’acquisto di auto diesel di nuova generazione, comunque nocive e impattanti sulla qualità dell’aria (tanto è vero che nel Regno Unito ne sarà vietata la vendita dal 2030).
Come se non bastasse, il Comune di Milano ha aggiunto di suo un budget di 1 milione di euro a fondo perduto come bonus per chi comprava macchine a basse emissioni (anche senza rottamazione). Peraltro il dogma che vorrebbe fosse la motorizzazione elettrica o ibrida a risolvere i problemi di inquinamento è fuorviante, non tenendo conto dei problemi ambientali legati alle attività estrattive e allo smaltimento delle batterie esauste, oltreché della produzione di polveri sottili da attriti e consumo di pneumatici e manto stradale: l’unico modo per affrontare il problema è togliere le automobili private dalle strade e sostituirle con un sistema di trasporto pubblico capillare e l’incremento della mobilità dolce.
Da un lato il Comune si vanta degli interventi a basso costo (qualche migliaio di euro) per interventi di “urbanismo tattico” o piste ciclabili leggere, dall’altro spende centinaia di migliaia di euro per autovetture private. Quanti km in più di piste avrebbe potuto realizzare?
Il “bonus monopattino”, mezzo sostenibile se visto dal lato dei consumi e delle emissioni, risponde però più a logiche di creare un nuovo mercato nella mobilità che a una scelta innovativa e di fare sponda al proliferare di società per il nolo di monopattini nei grandi centri urbani, a loro volta interessate più a raccogliere e profilare i dati degli utenti (come già avvenuto con Ofo, Mobike o altre società della cosiddetta sharing economy) che a rendere migliore l’aria che respiriamo nelle nostre città o potenziare le possibilità di accesso al diritto alla mobilità. Per inciso a tre di queste società sono già state revocate le licenze per inadempienze varie.
A completare il quadro, il provvedimento per accelerare l’avvio e la realizzazione di grandi opere infrastrutturali (tra cui il TAV) che va in senso opposto a quella esigenza di preservare il territorio da devastazioni ambientali che causano distruzione di ecosistemi e biodiversità, favorendo così condizioni per lo svilupparsi e il diffondersi del meccanismo di spill over (alla base anche dell’attuale pandemia Covid-19).
Parallelamente per poco o nulla i vari provvedimenti e decreti hanno impattato sul trasporto pubblico locale, se non creando le condizioni per il prevedibile, nuovo aumento dei contagi a settembre, favorendo la creazione di assembramenti, con la decisione di portare all’80% della capienza teorica il numero dei passeggeri per vettura (autobus o carrozza treni che sia) senza aumentare, se non per un breve periodo, la frequenza delle corse e il numero di mezzi disponibili per le linee urbane, le metropolitane e i treni regionali.
Se poi guardiamo alla Lombardia e a Milano, che non solo sono state le zone più colpite dalla prima ondata epidemica, ma sono anche da anni in situazione di emergenza climatica, le cose sono andate anche peggio, con decisioni finalizzate più a scopi di consenso elettorale o per non scontentare il mondo delle imprese. Regione Lombardia, per quanto di sua competenza in tema di trasporti (Trenord) s’è guardata bene di potenziare l’offerta per evitare il rischio sovraccarico nelle ore di punta.
Che le aziende di gestione del trasporto pubblico locale nell’area del Paese a più alta densità di abitanti e di spostamenti per lavoro, non abbiano saputo organizzare la ripresa di attività lavorative e scuole, nonostante il calo di passeggeri riportato dai conteggi ai tornelli e dal numero di biglietti venduti, conferma purtroppo la mancanza di capacità di programmazione anche dei soggetti politici responsabili.
La Regione continua a rimandare ogni intervento serio sul fronte del mezzo privato e del trasporto su gomma. Le continue deroghe alla messa al bando dei veicoli più inquinanti ne sono emblema, con l’assurdità di consentire di soffocarci di polveri e gas anche ai veicoli Euro 0 purché montino la “scatola nera”. Certo per 10.000 Km all’anno, ma più che sufficienti per produrre tra scarichi, attriti dei pneumatici e polveri da consumo del manto stradali, polveri in abbondanza ad aggravare la salute pubblica del territorio. Parallelamente, ça va sans dire, prosegue ostinata la politica di consumo di suolo con deroghe alle norme urbanistiche (come testimoniato dalla legge , al perimetro delle aree protette e a parco fino al continuo investimento e via libera ad opere viabilistiche e autostradali. Cemento, asfalto, impermeabilizzazione del suolo: fattori che incidono sulla qualità dell’aria direttamente, perché aumenta la produzione di polveri, che indirettamente perché favoriscono il realizzarsi di quelle condizioni climatiche di stagnazione dell’aria e accumulo di gas serra. già oltremodo agevolate dalle condizioni geografiche in cui Milano e la pianura lombarda si trovano.
Per quanto riguarda la qualità dell’aria il Comune si è mosso a fine anno con il Piano AriaClima che però pianifica interventi significativi solo entro il 2030. Altri 10 anni per allinearsi con gli obiettivi dell’Unione Europa che però risultano essere già oggi anacronistici data la velocità dei cambiamenti climatici, infatti le linea guida dell’OMS sono già da anni molto più restrittive. L’allineamento con le indicazioni dell’OMS sono infatti per ora preventivate solo per il 2050.
Per uno stato di emergenza climatica sociale
Da circa 2 anni abbiamo promosso una rete dal basso di centraline per la rilevazione del particolato che ad oggi conta circa 14 sensori sul territorio di Milano e 7 sul comune limitrofo di Sesto San Giovanni. Parallelamente ad un lavoro di monitoraggio e autoformazione è necessario attivare momenti di lotta sul territorio. È per questo che a metà dicembre, nel pieno della seconda ondata e delle giornate di sforamento dei limiti di particolato, abbiamo organizzato una critical mass per denunciare l’inquinamento atmosferico e di suolo; per fermare la devastazione ambientale e la cementificazione delle aree verdi urbane e rinaturalizzate; per fermare i grandi progetti di estrazione di valore dal territorio (in primis gli scali ferroviari).
Non possiamo dare fiducia e delegare a una classe politica che in modo trasversale sul terreno del mal d’aria ha fallito o propone soluzioni “di classe” o inefficaci. E il cambiamento non può che partire dalla conoscenza e dalla consapevolezza di quanto accade quotidianamente nelle nostre città e nei nostri territori in termini di qualità dell’aria e nocività che ci circondano.
Dobbiamo andare oltre una visione antropocentrica e un modello estrattivista. E’ necessario che in questo nuovo anno, che speriamo ci porti davvero fuori dalla pandemia di Covid-19, si dichiari lo stato d’emergenza climatica sociale, proclamato dal basso. L’emergenza sanitaria non terminerà con la sconfitta del virus – così come quella sociale ed economica. Da Milano, centro dell’epidemia in Italia, capitale di un modello dove l’accesso a una migliore qualità della vita è condizionato dal reddito; dalla Lombardia, la regione avanguardia in agricoltura e allevamenti intensivi, consumo di suolo, deroghe all’edificazione selvaggia, patria di quell’eccellenza sanitaria azzurro-leghista che si è dimostrata in tutta la sua drammatica disuguaglianza e brutalità in quest’anno: da qui dobbiamo ripartire per sovvertire la rotta.