“Il paese dei soliti cattivi maestri”. Con questo titolo Giancarlo Caselli saluta sulle pagine de Il Fatto Quotidiano la scomparsa di Prospero Gallinari, lo fa con la consueta simpatia, vagheggiando rewind temporali negli anni che lui ricorda come i più brutti della storia del globo terracqueo. Pubblichiamo una risposta scritta da uno di noi nelle ore successive.
Il 18 gennaio, a quasi un anno dagli arresti No Tav del 26 gennaio 2012, è comparso su Il fatto quotidiano un articolo del Procuratore Giancarlo Caselli intitolato Il paese dei soliti cattivi maestri.
Prendendo spunto dalla partecipazione di numerosi reduci dei movimenti e della lotta armata degli anni Settanta al funerale dell’ex Br Prospero Gallinari, il magistrato responsabile del processo politico al movimento No Tav non ha perso l’occasione per lanciare l’allarme su quella che, secondo lui, è la situazione in Italia: un paese con un elevato conflitto sociale, dove gli scontri di piazza aumentano di mese in mese e in cui l’eredità dei cosiddetti cattivi maestri rischia di far degenerare la protesta di piazza, se questa dovesse raggiungere un eccessivo livello di intensità e di violenza, in terrorismo e lotta armata. Tralasciando il tono paternalistico con cui Caselli scrive l’articolo, a metà tra l’ingenuo e lo sfacciato, ci limiteremo solo ad alcune osservazioni.
Anzitutto, l’articolo ci conferma che il Procuratore capo della Repubblica, ne sa altrettanto poco di storia quanto di diritto: un’affermazione come “In un paese come il nostro, che ha già vissuto la tragica esperienza di una violenza cominciata per le strade in cosa a qualche corteo e poi via via cresciuta fino a pratiche terroristiche non si può scherzare col fuoco”, dimostra una lettura degli eventi passati storicamente sbagliata, dettata molto probabilmente dal fatto che Caselli non hai mai pienamente capito gli episodi che gli succedevano intorno. Il fenomeno terroristico in Italia (che ha avuto la sua manifestazione più grave nell’eversione neofascista coperta dallo Stato e MAI condannata dalla magistratura, anche se questi giudici democratici sembrano dimenticarselo), a sinistra, non è riconducibile all’intensità dei cortei pubblici che spesso all’epoca sfociavano in scontri aperti: collegare in un rapporto di causa-effetto il sanpietrino lanciato per difendersi dai celerini (a proposito, facciamo un breve conto: quanti sono stati i manifestanti uccisi dalla polizia in queste occasioni e quanti i poliziotti vittime dei manifestanti?) e, poniamo, il rapimento di Aldo Moro, è un “ragionamento” talmente assurdo e scorretto che si smentisce da sé. La violenza di piazza fu, spesso, una risposta di formazioni, gruppi e collettivi di giovani e di lavoratori alla violenza sempre crescente di Stato, gruppi neofascisti e industriali, incapaci di gestire un periodo di intense mobilitazioni e rivendicazioni sociali; un fenomeno rappresentato da gruppi estesi di persone che continuarono sempre a fare politica alla luce del sole, tanto nelle organizzazioni di massa quanto nelle pratiche di illegalità diffusa.
In secondo luogo, parlando della stretta attualità, non possiamo non notare come l’allarme terrorismo sia una peculiarità italiana: infatti, negli ultimi due anni in particolare, la crisi ha portato ad una mobilitazione che da tempo non si vedeva in numerose città europee; questo inevitabilmente ha comportato il verificarsi di scontri di piazza: quando le proteste assumono dimensioni sempre crescenti e le rivendicazioni delle popolazioni si radicalizzano, l’istinto di autotutela delle istituzioni politiche ed economiche muove in direzione della repressione. Sebbene, quindi, l’allarme rivolta sia generalizzato e i governi reagiscano in modi simili (dalla dissanguata Grecia alla ricca e democratica Germania, come ci ricordano le giornate del maggio scorso a Francoforte), in Italia la retorica sui cattivi maestri torna sempre utile, soprattutto per giustificare misure di repressione straordinarie verso i movimenti di protesta e per liquidare le rivendicazioni di popolazioni e generazioni massacrate da austerità, precarietà e speculazione sui propri territori.
E’ questa la differenza tra noi e Caselli, tra chi vive sulla propria pelle la precarietà e la devastazione, e un sistema politico e giuridico che rifiuta di prendere in considerazione le proprie colpe, reprimendo chi gliele sbatte in faccia: noi vediamo uno Stato più debole nella tutela sociale e più forte, violento nella punizione, noi vediamo una magistratura connivente che protegge gli speculatori corrotti e le brutalità della polizia (a Genova, quasi 12 anni fa, come in Val di Susa, oggi).
Noi vediamo lei, Procuratore Caselli, che processa cittadini e compagni No Tav nell’aula bunker dove si processano i mafiosi, mentre del tallone di ferro con cui gli apparati di sicurezza statali schiacciano la Val Susa, tutelando proprio gli interessi mafiosi che stanno dietro la Tav, finge di non sapere niente. Ed è in questo che ritroviamo una costante storica del nostro paese, più che nel legame tra proteste di massa e terrorismo: una magistratura conservatrice, marcia dentro e vigliacca. Di solito la Storia non esprime giudizi morali e anche in questo caso si tratta solo di puntualità e rigorosa ricostruzione dei fatti.