Benvenut_ a una nuova puntata: dalla Milano pre-pandemica – dove il Comune ha delegato le politiche abitative ai grandi operatori privati dell’immobiliare e dell’affitto breve, rispondendo più alla necessità di costruire e aumentare le volumetrie piuttosto che al diritto al tetto dei ceti deprivati – all’esplosione della crisi a causa del Covid-19, fino allo sciopero degli affitti come strumento di lotta per fermare il processo di finanziarizzazione e svuotamento dei quartieri.
Le musiche sono di Le Gros Ballon e il podcast è un’autoproduzione del collettivo Off Topic. Si ringraziano per gli interventi e i contributi Alice Boni (architetto, urbanista e ricercatrice), Ermanno Ronda (segretario generale del sindacato inquilini SICET) e Stefano Portelli (ricercatore associato all’Università di Leicester)
Nella prima parte della puntata abbiamo parlato di come, nonostante un aumento del 230% di case disponibili a Milano per la crisi pandemica, il prezzo dell’affitto e del mattone in generale non sia crollato. A questo strano andamento del mercato, che apparentemente contraddice la legge presunta naturale della domanda e dell’offerta, si aggiungono due altri fattori ancora poco indagati: la fuoriuscita di abitanti dalla città (smart workers di alto profilo ad affitto breve, precariato in affitto lungo e studenti universitari anzitutto) e il drammatico aumento di persone in emergenza abitativa (che all’opposto sono i “forzati della città”, ovvero coloro i quali non possono andarsene da una Milano dal costo della vita insostenibile nonostante il reddito si sia azzerato o completamente sospeso durante la pandemia).
Ma il Covid-19, come in altri settori, ha acuito crisi e processi di esclusione già in corso da molto tempo – ed è il caso appunto del bisogno abitativo. E’ vero che l’Italia è un paese di piccoli proprietari di casa felici, dove la morosità e l’insolvenza sono sempre colpevoli? Il concetto di affordability (convenienza) si riferisce sempre a uno specifico mercato, la middle class, non prende mai in considerazione tutto il mercato, anche le fasce più povere. I governanti locali e nazionali, fedeli al dogma neoliberale, affidano la risoluzione del problema alla “mano invisibile” del mercato (ovvero i proprietari che affittano e i grandi fondi immobiliari che determinano le trasformazioni urbane); oppure accettano il modello dell’housing sociale, che però risponde più ai bisogni dei costruttori invece che a quelli degli abitanti. Il problema ovviamente è politico.
La tendenza del mercato immobiliare nel periodo pre-covid a Milano era quella di respingere fuori, nei Comuni dell’hinterland, i suoi abitanti a basso reddito. L’espulsione non è solo un movimento centrifugo sulla mappa, ma agisce anche e soprattutto sul fronte sociale, scava un abisso tra proprietari e non proprietari, e tra i proprietari nelle zone centrali in crescita e quelli delle periferie. Storicamente, ha agito come una grande redistribuzione di ricchezza dal basso verso l’alto. Diventa sempre più necessario sovvertire gli assetti di mercato, mantenere il blocco degli sfratti, imporre quella misura giacobina che fu il maximum dei prezzi degli affitti.
Di questi e altri temi parleremo la prossima domenica 23 maggio, dalle 15 a Piano Terra, nell’ambito della Tavola rotonda su mattone e diritto all’abitare a Milano.