Lo scorso giovedì gli attivisti del movimento milanese hanno chiamato un presidio di solidarietà contro la guerra che incombe su Gaza. Ecco com’è andata.
Chiunque abbia avuto un’esperienza di militanza anche breve, conosce il fremito che accompagna la costruzione di una manifestazione autorganizzata e spontanea al tempo stesso. Tre giorni per organizzare il tam tam tra volantinaggi e social network: una quantità incredibile di relazioni, reti, affinità, messe in gioco perchè anche a Milano si torni a scendere in piazza contro i bombardamenti che da giorni colpiscono la striscia di Gaza.
Su questo nostro sito solo raramente ci inerpichiamo per sentieri diversi da quelli delle lotte dentro cui facciamo la nostra parte nel quotidiano. Lo facciamo oggi con la consapevolezza di crescere in un bacino di movimento che vive anche dell’impegno di compagne e compagni attivi nelle lotte per l’autodeterminazione, il diritto di resistenza, l’internazionalismo. Dentro le manifestazioni di queste settimane movimenti e comunità palestinese si sono avvicendati nell’attivare un moto di rabbia, qualcosa di più dell’indignazione sia chiaro, un po’ dappertutto. Anime della piazza e anime della strada che si miscelano al fianco di un popolo che ha imparato ad odiare dopo anni di occupazione militare prima, di blocco economico e negazione di una vita degna dopo. Così abbiamo provato a lavorare su questa metafora della piazza che da voce alla strada, della strada che si fa portatrice di un messaggio impresso sull’asfalto.
La testimonianza di questa solidarietà l’abbiamo allora consegnata al manto stradale delle vie del centro per farlo nuovamente emergere nei giorni successivi. Tre rulli e una tolla di vernice bianca per vergare quella che, l’edizione milanese del Corriere della Sera, ha definito prima imbrattamento e poi, ancora più sconsiderato, “la devastazione”. Il CorSera, è sempre bene tenere a mente, è lo stesso giornale che di fronte agli undici morti palestinesi della rappresaglia si ostinava a stigmatizzare il terrorismo che lo scorso martedì faceva venti feriti nell’attentato al bus di Tel Aviv.
Solitamente proviamo, facendo i conti con le nostre resistenze interne, a concentrare rabbia e passione definendo un “campo” d’intervento. L’enormità della guerra rompe inesorabilmente questa definizione, dilania le peculiarità ed apre all’urgenza di tracimare le storie singolari. Restiamo umani solo tessendo un NO assoluto a vecchi e nuovi colonialismi, al tritacarne mediatico che fa il pari con quello dei raid, all’indifferenza che colpisce chi sente parlare di guerre ogni giorno, ai bombardamenti in nome di un dominio “capitale”, alla strategia di chi semina odio negando l’accesso all’acqua con una mano e additando il terrorismo con l’altra.
Tutto questo dentro quelle scritte bianche che, emergendo dall’asfalto, invitano chi ci passa sopra ad alzare la voce.
p.s. per la foto ringraziamo la “Kri Rustichella”