Era probabilmente solo questione di tempo prima che anche i più pasdaran tra i promotori del “modello Milano” iniziassero a considerare e trattare la questione abitativa, anche solo riferita al mero mercato immobiliare, come principale cartina di tornasole del loro sistema di città.
Dopo mesi in cui il carovita milanese è balzato agli onori della cronaca tanto da diventare tema a uso e consumo di personaggi pubblici variamente influencer, il Comune di Milano ha fatto la sua mossa convocando a Base il Forum sull’Abitare: momento di discussione di per sé nemmeno troppo interessante di cui però (a caldo) vale la pena parlare, partendo col sottolineare come il caro affitti e più in generale la questione casa sia stata trattata sottraendola dal rapporto col modello di sviluppo impostosi da almeno 20 anni in città rispetto a cui, tra un grattacielo e l’altro, la disuguaglianza sociale si è ampliata e per molti abitare la città è risultato insostenibile.
Che questo non sia frutto solo di esternalità o contingenze casuali è palese, che ci si venga a dire oggi che, al di là di tutto, non saranno vecchi schemi a risolvere le criticità, beh, ci può anche trovare concordi, appunto dopo aver compreso la natura e le motivazioni di questa nuova strategia giunta a divenire documento programmatico dell’amministrazione comunale e del blocco sociale e di poteri che la sostiene (ma che potrebbe anche smettere di farlo qualora dovessero profilarsi più vantaggiosi equilibri politici). A scanso di equivoci la metafora che più pare descrivere il forum è quello della montagna e del topolino, nonostante ciò vorremmo almeno sottolineare 4 temi utili alla discussione (soprattutto per l’ambito antagonista e per i movimenti che si stanno battendo per il diritto all’abitare e alla città).
- Ammissione: l’insostenibilità del vivere a Milano
Mai come in questo momento la giunta Sala ammette di trovarsi davanti a una città in cui disuguaglianza e processi di espulsione non sono temi da poter nascondere sotto il tappeto e non più ignorabili. L’indice GINI (certo non il più completo e affidabile tra i parametri di rilevazione sulle disuguaglianze, ma pur sempre un indice riconosciuto) è prossimo allo 0,60 (a livello nazionale è 0,41), il valore medio del mattone è superiore ai 5 mila euro e solo il 38% dei milanesi negli ultimi 15 anni ha deciso (magari suo malgrado) di rimanere a vivere nella propria città. Sono i dati presentati dall’assessore “Pier” (gli invitati così si riferivano a Maran) nella presentazione del documento programmatico sull’abitare del Comune di Milano; va detto che i numeri riportavano fonti atipiche (Immobiliare.it e InsideAirBnb), o che tali dovrebbero essere, per una amministrazione pubblica che dovrebbe invece basarsi su centri studi di altri tipo. A questo si aggiunge l’ipotesi di scenario avverso nel breve periodo, come sostenuto peraltro da alcuni relatori, causato dall’aumento degli interessi sui mutui e dalla mancata indicizzazione all’inflazione dei salari. Che sia arrivato il momento di un calo dei valori immobiliari, proprio in prossimità delle Olimpiadi 2026? Che non sia mai!
- Il nuovo scenario della giunta e l’apertura alla “sinistra” istituzionale (in particolare su affitti a breve termine)
Considerate le premesse che avvalorano l’ipotesi di periodo critico per i valori immobiliari, l’amministrazione comunale, chiedendo il sostegno e la partecipazione dei soggetti “progressisti” civici e politici (e qui non casuale è la presenza di Clency, vicesindaca di Bologna), fa la sua mossa in direzione del sostegno all’affitto tramite l’idea di canone concordato, detrazioni e bonus per gli utenti, detassazione e sfratti certi per i proprietari, in particolare i piccoli; non esplicitato in questi termini, ma è stata dichiarata la sensibilità dei governanti meneghini verso i diritti dei proprietari, scandalizzandosi per “i lunghi tempi necessari alla restituzione degli alloggi occupati”. In pratica un sostegno alla locazione in grado di salvaguardare i valori immobiliari e spesso speculativi, col sostegno del governo centrale senza il quale poco di quello descritto sopra potrebbe verificarsi. Come finanziare queste misure? Non si sa. Oltre a ciò, fa esultare i sinceri progressisti la richiesta sempre a Roma di concedere all’ente locale di intervenire sugli affitti a breve termine, a limitazione della turistificazione, sul “modello Venezia” – che tuttavia rimane tutto sulla carta: gli emendamenti, pur essendo stati approvati nel 2022, ad oggi non sono ancora stati applicati.
- Si consolida il superamento dell’Edilizia popolare come strumento di politica sociale
Sia l’operazione denominata Case ai lavoratori, da cui una sottrazione diretta di circa 2500 alloggi dal patrimonio abitativo esistente dedicato all’ERP, sia la nuova idea di governance facente leva sul canone concordato e sulle sue riformulazioni più o meno creative (che intacca invece il patrimonio pubblico del futuro) consolidano l’idea dell’housing sociale in sostituzione del Diritto alla Casa. Delle 2500 case si prevede di affidarne 316 ad aziende, associazioni di categoria, cooperative che potranno sublocarle, anche con contratti brevi e canoni più alti, in prima battuta ai loro dipendenti. L’idea di intervento del pubblico contempera così gli interessi del mercato e della proprietà con quello di una domanda che necessita di affitti sostenibili, all’atto pratico questo conflitto viene trattato favorendo gli interessi dei primi. Il principio è l’aumento sensibile del volume dei canoni accessibili, misura che può avere un suo peso e incidere sul fatidico punto di incontro fra domanda e offerta solo in caso di presenza di offerta di centinaia di migliaia di affitti sostenibili – cosa che il mercato libero ha dimostrato di non realizzare, anzi di demolire. Se dovesse rimanere invece una misura residuale e scarsamente accessibile non inciderebbe sul mercato e non aiuterebbe le centinaia di migliaia di lavoratori poveri, precari, inoccupati e disoccupati presenti sul territorio metropolitano. Siamo praticamente al livello della “moral suasion”, la persuasione morale: abbassare il costo dell’affitto perché così diventa sostenibile, sicuro – e detassato.
- Impostazione di una nuova governance dell’abitare condotta da una società aperta a capitali privati e interessata a fornire soluzioni di quasi mercato (consolidamento housing)
Ciò che emerge dal Forum è perseguire gli obiettivi (un pò generici) riportati nei vari tavoli tramite una nuova struttura di governance, alla cui testa c’è una nuova società partecipata (o lo sviluppo di una vecchia società, come Abitare Milano?) aperta ai capitali privati, in particolare di enti che abbiano l’interesse pubblico tra le finalità sociali (si cita esplicitamente CDP), ma rivolta anche a Regione e Città Metropolitana, in grado di incidere sulle politiche abitative del ceto medio tanto enfatizzato da Maran nell’ultimo periodo. Ci chiediamo, però, a quale ceto medio pensi la giunta Sala. Non solo infatti l’operazione, per via di quanto riportato sopra, esclude di fatto il 10% più povero della popolazione milanese, che avrebbe bisogno di un più tradizionale intervento tramite affidamento di case popolari, ma sembra pensare a una vecchia classe media sempre più ridotta i cui figli vivono da più di 10 anni un processo di impoverimento e precarizzazione e che avrebbe anch’essa bisogno di un ripensamento radicale delle politiche abitative – a partire da controllo degli affitti e dal superamento del primato sacro della proprietà – oltre che del primo vero passo quale l’assegnazione delle oltre 10mila case popolari tenute vuote in città, in una situazione che a oggi vede circa 100 sfratti al mese e oltre 4000 esecutivi (dati SICET).
Questa nuova società, da quel che emerge, dovrebbe stimolare gli accordi di canone concordato, fare da guida alla galassia dell’housing sociale, erogare bonus e misure varie di sostegno all’affitto, edificare e ristrutturare case a costi contenuti. E’ in cantiere e nascerà indipendentemente dalla risposta dei possibili partners. Ovviamente quali saranno questi possibili partner ne definirà il raggio d’azione e non crediamo sia un caso che proprio in questi giorni Coima ha annunciato il suo ingresso nel Consorzio Cooperative Lavoratori, uno dei soggetti protagonisti nella costruzione di edilizia convenzionata.
La “società per azioni” contro la società reale
Va infine rilevato come questo incontro, denominato Forum, presentasse una forma ben poco partecipativa, con un master a dettare non solo i temi ma anche l’orizzonte di questi, con ospiti esclusivamente accreditati e (a parte la presenza sindacale, unica voce critica che non a caso pochi giorni dopo ha confermato una mobilitazione di piazza partecipatissima con rivendicazioni che vanno nella direzione opposta) vincolati al Comune di Milano per via di relazioni più o meno intense. Nessuno spazio alle realtà di base e alla società civile informale, nessuno spazio a movimenti e comitati, nessuna concessione ai punti di vista non organizzati. Molto lontano da un tentativo, per quanto istituzionale, di allargamento civico della partecipazione alle politiche pubbliche e coerente invece con il rito ambrosiano della partecipazione intesa più come comunicazione delle decisioni prese dal vertice a una platea sempre più ristretta di stakeholder – la “Società per Azioni” di cui ha parlato il sindaco-manager nel suo omonimo pamphlet-manifesto ideologico. Abbiamo da un lato una città che in questi anni ha sostenuto un modello di crescita che ha prodotto processi di esclusione e disuguaglianze radicali e permanenti, un modello da cui derivano anche i prossimi 3-4 anni di edificazioni con orizzonte alle prossime Olimpiadi del 2026 e oltre, mentre dall’altro lato la questione della “emergenza abitativa” rimane un tabù nonostante sia già realtà per quei redditi più bassi e ceti popolari e precari, per cui anche in un passato non troppo lontano era possibile trovare risposte abitative all’altezza della dignità e del diritto. Le uniche soluzioni annunciate dal Forum sembrano essere dedicate all’aumento dell’offerta degli alloggi in locazione, soluzioni ancora una volta date in mano solo al privato in una città in cui continuano a moltiplicarsi cantieri e nuove macro operazioni immobiliari che non risponderanno ai bisogni abitativi dei più.
Anziché richiedere partecipazione e inclusione in questi happening sempre più esclusivi, dovremmo interrompere l’appropriazione del discorso sulla disuguaglianza sociale e la povertà che la controparte realizza da anni tramite Fondazioni e Centri studi sulle politiche sociali, troppo spesso con la complicità di intellettuali e tessuto associativo; sarebbe piuttosto giusto considerare giunto il momento di convocare un appuntamento e una mobilitazione permanente autonoma rispetto alle istituzioni, intrecciata alle istanze di quella fascia di popolazione esclusa dalla città che vive, in cui lavora, si sposta, si cura, si nutre, lotta – in ultima istanza, abita.