Preambolo
2020. Era Covid. La fase 1 è finita. L’economia arranca. Nell’impresa di far ripartire tutto senza ricostruire nulla, con l’intento di perseverare sulla strada della disuguaglianza sociale, dei doveri in entrata e dei diritti in uscita, un manipolo di politici prepara la più grossa diligenza carica di ori e di denari dai tempi della trilogia del dollaro. Quelli filmici. Come ai tempi, nel tragitto questa diligenza è stata presa d’assalto: lo scontro è stato cruento, gli esiti li descriveremo in quest’approfondimento che parte da un fatto, passato inosservato in un’epoca in cui l’esposizione mediatica pare direttamente proporzionale all’ignoranza messa in scena.
Confindustria e i contratti nazionali
Nella crisi sociale ed economica che stiamo imparando a conoscere non tutti cavalcano allo stesso modo: se fra le organizzazioni dei lavoratori sta prevalendo il solito banale “senso di responsabilità”, di diverso avviso è la controparte.
Per esempio, Ia famiglia Rotelli (Gruppo San Donato, che totalizza il 14% dei ricoveri sull’intero SSL e il 35% se consideriamo solo la parte privata) ha ben pensato di imporre una modifica di inquadramento contrattuale per i dipendenti del San Raffaele. Meno giorni di ferie, meno riposi e meno benefit a parità di salario: l’adesione al CCNL AIOP è una vecchia vertenza su cui la famiglia Rotelli insiste dal momento dell’acquisizione della struttura dal fallimento de facto di Don Verzè. In passato la proposta è stata oggetto di contestazioni importanti da parte dei lavoratori e dei sindacati aziendali. La pandemia ha agevolato, questa volta, la mossa padronale, a scapito dei lavoratori che in particolare sui prossimi contratti rischiano grosse perdite anche salariali.
Sembra che la famiglia Rotelli, i cui profitti ricordiamo vengono investiti attraverso un’intricata rete di società di facciata con sede in alcuni noti paradisi fiscali, le cui amicizie storiche con Berlusconi e Alfano (ora dipendente del gruppo) sono una simpatica nota di costume, abbia anticipato nel concreto la mossa più generale della nuova Confindustria volta a revisionare i contratti nazionali con l’intento di aumentare la produttività e abbattere i salari anche passando dall’eliminazione dei CCNL e quindi l’affossamento dell’armonizzazione salariale. A dirigere l’operazione il nuovo presidente Carlo Bonomi (imprenditore attivo nel settore biomedicale), il cui libro bianco del febbraio scorso (dirigeva Assolombarda) già trattava di deregolazione radicale sino ad arrivare all’abbandono dell’orario di lavoro come strumento di misurazione della prestazione, da retribuire esclusivamente in base al risultato. In ambienti scarsamente professionalizzanti significherebbe un ritorno all’Ottocento, in versione steampunk con picchi di tecnologizzazione alternati a picchi di barbarie. Ed ognuno per sé.
Il regno di Bonomi si presenta quindi fedele alle premesse: negli ultimi giorni l’alfiere di Confindustria 4.0 snocciola dichiarazioni su chiusura aumenti salariali e fine del contratto collettivo nazionale. Sempre all’attacco, come nel rapporto con l’attuale governo, da cui ha ottenuto tutto il possibile nell’ultimo Decreto Rilancio conducendo un assalto alla diligenza degno dell’Indio, a finanziamento della soluzione finale nei confronti dello Statuto dei Lavoratori. Ad oro intascato il nostro ha continuato ad attaccare a testa bassa tanto da destare una reazione persino in Gualtieri, che gli aveva appena regalato:
a. Una detrazione fiscale pari al 110% dell’importo dei lavori relativi all’efficientamento energetico e/o alla prevenzione antisismica, di per sè sufficiente per innescare un boom nel comparto edilizia
b. l’eliminazione una tantum dell’ IRAP (saldo 2019 e acconto 2020, si parla di almeno 4 miliardi di euro, è un dato che può essere solo di tipo congetturale, ristorato parzialmente da 400 milioni di euro, un decimo, ricordiamo che l’IRAP dovrebbero finanziare le sanità regionali),
c. prestiti agevolati (garantiti al 100% dallo Stato)
d. 4 miliardi di euro di contributi a fondo perduto (per il Reddito di emergenza – REM è stato stanziato meno di 1 miliardo di euro, per darvi una misura).
Focus sull’IRAP
Uno sguardo più approfondito merita l’IRAP, il beneficio fiscale verrà concesso alle imprese che prevedono utili e che dimostrano un trend in crescita. La misura non salverà quindi posti di lavoro, chi chiuderà non verrà aiutato, ma solo i profitti. Facciamo nostra allora la preoccupazione del Bonomi, pensiamo “sia giusto l’invito a concentrare bene le risorse per gli investimenti e per il futuro, e a non disperderle” (sembra quasi che la concessione all’esenzione fiscale l’abbia inserita direttamente lui). Inutile quindi detassare o addirittura finanziare attività che a settembre non riapriranno, per quelle lo sgravio fiscale sarà automatico col fallimento. Inutile anche occuparsi dei dipendenti di queste imprese, rilevarle, liquidarle redistribuendo l’esito della liquidazione e riorganizzarle in attività più utili all’economia e alla società. Tanto ad occuparsi dei disoccupati poi (non) ci sarà lo stato, mica le imprese che anzi potranno (quelle sopravvissute) disporre di manodopera offerta a costi inferiori, o magari tenerla in stand by attraverso la Cassa integrazione in deroga mentre si valutano ipotesi di investimenti più remunerativi.
Stati Generali
Il governo rischia di fare più danni del Covid: facendo sponda con Assolombarda sperpera denaro pubblico per mantenere in vita un sistema parassitario che gestisce in autonomia i profitti e socializza le perdite, che non innova ma conserva posizioni di rendita. E’ il sistema Lombardia, quello che regna sul paese da ormai troppo tempo. Assolombarda è stata già in grado di fare più danni del virus durante l’emergenza tenendo un atteggiamento produttivistico-talebano su cui abbiamo speso in passato più di una parola. Alle timide critiche sulla mancata riconoscenza esposte da Conte e Gualtieri la macchina padronale ha risposto attivando FDI, Lega, PD e alcuni presidenti di Regione innamorati delle telecamere a disinnesco degli Stati Generali, evento temuto forse più per il rimando storico agli Stati Generali pre-Rivoluzione Francese del 1789 che altro.
Confesercenti e la città merce
Fornelli roventi
Fra i primi a scendere in piazza per manifestare un bisogno concreto, gli esercenti attività commerciali milanesi (in particolare bar, ristoranti e parrucchieri), oggi “ripartiti”, che puntano alla bella stagione con rinnovato ottimismo dopo aver manifestato la paura di non sopravvivere. Ricordiamo che il lockdown ufficialmente è finito il 4 maggio ma già a fine aprile, col bel tempo alle porte, a Milano si respirava un’aria diversa, la ripartenza era già nei fatti.
Il 6 maggio, nell’ormai famoso presidio di alcuni ristoratori all’Arco della Pace, parte di una mobilitazione più ampia degli imprenditori del settore su scala nazionale, il leit motiv era “riapertura e ripartenza subito”, anche se alcuni (i più avveduti) sottolineavano come il problema del settore andasse oltre il lockdown. Se le nuove regole venivano indicate da alcuni come principale ragione della crisi (regole che alla fine si discostano non troppo dalla normalità), altri ricordavano come questa era già solida a fine febbraio, durante i primi giorni del virus, quando non era attivo alcun blocco delle attività. Su Milano in particolare la crisi era già iniziata a gennaio, in seguito allo sviluppo del Coronavirus a Wuhan, col conseguente stop dei voli dalla Cina e l’assenza dei turisti da buona parte del mondo intimoriti da ciò che poi si è rivelata essere una minaccia pandemica. Insomma, la crisi del settore era dovuta non tanto al lockdown quanto alla pandemia, da cui la necessità di un intervento del Comune di Milano e, soprattutto, del governo, ovvero il soggetto che controlla i cordoni della finanza pubblica.
A rispondere a questa esigenza, il 19 maggio viene pubblicato il decreto Rilancio: praticamente tutte le richieste degli esercenti (compresa quella di allentare le norme utili alla sicurezza) vengono accolte.
Il decreto è un pranzo di gala
In primis sono state cancellate le clausole di salvaguardia IVA (art.123), oggetto molto discusso durante il governo gialloverde ed ora scomparso nel silenzio generale. L’aumento dell’IVA, mai scattato per evitare un salasso ai consumatori, si è rivelato in realtà non così in grado di incidere sull’aumento dei prezzi visto che durante l’epidemia l’aumento dei prezzi al consumo di molti prodotti sono arrivati addirittura a superare l’8% (nel caso ad esempio della frutta). Certo avrebbe inciso, invece, sui profitti di produttori e distributori.
L’ esenzione (art.180) dall’imposta municipale propria-IMU per il settore turistico premia alberghi e pensioni, fortemente colpiti dalla crisi, ma ad essi si aggiungono anche affittacamere e b&b. Potranno non pagare l’acconto di giugno. Secondo le stime di Federalberghi, il valore IMU annuale dei soli alberghi e pensioni è di 894 milioni di euro l’anno. Il suolo pubblico è concesso da maggio a ottobre a titolo gratuito e sarà possibile ampliarlo attraverso una procedura semplificata (art.181). Per offrire una cifra, il Cosap del Comune di Milano (che comprende anche altre tipologie di occupazione non oggetto della misura fra cui passi carrabili e sottosuolo) vale 80 milioni di euro di incasso l’anno. Non è disponibile un dato esploso ma sicuramente tavoli e sedie corrispondono a una buona parte del totale.
Il fondo turismo e i suoi 50 milioni di euro l’anno sono un’altra misura di sostegno finanziata però in maniera troppo esigua per essere considerata oggetto di riflessione, come nel caso di altri fondi simili.
Più importante è l’investimento sul credito d’imposta concesso ai canoni di locazione per l’utilizzo di locali ad uso non abitativo dei mesi di marzo, aprile e maggio: si parla nell’art.28 di 1,4 miliardi di euro. L’investimento nell’Incremento fondo per il sostegno alle locazioni abitative è di 140 milioni di euro (un decimo esatto).
L’Art. 30 tratta la Riduzione degli oneri delle bollette elettriche per un utilizzo diverso dall’uso domestico. Lo stanziamento è di 600 milioni di euro.
Come per le altre imprese, anche gli esercizi commerciali potranno infine contare sulla sospensione dell’acconto IRAP (il comma 15 definisce oneri in totale maggiori di 6 miliardi di euro), sulla garanzia statale sui prestiti e sugli aiuti sotto forma di sovvenzioni per il pagamento dei salari dei dipendenti per evitare i licenziamenti.
Questi i passaggi salienti contenuti nel Decreto rilancio che direttamente incidono su attività imprenditoriali; in particolare se rapportati ad un REM il cui fondo è inferiore al miliardo di euro e più in generale all’inesistenza di misure a sostegno delle persone fisiche, siamo davanti a misure imponenti, superiori alle reali speranze delle associazioni di categoria. Una vittoria politica che paradossalmente potrebbe essere pagata a caro prezzo dagli esercenti stessi per via della contrazione dei consumi (generata dallo squilibrio di risorse imprese/consumatori) unita alla contemporanea assenza dei flussi turistici. Saranno misure sufficienti? Riusciranno a limare le perdite accumulatesi nel periodo del lockdown e le nuove perdite indotte dalla riduzione dei consumi? Prima di provare a leggere il futuro sarebbe importante riconsiderare quanto successo negli ultimi 3 mesi, quelli della chiusura generale che nel cuore nazionale dell’epidemia, la Lombardia e il suo capoluogo Milano, non c’è in pratica mai stata. Parlare di esercizi commerciali significa confrontarsi con una gamma di soggetti largamente eterogenea che racchiude bisogni e obiettivi ben differenti. In questa città si è sviluppata negli ultimi anni una nuova onda, figlia della turistification, che ha riempito i quartieri di locali, un’onda che ha imposto da un lato gentrificazione accelerata e dall’altro ha mutato i rapporti di produzione e pure quelli di consumo, stimolando il fenomeno del food delivery che durante la pandemia, anche se non ci sono molti dati a supporto (in particolare mancano quelli più ufficiali), ha sostenuto migliaia di attività che in sostanza non si sono mai fermate (nonostante oggi siano oggetto di incentivi a riparazione della chiusura). Su Milano si parla almeno di 40% in più di ordini, realizzati con un grosso risparmio sul personale in presenza (son saltati tutti i camerieri in pratica) e con l’utilizzo di piattaforme come Uber (appena commissariata per caporalato sui rider).
Assembramenti? Non solo Navigli
Dei Navigli infine si parla spesso in difesa o attaccando gli assembramenti, ma a nessuno è venuto in mente di criticare le aperture dei locali in loco avvenute il 4 di maggio, per mezzo della consumazione da asporto, mentre nel resto del paese tutto continuava a essere inesorabilmente chiuso.
La partita, in conclusione, è tutt’altro che definita. Sicuramente, su Milano, la presenza di ristoranti e locali era dimensionata su una misura comprendente la presenza importante di turisti (collegata in particolare agli eventi). Servirà molto tempo per ristabilire i livelli pre-Covid (che fra l’altro non auspichiamo), nel frattempo molti esercizi falliranno. Tanti lavoratori rimarranno a casa e probabilmente non avranno accesso a quei sussidi che sono in realtà i grandi assenti del Decreto Rilancio (nonostante la vulgata imperante sia in grado di affermare il contrario). E’ innegabile però che l’istinto di sopravvivenza dei commercianti ha permesso alle associazioni di categoria di fare un ottimo lavoro col governo in grado di incidere fortemente sull’allocazione delle risorse definite dal DL Rilancio e di offrire almeno la possibilità di sopravvivere a molti (e la possibilità ai conti pubblici di affogare). Il tutto con uno sforzo minimo (qualche sedia portata in piazza ed una trentina di partecipanti per città). Quando scatterà lo stesso istinto di sopravvivenza per lavoratori, precarie e inoccupati?
La febbre dei conti pubblici
In un videomessaggio del 30 aprile 2020 il sindaco Sala vanta la presunta buona gestione finanziaria del suo mandato citando la vendita di importanti pezzi del patrimonio immobiliare da cui ricavare un abbattimento del debito comunale superiore al 10% (nei 5 anni di mandato). Nello stesso video lamenta come la pandemia abbia rimesso in discussione quanto fatto, su cui in sintesi abbiamo dei dubbi poiché il miglioramento delle finanze attraverso la riduzione del patrimonio pubblico non ci pare un grosso successo. Di seguito prova ad approfondire il concetto citando dei numeri e delle spese (in realtà confondendosi, si riferisce a minori entrate): 400 milioni di euro in meno di entrate è l’ipotesi di ammanco rispetto all’ultimo bilancio di previsione dovuto in particolare a minori entrate rispetto alle previsioni su: 1. mobilità e parcheggi 2. Dividendi dalle partecipate 3. Tassa di soggiorno.
In seguito al video messaggio, dopo l’assalto alla diligenza di cui abbiamo discusso nei precedenti passaggi avvenuto ad opera di Confindustria e Confesercenti (amplificato da dichiarazioni patetiche sul mancato impegno nei loro confronti da parte del governo), un nuovo tsunami si è abbattuto sui conti pubblici, in particolare sui conti degli enti locali, ancor più nel dettaglio sui conti del Comune di MIlano: il Decreto Rilancio.
Cosa si propagandava a fine aprile?
1. Un fondo di mutuo soccorso ricavato da donazioni dei privati: 14 milioni di euro in più, quasi tutti offerti a piccole attività economiche, scuole per l’infanzia esclusivamente private, buoni pasto e iniziative generiche da adottare col beneplacito del consiglio comunale.
2. Una trattativa comuni/governo per farsi finanziare alcune iniziative: a. il prolungamento dell’abbonamento dei mezzi pubblici recuperando il tempo di non utilizzo. b. La copertura del mancato introito Cosap (suolo pubblico) e rifiuti per il periodo di sospensione. Solo per il periodo di sospensione.
5 giorni dopo, il 5 maggio Il Sole24 Ore rincarava la dose aggiungendo maggiori dettagli e altre informazioni rispetto alle minori entrate già citate:
- La restituzione rette asilo nido e rette refezione scolastica. (nella successiva tabella le quantifichiamo, sono metà delle entrate annue)
- La SEA incasserà 38 milioni di euro in meno.
- COSAP: 40 milioni di euro in entrata anziché 65.
- Tassa di soggiorno: 15 mln in entrata anzichè 55.
- Area C: è sospesa, su tutto l’anno fra incassi e sanzioni fa 320 milioni di euro.
- Le nuove vendite di immobili, alcune delle quali già progettate, sono ora da escludere, coma la vendita di quote delle partecipate: in questo momento sarebbero poco profittevoli (Tasca docet).
Il 19 maggio 2020 viene poi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e diviene immediatamente efficace il Decreto-Legge 19 maggio 2020, n. 34 recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” – per gli amici detto Decreto Rilancio. Del gruppo dei beneficiari (di cui abbiamo precedentemente discusso) non fanno certo parte gli enti locali. Alle stime precedenti di fatto se ne sommano altre, la “ristorazione” per le mancate perdite è quasi ovunque nella misura di un quarto rispetto alle perdite (ad essere di manica larga).
La parte di decreto che coinvolge più direttamente i comuni è il titolo V, di cui il pezzo forte è l’art.106, un fondo di 3 miliardi di euro: a questo fondo possono accedere tutti i comuni del paese (7.904) in proporzione alla “sofferenza”. Oggetto di questa sofferenza sono però solo le funzioni fondamentali, parte delle quali sono funzioni dello Stato delegate all’ente territoriale. Nuovamente riportiamo una dichiarazione dell’assessore Tasca: «Leggo all’articolo 106 del decreto: “Sono individuati criteri di riparto tra gli enti sui fabbisogni di spesa e sulle minori entrate, al netto delle minori spese”. In pratica, se risparmio, mi tolgono i soldi>>. Sempre Tasca calcola gli aiuti in 200 milioni di euro a fronte di una perdita, a conferma dell’articolo del Sole 24 ore prima citato, in cui si indicavano perdite per 500 milioni di euro.
Il termine utile alla presentazione del bilancio consolidato, è differito al 30 novembre (art.110): si è parlato di Sea, si è parlato poco di MM e di A2A, che subiranno presumibilmente anch’esse grandi perdite, essendo però il bilancio consolidato un bilancio di esercizio vedremo gli effetti della pandemia solo l’anno prossimo. In cui i dividendi da 140 milioni di euro non verranno redistribuiti e non aiuteranno il bilancio comunale. Anzi…..
Incide in maniera decisa sulle entrate correnti anche il Cosap sugli esercizi commerciali (tavoli e sedie su spazio pubblico), l’art. 181 esonera il pagamento dal 1° maggio al 31 ottobre del 2020, periodo su cui si concentra l’occupazione di suolo e che comprende in pratica tutta la cifra incassata dall’occupazione temporanea e metà della cifra incassata dall’occupazione permanente (che dovrebbe essere invece pagata nel periodo in cui alcuni non occuperanno il suolo e di conseguenza anche la parte imposta genererà ricorsi). La cifra del Sole 24 Ore ci sembra ottimistica, il ristoro di 127,5 milioni di euro su tutta Italia ci fa immaginare ad un ventesimo della cifra dedicata a Milano, a essere ottimisti, nelle prossime settimane si auspica se ne saprà di più. A fronte dello sconto/esenzione gli esercizi commerciali potranno ampliare l’occupazione suolo attraverso una procedura semplificata portando il dovuto ipotetico e quindi lo sgravio e la sottrazione di risorse alla comunità a cifre ben più alte. L’imposta di soggiorno è citata dall’articolo 180, su di essa l’ammanco sulle entrate è generato da causa naturale ed il rimborso è di 100 milioni di euro a livello nazionale. Qui il buco sarà consistente, l’idea della Milano malaticcia che non fa tamponi e test sierologici per paura di avere un cattivo ritorno di immagine terrà lontani i turisti anche oltre le nefaste previsioni. Riguardo ad IMU e Tari, l’articolo 177 dispone l’esenzione IMU per il settore turistico, compresi i (air)b&b, per un totale calcolato su livello nazionale pari a 3,3 miliardi di euro. La TaRi potrà invece essere rimodulata, nelle sue tariffe, entro il 30 giugno (art.138) in considerazione dei minor rifiuti prodotti. Come è noto, il tributo viene imposto e calcolato a copertura delle spese di smaltimento rifiuti, calcolo che ci pare complicato e di conseguenza, come sempre, sarà il rapporto con le associazioni di categoria a determinarlo.
A corollario di quanto scritto, la partita delle entrate correnti dipenderà molto (questo è il grande non detto nel dibattito pubblico sino a questo momento) dagli articoli che dispongono la sospensione della riscossione coattiva (articoli 149, 152 e 154), che determineranno un importante divario fra il bilancio per competenza ed il bilancio per cassa con possibili problemi di liquidità sugli anni futuri e disequilibrio fra entrate e uscite correnti.
Meno fosca sembra essere, almeno per il 2020, la partita che si gioca sulle entrate ed in particolare le uscite in conto capitale: l’art. 113 permette la rinegoziazione dei mutui contratti dagli enti locali sulla base di accordi promossi fra ABI e ANCI, per cui sarà possibile per l’anno in corso sospendere su richiesta le rate dei mutui che aderiscono a questa formula con conseguente rinegoziazione del finanziamento. Il Comune di Milano è esposto (stima al 31/12/2017) per circa 1mld e 900 mln di euro per mutui assunti con cassa depositi e prestiti e 700 mln di euro con altri Istituti di Credito, le sorprese si presume si potranno verificare solo su quest’ultimo versante. In questo modo il debito verrà distribuito su più anni e l’incertezza spostata in avanti. Non è una soluzione risolutiva in assoluto ma il timer della bomba mutui diverrà un problema non per questa ma per prossime amministrazioni. Ricordiamo però che i principi di equilibrio di bilancio rimangono tuttora in piedi, che dev’esserci equilibrio fra entrate e uscite correnti ed entrate e uscite in conto capitale, per cui eventuali maggiori entrate da dedicare alla spesa corrente non possono derivare da mancate uscite per la sospensione del pagamento di mutui.
Infine, gli articoli 115 (fondo di liquidità) e 116 (prestito offerto da CDP spa) sostengono i pagamenti dei debiti commerciali degli enti locali.
A questo punto occorre avanzare una riflessione politica sul caso: parte del debito deriva dalla mancata imposizione dell’Area C (320 milioni di euro di incasso annuo meno un quarto del periodo annuo fa – 80 milioni di euro), ad uso e consumo della città a misura di combustibile fossile, e dai mancati introiti sull’utilizzo privato del suolo pubblico, ad uso e consumo della turistification in assenza di turismo (e di contentino di questo tramite l’Imposta di Soggiorno). Sul resto del debito maturato (i cui impatti reali, ripetiamo, saranno soprattutto riversati sul prossimo esercizio) occorre chiedersi perchè la manica larga del decreto rilancio nei confronti delle imprese è divenuta manica stretta quando si è trattato di rafforzare il livello dei servizi pubblici sul territorio, ora particolarmente importanti per chi non avrà sufficienti soldi per recuperare quei servizi sul mercato.
In estrema sintesi, ciò che si verificherà sui bilanci degli enti locali sarà una crisi che impatterà molto direttamente sull’erogazione dei servizi e poco sull’esposizione dell’ente nei confronti dei creditori. L’entità di questa non è in realtà facilmente calcolabile e molto dipenderà dalla capacità dei milanesi di rimanere dei buoni contribuenti. Chi vi riuscirà potrà continuare a sognare la ripartenza del modello Milano, un modello che diverrà d’altra parte escludente per un numero superiore di persone, spinto all’esterno da nuove carenze e nuove incapacità strutturali, parliamo del quarto di abitanti in sofferenza.
Brevi conclusioni in cerca d’autore
Nell’euforia da fine quarantena e nella sbornia che ne è seguita si è dunque consumato un aspetto specifico della lotta di classe in Italia: quello della distribuzione delle risorse d’emergenza, nettamente a favore di industriali e commercianti. Come ogni grande travolgimento sociale, l’attuale crisi si sta accompagnando alla ridefinizione della finanza pubblica e dei circuiti di distribuzione delle risorse. Il silenzio politico e i divieti della fase 1 hanno permesso soltanto alle associazioni datoriali e al ceto medio commerciante di far sentire la propria voce, muovendo le giuste pressioni per ottenere il più possibile – come di fatto avvenuto. Il coro di queste voci sole e potenti sono state interrotte unicamente da tre episodi, politicamente significativi ma ancora in cerca di un seguito: la rivolta nelle carceri del 9 marzo; gli scioperi spontanei nelle fabbriche del Nord sempre nel mese di marzo; lo sciopero del bracciantato agricolo del 21 maggio. Tuttavia, l’assenza di una rappresentanza – istituzionale, sociale, sindacale – della maggioranza deprivata e impoverita, lavoratrice o precaria, inoccupata o disoccupata, dalla crisi pandemica ha fatto sì che lo “scoppio” della bomba sociale fosse ritardato tramite gli strumenti tradizionali della Cassa integrazione e del sussidio di disoccupazione, quello più nuovo del Reddito di cittadinanza e infine una serie di misure straordinarie. Eppure quella che stiamo vivendo sul fronte della crisi sociale è appunto solo una tregua.
In queste settimane sono molte le piazze di sinistra, in particolare a Milano e in Lombardia, non sempre collegate tra di loro, ma partecipate, tutte comunque in un modo o nell’altro espressione di rabbia e opposizione rispetto al trauma subito e alla gestione della cosiddetta “fase 2”. Dove andremo nei prossimi mesi? Se non vogliamo che il brusco risveglio che subiremo come paese tra fine agosto e inizio settembre (quando si accavalleranno scadenze finanziarie e terminerà la Cassa integrazione) venga riassopito tramite una capillare, inedita forma di mercato del lavoro in modalità integralmente da gig economy o un sistema frammentato di limitate e insufficienti misure di sostegno al reddito; se non vogliamo, peggio ancora, che l’impoverimento continui a parlare il linguaggio della destra più becera e nazionalista: allora è necessario trovare un finale diverso e una capacità di individuare i suoi autori.