Come cambia Milano,
Luccicante latrina,
Un pozzo di petrolio
Che puzza di trielina.
E’ Milano che mangia
E non chiude la bocca
è Milano ubriaca
Di soldi e veleno
E nessuno più la tocca
Così cantava Gianfranco Manfredi, rispetto a una città che cambiava e passava da un sogno di rivolta forse impossibile a un conformismo arrivista dove, come ha scritto giusto ieri Lucia Tozzi, critica e consenso convergono. Una canzone d’annata, che parla di un cambiamento ormai consumato al giorno d’oggi, ma che in questi giorni conferma tutto il suo impianto ideologico, culturale, economico.
“Successo oltre le attese per il primo Salone del Mobile post-Covid”; “Posa del primo mattone per CityWave, la quarta torre di CityLife”; “Al via i lavori e le bonifiche a Santa Giulia per la costruzione del PalaItalia per le Olimpiadi2026” – con annesse nuove volumetrie a beneficio di Immobiliare Risanamento ed Esselunga, gli operatori che realizzeranno l’impianto; “Pieno di visitatori per il nuovo Mercato Centrale”- e relativo “street food” inaccessibile per i ceti popolari.
Questi più o meno i titoli e il tenore delle cronache milanesi al centro dell’attenzione mediatica delle scorse settimane, arricchiti dal mantra ormai tradizionale sulla “locomotiva-Milano”. A dispetto delle tante voci che nei lunghi mesi del lockdown auspicavano per il dopo pandemia un cambio di rotta rispetto alla “normalità che era il prima”, la ricetta meneghina riparte dove si era fermata la città a febbraio 2020: eventi, grandi e piccoli, settimane tematiche, flussi turistici e finanziari, sviluppo immobiliare. Sono questi gli ingredienti della ripartenza, con l’immaginario olimpico a fare da sfondo propagandistico e la “rivoluzione urbanistica” degli Scali ferroviari come obiettivo di medio termine.
La retorica entusiasta che ha accompagnato queste notizie è servita a nasconderne altre , di senso opposto, che solo pochi giorni prima avevano fatto capolino sui media: anche nel 2021 continua il trend di fuga di abitanti da Milano, iniziato nel 2020, con un saldo mensile negativo di oltre 500 abitanti; le Aziende sanitarie milanesi e ATM hanno difficoltà a reperire nuovi medici di base e nuovi autisti per i mezzi pubblici: per entrambe le categorie i livelli reddituali vengono considerati insufficienti per fronteggiare il costo della vita di Milano. La dinamica del costo affitti per le abitazioni, lo abbiamo raccontato altre volte, non si è fermata nemmeno durante il lockdown, trascinata dagli investimenti garantiti dei grandi gruppi internazionali e dai 30 mld di euro di investimenti previsti nei prossimi 10 anni, a partire dalle grandi trasformazioni (Scali, stadio ed ex trotto, bandi C40, completamento di Citylife,Santa Giulia e Porta Nuova) ma anche dalle scelte governative (leggi superbonus edilizio) che hanno fatto proliferare cantieri grandi e piccoli, soprattutto in prossimità delle aree su cui sono previsti i suddetti “grandi progetti” e nelle zone periferiche e semi-periferiche interessate da interventi di riqualificazione e ristrutturazione, anche di edilizia pubblica, sotto la spinta di nuove dinamiche gentrificatrici (Bovisa, Dergano, Corvetto, Giambellino, Lorenteggio su tutte).
Sono le due facce, sempre più divergenti, che convivono in questa città: la Milano “sala giochi” delle classi ricche, delle rendite finanziarie e immobiliari, che pensa di poter continuare a prosperare sulla precarietà e sulla crescente esclusione di una fetta crescente della popolazione. Convinzione alimentata dai 4,7 mld in arrivo in città con il PNRR, forte del fatto che il grosso degli investimenti per le Olimpiadi invernali 2026 rimarranno proprio a MIlano. Un modello, però, non solo insostenibile per molti, ma che è quanto di più lontano anche dalle priorità ambientali che la città dichiara di avere, a partire dalla qualità dell’aria che respiriamo e di un consumo di suolo non più incrementabile. Il “modello Milano”, infatti, non solo vede la città al primo posto in Lombardia per suolo libero inghiottito dal mattone (coerentemente con Regione Lombardia, che possiede il primato nazionale), ma genera ogni anno oltre 500 mln di tonnellate di rifiuti inerti derivati dalle attività edili. Crisi sociale e crisi ambientale della città dovrebbero essere al centro anche della campagna elettorale in corso, mentre invece, almeno da parte dei due principali contendenti, sono relegate a slogan o promesse elettorali, in linea con l’ambientalismo di facciata e una realtà di inclusione su base del reddito che caratterizza narrazioni e politiche pubbliche.
In questi giorni a Milano si terranno gli incontri preliminari alla COP 26, la Conferenza sul clima che avrà luogo in autunno a Glasgow. Siamo sicuri che il Sindaco Sala, ma anche gran parte dei suoi sfidanti, non perderanno l’occasione della pre-COP per alimentare la retorica green della loro campagna elettorale. Ma proprio perché la pandemia ha rivelato quanto la crisi climatica e ambientale sia drammatica e richieda soluzioni radicali e urgenti, servirebbe molto di più che “una mano di verde” a finanza e modello economico e parole roboanti e svuotate quali “transizione ecologica” o “resilienza”, tanto care a Sala, per affrontare la questione e garantire giustizia ambientale e sociale.
E proprio con il modello COP vogliamo tracciare un parallelismo per ribadire le ragioni di una lotta politica – ecologista radicale e in ultima istanza per il diritto alla città – che non può trovare nelle Istituzioni e negli Accordi tra le parti causa del problema la soluzione: la soluzione alle emissioni inquinanti, così come la “spinta” alle aziende per la transizione energetica, tramite lo strumento del mercato e della finanziarizzazione deregolamentata anche dell’inquinamento e degli impatti ambientali si sono dimostrate fallimentari. Non solo da un lato stanno causando una crisi energetica che presto diventerà alimentare, ma allo stesso modo la logica speculativa sottesa alla legge di mercato all’epoca del finanzcapitalismo fa sì che convenga investire (leggi: scommettere) sulle aziende maggiormente inquinanti perché garanti di maggiore redditività nel breve periodo.
Il mercato non è mai la soluzione – né per definire un’idea di città e le sue linee fondamentali, a partire dalla casa e dall’abitare, né per invertire la rotta della crisi climatica. Never trust a Cop, dicevamo anni fa. And a Sala, aggiungiamo adesso.