Ad inizio settembre, in cosciente ritardo con l’appuntamento del libro balneare, è uscito nelle migliori librerie “Dossier Expo” di Alessia Gallione (edizioni Bur Rizzoli). A conferma dell’assoluto disinteresse della nostra città nei confronti dell’evento (modesto, come direbbero i cinesi) Expo 2015, dopo una settimana dall’uscita il libro era già offerto scontato del 15% nel punto vendita Feltrinelli di Piazza Duomo.
In questo lavoro noi noexpo attitude milanesi (qui il nostro dossier uscito due mesi prima del lavoro di Alessia) veniamo citati due o tre volte in tutto, disidentificati e velatamente accostati ai radical luddisti di cui a volte parla pure l’ex ministro Scajola. Nonostante ciò numerosi sono i punti di interesse interni a questa pubblicazione, che parla poco ed in maniera poco approfondita dei grandi interessi economici e dei costruttori (Euromilano e la CMC per esempio non vengono praticamente mai citati) ma ha il merito di ridimensionare e quasi ridicolizzare la propaganda pro “Expo2015 motore dell’economia”, da un punto di vista moderato (prossimo al lettore medio di Repubblica) ma allo stesso tempo preciso nell’affermare che il grande evento che crea sviluppo e progresso appartiene alla mitologia. E’ insomma un fatto accertato che gli ultimi quattro Expo europei (Siviglia, Lisbona, Hannover e Zaragoza) si siano risolti con un ampio ridimensionamento delle previsioni di partecipazione ed una scomoda eredità da gestire in termini di debito accumulato, progetti incompiuti o in perenne ricerca di ricollocazione.
Non ci è piaciuta tutta la parte di questo lavoro dedicata alle trame di palazzo e che guarda ad Expo2015 attraverso le lenti di una puntata di Dallas. Non consideriamo il duello Formigoni-Moratti (un conflitto dai tratti effettivamente stucchevoli) come centrale in questa vicenda. Una vicenda, quella dell’esposizione meneghina, che è nata male e proseguita peggio un po’ per la profonda inattualità del mega-evento, un po’ per la sua macchiettistica declinazione territoriale: la Lombardia è immersa dal 2007 in una crisi di cui non si vede tuttora uscita, Expo2015, è ormai opinione comune, ne sarà un fattore tragicamente aggravante. Non ci è invece chiara la razionalità di una exit-strategy di rilancio che punti sull’inversione dei fattori (i rappresentanti politici o gli AD) pur mantenendo immutato il progetto (il cui ridimensionamento progressivo è dettato non da miglioramenti funzionali ma dalla riduzione di budget)) oltre che lo spirito edificatorio dell’iniziativa (Expo come occasione per un’ulteriore consumo di suolo e per un rilancio dell’edilizia abitativa…). A questo punto sarà la storia (rigorosamente con la s minuscola) a dirci se Expo2015 sarà un danno ridotto oppure un fallimento totale.
Non esiste nel dossier alcun cenno sulla radicata attività territoriale della ‘ndrangheta, già grande protagonista dei primi appalti/subappalti Expo (d’altra parte nel milanese è da almeno un decennio impresa leader nel settore) e neppure considerazioni sull’alleanza bipartisan destra/sinistra legacoop/coop bianche per spartirsi la torta (come ai vecchi tempi della Milano da bere). Non c’è nemmeno alcuna considerazione sull’impatto economico e sociale di questo grande evento, iniziando dalla deindustrializzazione del nordovest milanese alla devastazione di un economia ancora in buona parte legata all’agricoltura nella cintura milanese minacciata da TEM, Pedemontana e Brebemi (opere di cui si parla nel capitolo, dal titolo acuto, “Tutte le strade portano (forse) a Expo”), il tutto legato all’avanzo di quel tipo di economia subordinata alle ragioni della rendita.
Accenniamo a queste mancanze per definire meglio questo Dossier Expo: un’opera dall’animo non radicale e nemmeno militante (ma per quello esistono i NoExpo), un’opera che non nasce dal bisogno (etico o dettato dalla semplice sopravvivenza) di difendere il proprio territorio. Un’opera che documenta invece quanto il disinteresse della classe media milanese nei confronti di Expo2015 sia dilagante, un’opera che disintegra la retorica tardo berlusconiana della “mania di grandezza” come mezzo per “far ripartire l’economia”, un’opera che, dati alla mano, sarebbe stata un’occasione di crescita per il territorio, in termini capitalistici, se fossimo stati nei tardi anni ottanta..ma stiamo parlando appunto degli albori di Italia 90, non di Expo 2015. La giunta a Milano era di centro sinistra (la giunta rosso-verde). Tabacci era il presidente della giunta lombarda. Al governo c’era il Pentapartito. A pensarci bene, nemmeno ai tempi il film fu piacevole: e dopo Italia 90 arrivò, come di consuetudine, il dissesto finanziario, che all’epoca si calcolavaancora in lire.
Insomma, un’opera che vuole (seppur parzialmente) riportare i milanesi alla realtà.