Almeno 5 torri di controllo vigilano sul sito espositivo.
La smart city è un grande accumulatore di numeri, cifre, umori e passioni, tutte dotate di barcode.
Sono le 10 del mattino, mi reco davanti ai cancelli. Anzi, ai “gheit”. Le file sono importanti. Le procedure d’ingresso sono più accurate che in un aeroporto. In effetti la velocità della fila è inferiore a quella di Malpensa.
Passa un’ora e mezza. I cancelli sono vuoti, deserti. Quel che è stato è stato, anche in questa giornata chi doveva entrare è entrato. Ed ha pagato con CartaSi. Ora per i cancelli cala un disinteresse giornalistico che solo l’apertura serale potrà riattivare.
Quante persone vengono in questo luogo ogni giorno? La risposta pare impossibile.
“Non cadiamo nel tranello del flop”, disse più o meno il commissario unico, affermando la necessità di nascondere i dati sensibili delle entrate per migliorare la pubblicità del prodotto. Altri modi per ragionare sugli afflussi ci sono, la richiesta d’occultamento dati però s’espande pure sul dato della frequentazione dei mezzi pubblici e dello smaltimento rifiuti.
Prima che la danza dei numeri su Expo divenga il tormentone dell’estate, l’spa che regna sull’esposizione universale dirama con grande entusiasmo i numeri del primo mese: un successo!
Non riesco a capire quindi tutto questo entusiasmo: in pratica è matematica certezza il non raggiungimento degli obiettivi minimi iniziali, si festeggia però l’averci provato. L’aver ottenuto comunque i 15 minuti di gloria che ognuno nella democrazia del consumo dovrebbe avere. L’aver fatto qualcosa di grande, di importante per l’onore della propria città, del proprio paese. Chi rema contro è un bastian contrario di natura, è un gufo, è triste. Chi rema contro preferisce non giocare la partita.
Chi cerca chiarezza sui numeri di Expo, però, non lo fa per gioco. Lo fa perché sul(le stime del) numero di visitatori si son mossi milioni di metri cubi di terra, si sono costruite enormi infrastrutture oggi semideserte (BreBeMi e soci), è stata cambiata non solo la faccia ma la natura di una città il cui futuro sembra consegnato esclusivamente allo spettacolo delle torri finanziarie, al consumo di suolo, ai parcheggi deserti al posto di attività produttive. I numeri di Expo sono stati il piede di porco attraverso cui una fetta importante di città è stata sventrata e poi ricostruita, in prospettiva di fare una bella figura per 6 mesi. Oggi questi numeri vengono ridotti a mero argomento di discussione da bar attraverso cui una parte del paese taccia di pessimismo (o di gufismo) chiunque voglia raccontare un’altra storia.
La questione dei numeri, però, cela il valore degli investimenti e le ricadute sul territorio. Numeri che offrono una lettura qualitativa dell’impianto Expo, numeri che impattano in maniera drammatica sul dopo Expo, per il quale non esiste nemmeno il piglio delle stime ottimistiche ed il sistema spettacolare del mega-evanto a sostegno.
Vedo un signore con in mano una bandiera bizzarra: l’uomo vitruviano dotato di maschera antigas. “La critica ad Expo2015 non è estetica, anche se l’esposizione mostra di sé lati veramente brutti. Il nostro ragionamento verte sulla progettualità indotta dalla logica del mega-evento, sulle ricadute che questo modello ha sul territorio. Sull’utilizzo delle stime di parziali previsioni economiche per stimolare trasformazioni territoriali ad una dimensione”.
Per arrivare a comprendere l’impatto del mega-evento sul territorio non è necessario fare i turisti per caso. Ciò che è necessario è restituire il dibattito alla sua originaria realtà: perché invadere il nostro futuro per mezzo di un evento difficilmente fortunato?
A quel punto potremmo tornare a parlare di numeri.