Lo abbiamo già accennato e lo ribadiamo: l’improvvisa attenzione di media e Istituzioni per la questione affitti è probabilmente dovuta alla crisi (irreversibile? Ce lo auguriamo) che sta attraversando il tradizionale mercato dei mutui e quindi una politica abitativa fondata sulla casa di proprietà e sulla mano invisibile del mercato. Se a livello europeo in Italia il potere d’acquisto è crollato molto più che altrove dal 1990 a oggi, mentre il prezzo dei mutui è aumentato nell’ultimo anno del 25/30% significa che la proprietà è di fatto inaccessibile, mentre la dinamica degli affitti – sia di mercato che nel patrimonio ERP – gioca al rialzo, seguendo e alimentando le dinamiche imposte dai grandi player immobiliari della turistificazione e finanziarizzazione delle città.
In Italia sono calcolate circa 35milioni di case, di cui il 73% abitato e il 27% vuote o abitate in modo non continuativo da una sola persona; dei 25 milioni abitate il 76,7% è di proprietà e il 17% in affitto; osservando il titolo di godimento, il 20% (circa 5 milioni di persone) risultano in affitto e il 12,8% dei titoli proprietari hanno un mutuo attivo (3,3 milioni). La distanza tra affittuari e proprietari si amplia con l’anzianità: per cui nella fascia 28-35 i primi sono il 37,3% e i secondi 47,8%, mentre tra gli over 65 si passa rispettivamente al 10,2% e all’84,1%. I dati rivelano dunque un problema sì generazionale, ma anche e soprattutto legato alla dimensione lavorativa e reddituale, oltre che di politiche abitative esistenti al momento del proprio ingresso nel mercato della casa; in secondo luogo, ci confermano che il problema non deriva tanto dall’offerta, ovvero dagli immobili a disposizione, ma dell’accessibilità di questi.
A far emergere – non ancora esplodere, speriamo ci si arrivi – la questione abitativa non sembra dunque essere la tradizionale composizione sociale sottoproletaria e deprivata dei comitati di lotta per la casa – le cui rivendicazioni sono rivolte soprattutto nei confronti dell’edilizia popolare ferma da decenni, tenuta vuota e progressivamente privatizzata fino a raggiungere appena il 5% del patrimonio abitativo nazionale. Sono gli studenti e le studentesse a reagire, finalmente: figli e figlie di un ceto medio impoverito, terza generazione precaria, affrontano anzitutto la questione del caro-affitti legata alla mancanza cronica di posti letto per i fuori-sede in particolare: 40.000 a fronte di più di 765.000 studenti, con tariffe applicate per gli studenti “privi di mezzi” che vanno a Milano da 767 euro a posto in una stanza singola a 455 euro per un posto in una doppia.
E proprio a Milano, culla di quel modello di governance urbana che rapidamente si sta affermando a livello nazionale, la questione si intreccia anche con un carovita che sta progressivamente espellendo migliaia di persone non solo dai quartieri della seconda cerchia, ma dai confini comunali verso l’hinterland e i Comuni più distanti. Qui, la soluzione prospettata sulla questione studentesca sembra ricalcare la medesima paradossale ricetta presentata da Maran al Forum dell’Abitare del mese scorso: moderata regolazione di mercato (più dichiarata che reale, data l’assenza di vincoli e anzi con ampi vantaggi fiscali garantiti), maggiori concessioni ai privati nella gestione del patrimonio abitativo. E a Milano non è certo una novità. Hines realizzerà in Bovisa 2 dei 3 nuovi studentati che sorgeranno nel quartiere: il primo all’interno del progetto di rifacimento della piazza pubblica di via Durando, davanti al Politecnico; il secondo dentro il progetto vincitore del bando c40-reinventing cities sullo scalo Bovisa chiamato MoLeCoLa – oltre allo studentato in via di edificazione in zona Scalo Romana, in Via Ripamonti 35, presso i locali dell’ex Consorzio Agrario. Altra iniziativa privata e già terminata sempre da Hines è lo studentato nei pressi della Bocconi, il discusso “Aparto”, con letto in doppia a partire da 600 euro.
Nello specifico, sugli studentati è il patron del mattone meneghino, Catella, a offrirsi nel dibattito di questi giorni tramite il Fondo Student Housing, promosso dalla sua onnipresente Coima presso gli atenei milanesi: sottoscrivere una quota simbolica pari a 100.000 euro del fondo in cambio di priorità nell’assegnazione dei posti letto e della presenza in un comitato di indirizzo senza nessun potere decisionale reale; gli alloggi a canone calmierato – senza specificare a quanto – saranno solo il 10%, mentre la restante parte resterà a prezzo di mercato. Naturalmente, l’operazione pensata da Coima si inserisce nel progetto nazionale di utilizzo di 960 milioni di euro del PNRR – di cui 660 a un fondo housing composto da privati da coinvolgere – per realizzare ulteriori 60 mila nuovi alloggi universitari entro il 2026, la cui realizzazione è affidata a privati non più vincolati a garantire una percentuale fissa a fasce di reddito meno abbienti, ma che potranno invece destinare le abitazioni anche a scopi diversi – in primis turismo e affitti brevi – senza limiti temporali e quantitativi. Coima peraltro è già nel business studentati, tramite il Fondo Scalo Romana che proprio nell’ex snodo ferroviario di Porta Romana ha in programma di realizzare prima il Villaggio Olimpico del 2026 e, nella stessa struttura, un nuovo studentato – in una perfetta sintesi dei più lauti affari a disposizione degli immobiliaristi nostrani: Olimpiadi, scali ferroviari, questione abitativa studentesca.
Non è il mercato che è “impazzito”: è la sua funzione normale e regolare, soprattutto quando vengono aperti sempre nuovi settori da finanziarizzare e da cui estrarre valore. L’altra sera, nell’assemblea in Statale promossa dalle liste di rappresentanza studentesca, cui hanno partecipato il sindaco e Maran per parlare del caro-casa, Sala ha avuto anche il coraggio di affermare: “la casa è una questione di mercato, non decidiamo noi”. Ripetiamo dunque un appello che avevamo già scritto in una precedente riflessione: attenzione alle sirene della – timida, falsa – regolamentazione dall’alto, rifiutiamo le lusinghe di chi vorrebbe deviare una potenziale protesta verso soluzioni temporanee capaci solo di riassorbire per breve tempo una piccola quota degli esclusi dal mercato. Soprattutto rifiutiamo quella separazione, falsa, tra questione abitativa generale e casa per gli studenti: si tratta del medesimo problema. Che dalle tende montate fuori dagli atenei si passi presto ad occupare le università stesse – e le sedi di quelle società private che stanno già organizzando il prossimo saccheggio di risorse collettive, negando il diritto alla casa e allo studio ai più.