Nasce #openexpo, col trucco…

Meglio tardi che mai?

A una prima occhiata sarebbe stato meglio mai e punto. Sarebbe stato almeno più coerente.

Il sito #openexpo appena inaugurato, e rilanciato in rete dagli account Twitter di Expo, Renzi e PD, è poco più che una sòla, una delle ormai classiche operazioni di washing a cui Expo ci sta abituando.

Un sito che raccoglie dati già disponibili sul sito di Expo 2015, assemblati in modo impreciso, incompleto e spesso fuorviante. Una cascata di traballanti cifre e percentuali, una sorta di epica del numero che omette completamente gli aspetti informativi e qualitativi delle opere.

La navigazione è poco intuitiva e non sempre facile per chi non è abituato a muoversi su siti simili, le poche parole spese incomprensibili ai non addetti ai lavori (leggere ad esempio nel box “stato dei lavori” le tendine che appaiono spostando il cursore del mouse sopra alla “i” di info… non siamo tutti ingegneri!).

Insomma, un po’ di #openwashing fatto in tutta fretta dopo gli scandali e la richiesta di trasparenza arrivata da diversi fronti.

I dieci motivi per cui #openexpo è un pacco:

1) Non ci sono informazioni qualitative sugli appalti: come diavolo faccio a sapere di cosa stiamo parlando?

2) Le poche informazioni presenti sono incomprensibili: non siamo tutti ingegneri e un buon uso della grammatica non guasterebbe.

3) E’ una sintesi incompleta di numeri e percentuali già presenti sul sito ufficiale di Expo: perché il nome dell’indagata Maltauro non compare nell’appalto della Via d’acqua sud vinto dalla Maltauro?

4) E’ una sintesi incompleta e imprecisa di numeri, percentuali e nomi già presenti sul sito ufficiale di Expo: perché nella home, sezione lavori, non c’è l’appalto commissariato alla Maltauro per le Architetture di servizio?

5) E’ una sintesi incompleta, imprecisa e fuorviante: i ribassi record con cui sono stati assegnati gli appalti vanno considerati “costi fissi esclusi/oneri per la sicurezza” esclusi. Altrimenti, solo per fare un esempio, la Mantovani ha vinto l’appalto per la costruzione della Piastra con uno sconto del 39% sul sito #openexpo e del 42% sul sito ufficiale di Expo: mettetevi d’accordo.

6) Mettetevi d’accordo anche sull’importo totale delle varianti: nella sezione “cruscotto dei lavori” scrivete che in totale sono 34 milioni di euro, ma nella sezione interferenze alla CMC scrivete di aver dato 37 milioni alla voce importo varianti. Eddai.

7) Mancano i dettagli delle gare affidate a trattativa privata, che ammonterebbero, secondo quanto detto dall’autorità di vigilanza sugli appalti pubblici, a circa 500 milioni di euro: poi uno pensa male e crede abbiate qualcosa da nascondere.

8) Sono assenti informazioni sulle gare quali: procedure, composizione commissione giudicante, punteggi assegnati, elenco partecipanti, dettaglio e/o sintesi del progetto… e ci fermiamo qui.

9) Alcune pagine dei lavori assegnati sono quasi vuote, ma siamo fiduciosi in un update nei prossimi giorni.

10) Nella pagina della Via d’acqua sud manca “l’indice di potenziale ritardo”. O forse sapete che non la farete mai.

#Expofamale e oltre Expo c’è tutta un altra città.

Ci vediamo l’11 ottobre in piazza.

Appunti sul fallimento della #BreBemi e perché anticipa il modello Expo

1) 20 anni di progetto per collegare in 62km Brescia ovest a Melzo

2) il costo previsto di 866mln è lievitato a 2,4mld..e l’investimento che era (nelle intenzioni) completamento privato ha richiesto come stampella detrazioni fiscali

3) al di là che non ci sia un solo benzinaio, segnaletica in ingresso né controlli tutor non è corretto dire che non esistono aree sosta, peggio: ce ne sono due vuote dopo tre gare andate deserte

4) i colli di bottiglia sulla congestionata Cassanese e sulla bretella di Brescia-Castrezzato non sono stati affrontati inficiando così il risparmio di tempo ipotetico

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5) dagli 80mila passaggi giornalieri previsti siamo oggi a 16mila reali e 22mila ipotetici per l’anno in corso

6) la BreBeMi, o A35 costa quasi il doppio dell’A4 (15cent al km)

7) nel contesto dell’emergenza ritardi, i suoi cantieri sono stati usati come discariche di rifiuti dalla ‘ndrangheta

In conclusione BreBeMi (l’unico segmento compiuto della matassa autostradale inserita nel dossier con cui Milano ha ottenuto di ospitare Expo2015) è un’opera inutile, costosa e nociva (centinaia gli ettari di terreno agricolo persi). Il modello di “rilancio del territorio” che dovrebbe “nutrire il pianeta” si fonda su una mobilità pesante, privata, inquinante che non ha convinto le banche ieri, gli automobilisti oggi. BreBeMi prefigura la miopia progettuale di un’esposizione universale traballante che, dietro la stessa ammiccante propaganda, si propone come matrice di debito, cemento e precarietà per tutto il territorio regionale.

L’apertura di BreBeMi è il primo tassello del mosaico infrastrutturale di Expo2015. Milano si fa così laboratorio dove sperimentare il paese di domani: restiamo a guardare o prendiamo parola?
https://www.facebook.com/events/684863571596877/?ref=22

11/12 ott a Milano | Grandi opere e megaeventi: liberiamocene!

Le cronache e le inchieste delle ultime settimane hanno rivelato un quadro di corruzione e malaffare che lega tra loro mega-eventi e grandi opere, da Expo al TAV, passando per Mose e la ricostruzione post sisma de L’Aquila.
Le lotte territoriali e i movimenti non hanno avuto bisogno dei tribunali per svelare questo legame, da anni denunciamo che dietro questi grandi progetti che devastano i territori che attraversano e drenano risorse dalle casse dello Stato, esiste un filo comune di logiche e soggetti che speculano e guadagnano.

Nonostante le evidenze, la macchina va avanti, ineluttabile destino che prescinde dalla volontà politica. Ed ecco come per magia che spuntano commissari speciali e leggi ad hoc, mentre qualche testa salta. Ma come sempre l’incantesimo svanisce e tutto torna come prima, criminalizzazione e repressione delle lotte comprese.

cosexpo

Milano, proiettata verso Expo2015, è l’esempio di questo.

L’impotenza del supercommissario Cantone e del sindaco Pisapia di fronte a quanto accade sono segnali chiari: i lavori della via d’acqua ancora appaltati alla corrotta Maltauro sono pronti a ripartire nelle periferie ovest di Milano e stanno scatenando le nuove reazioni dei comitati No Canal. Proteste e blocchi contrastano la costruzioni di nuove inutili autostrade e superstrade previste per Expo, secondo un modello di mobilità che ha già consumato milioni di mq di aree agricole e parchi di cintura attorno a Milano e che sembra non avere fine.

Le migliaia di posti di lavoro promessi si sono tradotti per lo più in stage sotto pagati e volontariato, ossia lavoro a gratis, sfruttamento. Con sempre più decisione, però, cresce nel mondo del lavoro precario, esterno e interno, alla confederazione Cgil-Cisl-Uil e nel mondo studentesco l’opposizione agli accordi su volontariato e lavoro, firmati tra i sindacati ed Expo Spa.

In una Milano sempre più da consumare e meno da vivere, vengono sgomberati a colpi di manganelli spazi occupati della città e abitazioni, esperienze di autogestione e riappropriazione nate per soddisfare quei bisogni che una città abbandonata a pavidi imprenditori non considera degni e a cui risponde con la repressione e l’immaginario della città vetrina (Eataly, Porta Vittoria, Expo).

Allo stesso modo i megaeventi diventano i canali comunicativi favoriti per riaffermare la dicotomia di genere, funzionale ad un sistema di crisi. Si normalizzano corpi, identità, favolosità, al solo scopo di creare fette di mercato “pink”, invece che decostruire ruoli ed identità statiche. Attraverso l’istituzionalizzazione di una gay street in via Sammartini a Milano, viene strumentalizzata la presenza di soggetti lgbtq per coprire con il pinkwashing il disegno comunale di pulizia della città, pensando che aprire le porte al turismo omosessuale ricco, maschile e bianco possa essere sufficiente.

Il modello per cui grandi opere ed eventi agiscono è lo stesso e mira all’arricchimento di pochi, a scapito di una collettività varia e molteplice: la corruzione dietro agli appalti, la speculazione sui terreni, l’incontrollabilità del settore edilizio come bacino di arricchimento, gentrificazione di interi quartieri e cementificazione di parchi ed aree agricole sono gli ingredienti che alimentano quel filo comune che lega Expo e Tav, Expo e Mose, Muos e Dal Molin.

Sarebbe ingenuo, quindi, non vedere che questo legame ne sottende un altro: quello della repressione contro ogni forma di dissenso rispetto a queste maxioperazioni. I recenti arresti di tre compagni di Milano incarcerati con pesanti accuse, in continuità con quelli del 9 dicembre scorso e in concomitanza con l’offensiva estiva del movimento NoTav; i provvedimenti repressivi attuati contro centinaia di attivisti del movimento per il diritto all’abitare: tutti questi sono segnali che, tristemente, ne costituiscono ulteriore conferma. Assistiamo ad una tensione sempre crescente sul piano sociale e politico che è solo l’anticipo di quello che sarà l’autunno a livello nazionale. Ci troveremo infatti nel pieno del semestre italiano di presidenza Ue, le riforme autoritarie e liberiste del governo Renzi saranno in fase di realizzazione e a Milano comincerà la volata finale verso i sei mesi di Expo che si inaugurerà il 1° Maggio 2015. Il capoluogo lombardo diventerà, nostro malgrado, capitale italiana ed internazionale dello “sviluppo”, con il suo corollario di ricette e soluzioni per uscire dalla crisi: Expo2015 dovrebbe rappresentare tutto questo, un enorme contenitore dove c’è spazio per tutti e la cui modernità riguarda tutti. Ma noi abbiamo da tempo imparato a riconoscere e smascherare le menzogne, leggendo dietro gli slogan e la propaganda la continuità di quelle politiche economiche e sociali e di austerity che sventrano territori, privatizzano l’esistente, precarizzano vite, sfrattano corpi negando possibilità alternative di governo del territorio, risparmiano sul costo del lavoro e azzerano lo stato sociale.

La sintesi del nuovo modello di società che ci aspetta si regge su tre pilastri: debito, cemento e precarietà in quantità sempre crescenti, e di questo Expo e le grandi opere diventano volano e simbolo, attraverso l’utilizzo di risorse pubbliche per profitti privati.

Non solo. Cresce la consapevolezza che dietro lo slogan vuoto “nutrire il pianeta” si confermino quelle politiche agroalimentari che negano accesso al cibo e all’acqua, impongono OGM e modelli alimentari utili solo alle multinazionali, tra i primi sponsor dei sei mesi dell’evento Expo 2015.

Un altro dei maggiori finanziatori del mega-evento mostra in questi ultimi giorni il suo vero volto: lo Stato israeliano, che da settimane bombarda e devasta Gaza facendo strage della sua popolazione. Pensiamo che non sia un caso che usi ogni mezzo, apparato e utile occasioni per mistificare la sua natura di Stato occupante e terrorista, in affari con governi ed istituzioni incapaci di imporre alternative alla distruzione/allo sterminio di un popolo.

L’anno che è appena trascorso ha segnato una crescita importante per il movimento NoExpo e in generale per i movimenti sociali di opposizione, non solo per i passi in avanti realizzati, ma soprattutto per la consapevolezza e la capacità di iniziativa di quelle fasce sociali sempre più colpite ed escluse. Smontare e rompere il meccanismo di Expo è un’altra importante tappa cui tutti sono chiamati, proprio per il carattere nazionale dei processi che Expo nasconde: la devastazione, il saccheggio e l’impoverimento dei territori. Ci rivolgiamo a tutti i movimenti, i comitati e i singoli, a chi resiste e a quelli che vogliono costruire una nuova ‘equonomia’ capace di riportare al centro i bisogni delle persone e di fermare la crescente disuguaglianza sociale, per ricomporre le molteplici lotte e costruire insieme un’azione ancora più efficace.

Vogliamo avviare un percorso che porti al 1° maggio 2015 e che vada oltre, lasciando il segno, perchè Expo arriva, devasta e passa, mentre noi viviamo e presidiamo in modo permanente il territorio valorizzandolo con pratiche, partecipazione e alternative concrete.

Sensibili all’agenda politica discussa e uscita negli incontri nazionali tenutisi in ValSusa in queste settimane, i soggetti e le realtà della Rete Attitudine NoExpo hanno deciso di avviare la settimana comune di iniziative con l’appello per una due giorni di mobilitazione contro Expo a Milano, partecipando con lo spezzone territoriale NoExpo al corteo che si terrà il successivo sabato 18 ottobre,nell’ambito della giornata nazionale dei territori resistenti “Stop Evictions – Take the city”.

In particolare convochiamo per sabato 11 ottobre un corteo a Milano, corteo a cui invitiamo tutti i compagni, gruppi,comitati, collettivi,realtà e percorsi vicini alla battaglia politica contro Expo2015 e che in vario modo si sono intrecciati con essa in questi anni, contaminandosi e contaminandola, dentro e oltre la metropoli.
Al corteo di sabato seguiranno domenica 12 ottobre due iniziative: assemblea di incontro, discussione e dibattito per decidere e avviare insieme le fasi della mobilitazione verso il 1° maggio 2015 e nei sei mesi del mega-evento; il secondo incontro sarà su “sovranità alimentare e sovranità sociale dei territori” a RiMaflow.Vogliamo ribadire in questo modo che la mobilitazione non finisce il 1° maggio néil 31 ottobre (data di fine dell’Esposizione), ma si pone l’obiettivo di valorizzare, sedimentare e portare avanti le diverse lotte per il Diritto alla Città contro e oltre Expo.

I compagni e le compagne della Rete Attitudine NoExpo

per info: noexpo@autistici.org

Toc toc..che fate uscite? No, occupato | comunicato

Dinamica pubblica, apertura a tutti i soggetti della galassia dell’autogestione e moratoria sugli sgomberi pendenti sugli spazi occupati della città. Con questo indirizzo abbiamo risposto all’anomala convocazione dell’amministrazione comunale per sondare la serietà del tavolo aperto sul tema degli spazi sociali a Milano. Una convocazione, a cui crediamo non sia estranea la preoccupazione delle istituzioni di arrivare a una normalizzazione sociale e “territoriale” in vista di Expo 2015. Perché a pensar male – come diceva qualcuno che di queste cose se ne intendeva – spesso ci si azzecca.

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Non a caso, nei giorni successivi diversi esponenti della giunta si sono espressi a mezzo stampa fondando invece il dialogo sullo stop a nuove occupazioni, sul rispetto delle regole, sull’impossibilità di garantire una tregua delle operazioni repressive. Alla luce di queste precisazioni, dello stato di ricatto in cui arriva la proposta e della complessiva confusione sull’oggetto d’interesse del nascituro tavolo non riteniamo possibile partecipare a un’interlocuzione che rischia di generare più problemi e divisioni che soluzioni. In particolare:

Il nostro spazio è un laboratorio comune di lotte e percorsi culturali. Nel vuoto di politiche pubbliche che rispondano alle esigenze di locazione sostenibile, aggregazione, cultura e sport le pratiche di occupazione e autorganizzazione non possono che proseguire con determinazione nel tentativo di dare spazio a queste urgenze. Dialogare sotto ricatto provoca fastidiosi mal di pancia. Abbiamo l’impressione che alla domanda di una moratoria sugli sgomberi come premessa per un dialogo equilibrato tra le parti, il comune abbia ribattuto negando questa istanza ed esigendo come conditio sine qua non lo stop a nuove occupazioni: richiesta utile a creare solo divisioni (ricordate il principio del “divide et impera”?) e a giustificare operazioni di normalizzazione, già sperimentate nella gestione delle occupazioni abitative. É una responsabilità che non intendiamo assumerci.

L’apertura di spazi pubblici, troppo spesso chiusi e abbandonati quando non svenduti, è una cosa sempre positiva, su questo non ci nascondiamo. Tuttavia l’imposizione unilaterale dello strumento bando (su cui peraltro scontiamo un’ingiustificabile assenza di dati pubblici su quanto fatto sinora) come unica risposta all’esigenza di spazi non ci convince e non ci interessa. La matassa di soggetti imbastita per parlare di città pubblica, uso e riuso di spazi e centri sociali ci pare aggiunga confusione a confusione e ponga le basi per il fallimento del percorso ipotizzato. Ancora una volta per determinare l’assegnazione di spazi vediamo in campo i “player embedded” della giunta ed esclusi tutti i giovani, collettivi, artisti e associazioni che da anni attendono invano di capire come accedere agli spazi… e proprio in quest’assenza di risposte matura talvolta l’opzione dell’autorganizzazione.

Ci poniamo sul margine esterno della legalità per aprire nuovi spazi di libertà, espressione e lotta che crediamo siano socialmente e politicamente legittimi. Abbiamo interesse a sedimentare gli spazi che ci conquistiamo giorno dopo giorno e a sostenere forme inedite di apertura di spazi pubblici, ma non siamo disponibili a rinunciare alla vocazione politica dell’autogestione, una parola che fa tanto paura da essere accuratamente evitata da chi pensa che dialettica significhi libertà di dire la propria…con la mano della questura poggiata sulla spalla.

Milano, luglio 2014

Piano Terra

L’ultima spallata ad Expo2015

Lo abbiamo sempre detto e l’abbiamo ribadito durante i the Ned – NoExpo Days che si sono aperti dopo il Primo Maggio dei precari: Expo2015 è la negazione puntuale e completa del Diritto alla Città, ovvero di un governo democratico e collettivo del territorio, di una pianificazione urbana che tenga conto delle esigenze lavorative e di vita (prima fra tutte la casa) della popolazione, di un utilizzo pubblico delle risorse comuni. Non soltanto: ha rappresentato e continua a rappresentare una scusa, un esperimento di carattere nazionale, esattamente come altri mega-eventi prima (e temiamo dopo) di esso. Da questo punto di vista, noi che non siamo giustizialisti o manettari, ci saremmo opposti (come di fatto abbiamo fatto) ad Expo anche se fosse stato “pulito”, dal punto di vista della legalità costituita.

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Il problema è che l’eccezionalità di Expo permette i più spregiudicati dei giochi e la più criminale delle gestioni della cosa pubblica: la mega inchiesta del marzo scorso riguardante Infrastrutture Lombarde e gli arresti della scorsa settimana, ribadiscono i forti interessi privati che stanno dietro al mega evento e che possono essere perseguiti anche a scapito della loro legalità, ammettendo atti di corruzione e riducendo drasticamente i controlli anti-mafia. Come in Val di Susa lo Stato copre (forse indirettamente, diamogli pure il beneficio del dubbio) gli affari dell’ndrangheta, qui a Milano il giro d’affari internazionale e nazionale deve essere tutelato da qualunque ostacolo: anche dalla manifesta incapacità dei suoi amministratori. Da questo punto di vista, si rivela profetico il nome scelto per l’Infopoint di Expo inaugurato proprio questo weekend in Largo Cairoli: ExpoGate, neanche farlo apposta! Ormai solo per gli ultimi superstiti dell’Expo-entusiasmo questo nome è riferito alla mitica porta dell’Esposizione universale, mentre per tutta Italia (e non solo) richiama altri episodi di abuso di potere e corruzione (come NigerGate e il più celebre WaterGate). Leggi tutto “L’ultima spallata ad Expo2015”