La cittá tecnologicizzata: linee di fuga attiva

Trascrizione e riproduzione dell’intervento di Stefania Milan alla giornata Contesto Urbano dello scorso 25 gennaio.

Vengo dalla campagna veneta anche se mi sono ritrovata a vivere in parecchie città gentrificate: Toronto, Amsterdam… Conosco Milano molto poco, per cui i miei esempi non si riferiranno a Milano ma, di fatto, i fenomeni di cui sto per parlarvi sono sempre meno geografici, cioè sono molto radicati nel territorio, hanno grandissime influenze nel territorio, a livello di esclusione sociale, di lotta alla diversità, eccetera, ma si stanno riproponendo in modo pressoché uguali, sia centro che periferia, sia nord che sud, est ed ovest; chiaramente con delle discriminanti: in un Paese dove c’è una legge, insomma uno stato di Diritto, forte, esistono diritti come quello alla Privacy che, in teoria, sono al fianco dei cittadini; comunque qui siamo in una condizione privilegiata ma i problemi sono uguali più o meno per tutti.

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Una app non ci salverà: tracciamo i contatti per ritracciare la rotta

Contact tracing e fase 2: il grande assente è la sanità pubblica

L’idea che ci siano strumenti che funzionino sempre per tutti e tutte, ovunque, che non richiedano conoscenze o infrastrutture aggiuntive, che siano equi e giusti e che proteggano la privacy degli utenti in ogni momento, è una favola che ancora non è diventata realtà. Questo il suggerimento che ci arriva dall’ONG Tactical Tech in un lungo articolo che significativamente è intitolato Technology is stupid1 – cui aggiungono anche il necessario corollario relativo al fatto che, sebbene sia stupida, tuttavia non è mai neutrale: dipende da chi la crea, da chi la utilizza e soprattutto dal contesto socio economico in cui è inserita.

Il dibattito di questi giorni riguarda l’app di contact tracing finalmente annunciata dal governo – o meglio dal Commissario per l’emergenza – ignora questo assunto di base, partendo invece dal presupposto che la tecnologia possa essere l’elemento centrale nel contenimento e nel futuro debellamento dell’epidemia di Covid-19. Una specifica narrazione pubblica a sostegno è stata costruita fin dai primi giorni dell’emergenza, quando si riportavano esempi di paesi che, nel rispetto degli assunti liberali e della privacy, erano riusciti a tenere basso il numero di contagi e decessi proprio grazie a un’azione integrata al cui centro vi erano i mezzi offerti dal digitale per risolvere il principale enigma di ogni epidemia: la ricostruzione dei contagi passati e la previsione di quelli futuri, per poter eliminare il principale veicolo tramite cui il virus cresce e prolifera – appunto, il contatto sociale e la vicinanza dei corpi. Eppure, con un misto di distorsione della realtà – il “modello Corea del Sud”, il “modello Singapore”: descrizioni più figlie dello storytelling piuttosto che dell’evidenza scientifica e sociologica – e di linguaggio neo-clericale – il padroneggiamento del discorso tecnologico, come quello economico, è prerogativa e privilegio dei tecnici, il nuovo clero appunto, a cui ci affidiamo nella garanzia che la nostra sfera individuale sia protetta – come abbiamo già evidenziato i grandi assenti sono la sfera sociale e politica.

Un’applicazione di tracciamento contatti in un progetto di contenimento epidemiologico risulta efficace o meno a seconda del contesto in cui si trova a operare: che farsene dei dati raccolti? A servizio di quale modello di cura e sanità vengono utilizzati? Di quale ecosistema e cultura di salute pubblica diventano elementi?

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Non lasciamoci disassembrare/5: condividere file, personali e di lavoro, in sicurezza

WeTransfer, Google Drive, DropBox, Hightail: questi servizi commerciali attraverso i quali milioni di persone condividono materiali di lavoro o file personali ogni giorno hanno accesso diretto ai contenuti che ci inviamo e scambiamo. Come proteggerci da cattura ed esproprio e tornare a un concetto reale di condivisione?

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Politica del dato, discorso pubblico e forme della sorveglianza

Il patto sociale dell’epidemia

Una epidemia, in un contesto umano, non rappresenta soltanto un fenomeno naturale, ma è anche e soprattutto un fenomeno sociale: come la società, e in particolare il sistema sanitario, è arrivata pronta o meno di fronte alla crisi della Salute pubblica; come la classe dirigente gestisce l’emergenza, come la società civile reagisce, il grado di percezione e l’immaginario dell’opinione pubblica: in sostanza, nella mediazione tra malattia, individui e gruppi operata da Stato, governo, capitali finanziari e industria.[1] In questo processo, centrale diviene il sapere medico, la cultura di organizzazione della sanità pubblica e il suo orientamento economico.[2]

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Non lasciamoci disassembrare/4: scrivere, archiviare, lavorare a distanza

Servizi come quello offerto da Google Drive esprimono pienamente il modo di operare del “capitalismo della sorveglianza”: le grosse multinazionali offrono servizi gratuiti, facili da usare e che si integrano alla perfezione con altri delle stesse aziende o parti terze (si pensi a Drive, gmail, google maps, calendar). Il rovescio della medaglia di questa comodità è la cessione dei nostri dati personali, con evidenti ricadute sulla privacy.

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