OpenPod – restituire al podcast la dimensione libera e conviviale

OpenPod è il tentativo di restituire al podcasting la dimensione libera e conviviale che lo caratterizza sin dai suoi esordi.

Durante il lockdown abbiamo avuto l’occasione, tramite la campagna Non Lasciamoci Disassemblare, di ragionare sul rapporto tra tecnologia, emergenza e sorveglianza.
Abbiamo provato a decostruire il discorso imperante di una teconologia digitale oggettiva, neutrale e salvifica mettendo insieme una cassetta degli attrezzi contenente una serie di strumenti, risorse e software per resistere alla sorveglianza e alla vendita dei nostri corpi digitali.

Contemporaneamente abbiamo riscoperto radio (web) e podcast come mezzo per comunicare e farci ascoltare dando vita al podcast Fuori Fase: “appunti per riscrivere il crono-programma dell’emergenza e del dopo-Covid

Putroppo non esistevano soluzioni non commerciali che ci soddisfassero per la distribuzione. Volevamo evitare di legare i nostri contenuti a soluzioni a pagamento o che fanno uso di pubblicità o che ci profilano monetizzando i nostri dati.

Insieme ad altr* compagn* della galassia offtopica abbiamo sviluppato un piccolo servizio online che ci permette di distriburire podcast con banda illimitata, hosting gratuito e libero dalla profilazione.
Com’è possibile? Combinando l’hosting di archive.org, alcune buone pratiche per la produzione dei vostri contenuti e un pizzico di codice.

L’abbiamo chiamato OpenPod e potete trovare tutte le informazioni qui: https://openpod.abbiamoundominio.org

Il progetto è ancora in fase sperimentale ma l’idea è di integrarlo meglio con le diverse modalità di pubblicazione presenti su archive.org e sopratutto creare una community di riferimento. Al momento ci sono già alcuni podcast che utilizzano OpenPod per la distribuzione e potete trovare qui l’elenco.

In ultimo un grazie al Collettivo Unit per il supporto tecnico (e quindi anche politico)!

Buon ascolto!

Sabato 19 in piazza per gli Spazi Liberati

Spazi sociali, aree verdi, piazze, edifici e mercati comunali. La città pubblica giorno dopo giorno perde pezzi, alienata, messa a bando, privatizzata direttamente o con operazioni di greenwashing e socialwashing dentro fantomatici progetti di rigenerazione urbana.

La Milano pandemica della “fase 3” continua nel solco tracciato nell’ultimo decennio, inseguendo un modello che proprio in questi mesi ha dimostrato limiti, disuguaglianze, esclusione, nocività. E proprio in questa fase è emerso il valore della città pubblica, intesa sia come spazi sociali da cui partivano e partono le Brigate Volontarie per l’emergenza o sia come le preziose aree verdi di quartiere.

Oggi più che mai progetti diversi ma convergenti vedono diversi Spazi Sociali di Milano e dell’area metropolitana sotto sgombero o messi in vendita (Cascina TorchieraRi-MakeLambrettaSOS Fornace RhoFoa Boccaccio), aree verdi devastate come il Parco Bassini o il Parco Nord, o a rischio, come la Goccia, Piazza Baiamonti o Piazza d’Armi.

Sabato 19 settembre scendiamo in piazza a fianco e per gli Spazi Liberati della città, per difendere la città pubblica, perché il nostro diritto alla città vale più dei loro profitti. Basta sgomberi, basta svendite, basta bandi.

Ore 15 Piazza Castello – Ore 17 Arco della Pace

Rage against the (greenwashing) machine: Milano è una bolla

Abbiamo invitato Lucia Tozzi a parlare della relazione tra greenwashing e Modello Milano a gennaio in occasione di Contesto Urbano, a poche settimane dall’esplosione della pandemia da COVID-19. Quando si è fermato tutto, compreso il traffico aereo, automobilistico e i cantieri, Milano ha conosciuto un’aria incredibilmente pulita, e abbiamo così avuto la prova che non sono le caldaie, ma effettivamente il sistema di mobilità il principale responsabile della cappa di smog che opprime il territorio metropolitano.

Con la lenta riapertura del lockdown, il primo problema che si è posto era come gestire i trasporti pubblici per non alimentare il contagio: la risposta ideale sarebbe stata il forte potenziamento dei mezzi, il reclutamento dei bus turistici per fare viaggiare le persone in sicurezza senza incrementare il traffico individuale. E invece, la scelta è caduta sull’interruzione dell’area C e B e su 35 km di piste ciclabili, un’inezia che non ha nessun impatto sui milioni di auto che si riversano in città, e che però è valso al Comune la menzione sul Guardian di “città green”: puro greenwashing. Le grandi decisioni urbanistiche che sono seguite sono sulla stessa linea: un passo avanti nell’abbattimento dello stadio San Siro, funzionante, e di nuove grandi cubature sulle aree verdi di Milano Ovest, e la devastazione di 4 ettari di bosco trentennale nel Parco Nord per costruire le vasche di cemento destinate al contenimento del Seveso. Milano continua a perseguire la politica del greenwashing e del capitalismo estrattivo alle soglie di un anno sicuramente difficile, di molto probabile esodo da parte della popolazione “a breve termine” (studenti, turisti, lavoratori non residenti) e che si prevede afflitto dalle retoriche della campagna elettorale per le elezioni municipali. È utile rileggere gli effetti delle politiche dell’ultimo quinquennio – oggetto appunto dell’intervento di Lucia a Contesto Urbano, che di seguito vi riproponiamo – per poterle ribaltare nel periodo di fragilità che stiamo vivendo. 

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