Appunti su Sblocca-Italia e la lotta che ci aspetta

cantiere

Anzitutto due premesse dovute:

  • lo Sblocca-Italia è già legge, quindi non c’è da fermarlo (molto difficile proprio per la sua natura, come vedremo fra poco), caso mai da incepparlo e renderlo impraticabile;

  • in secondo luogo, una lotta contro le devastazioni che autorizza e incrementa esiste già da tempo, in particolare nel centro-sud, riconoscibile nella rete Blocca lo Sblocca-Italia.

I movimenti e i comitati che si sono opposti a vario titolo al modello Expo e alle sue opere connesse sapevano che questa lotta, culminata nel corteo del Primo Maggio (giornata che ha visto, nonostante tutto, la partecipazione di oltre 40.000 persone su parole d’ordine politiche e su una forma meno da street parade della tradizionale MayDay), era solo un tassello di un percorso ben più ampio e di lungo respiro.

Infatti, mentre Expo2015 giunge al termine, il suo ruolo di laboratorio dell’eccezione permanente nel campo del lavoro e della governance territoriale si è consolidato e ha fatto scuola e lo Sblocca-Italia ne rappresenta uno dei figli legittimi. Tuttavia la sua pericolosità è di molto superiore alle normative con cui sull’onda del ritardo e della contingenza si è gestita Expo: nato come decreto di emergenza con validità massima di 90 giorni (cosa poco funzionale per processi di trasformazione di lungo periodo come quelli contenuti all’interno della legge), è stato poi trasformato in legge nazionale, valida quindi su tutto il territorio e senza limiti temporali, mantenendo tuttavia nel suo funzionamento l’inclinazione antidemocratica del decreto a breve termine. Lo Sblocca-Italia, catalizzatore di trasformazioni territoriali, rende norma il commissariamento, la centralizzazione decisionale e la marginalizzazione delle istituzioni locali di rappresentanza.

Entriamo nel dettaglio per capirne i punti salienti. Tre sono gli ambiti principali di cui si occupa la legge:

  • infrastrutture: dare il via o portare a termine la realizzazione di infrastrutture di diversa natura ritenute strategiche ed essenziali per il paese;

  • risorse energetiche: concessioni minerarie, fonti energetiche e loro estrazione;

  • rifiuti: lo smaltimento e la gestione.

Per quanto riguarda le grandi e medie opere che lo Sblocca-Italia individua come “d’interesse nazionale” l’elenco si trova direttamente sul sito del governo (http:// www.governo.it/backoffice/allegati/76561-9640.pdf) e già ad una prima occhiata si intuisce l’entità dell’opportunità economica, in particolare per aziende cementificatrici e dei trasporti. All’interno dell’elenco si ritrovano alcune delle opere che hanno visto negli ultimi anni la strenua opposizione della popolazione locale e anche qui il decreto offre un aiuto: oltre all’istituzionalizzazione della militarizzazione dei territori per rendere difficile il blocco dei cantieri, opzione consolidata in anni di contrasto alla lotta No Tav, lo Sblocca-Italia neutralizza anche la possibilità di azioni legali e istituzionali, come il ricorso al TAR, che molto possono contribuire al rallentamento dell’avvio dei lavori, proprio come insegna la storia valsusina.

Ancora più interessante è invece la questione energetica, che risulta intrecciarsi con quella economica, militare e sociale. Durante il governo Monti, l’allora ministro Passera aveva messo a punto il Piano Energetico Nazionale, che avrebbe indicato la strategia energetica del paese per gli anni seguenti; il governo Renzi non solo conferma le direttrici di Passera, ma ne amplia addirittura i margini. Alla faccia dell’autosufficienza energetica, il Piano prevede la trasformazione dell’Italia in un grande hub, in particolare di gas e metano proveniente dall’estero, destinato a polo logistico e distributivo per tutta Europa. Cuore di questo hub sarà la Regione Lombardia dove è previsto l’ampliamento dei siti estrattivi con la costruzione di gasdotti, metanodotti e impianti di stoccaggio del gas (http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/unmig/cartografia/cartografia.asp; http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/unmig/regioni/regione.asp?id=LO&tipo=IPT&regione=LOMBARDIA). Oltre a ciò, è previsto un nuovo piano di ricerca e sfruttamento di gas e petrolio lungo le coste.

Infine, il grande business dei rifiuti: parte della politica energetica nazionale è la costosissima produzione di energia tramite incenerimento dei rifiuti. La legge infatti prevede la costruzione di 12 nuovi impianti oltre agli 82 già presenti sul suolo nazionale: da realizzare entro i prossimi 5 anni e attivi per un periodo previsto di 30. Ancora una volta, la questione economica si intreccia con quella sociale: quanto vale la salute delle popolazioni rispetto alla necessità di appianare i buchi di bilancio delle aziende che gestiscono gli inceneritori e i cosiddetti termovalorizzatori? Lo sanno bene le popolazioni meridionali e campane in particolare, impegnate a fermare il biocidio di terre e genti, causato dall’occultamento di rifiuti tossici nei territori da parte della criminalità organizzata a braccetto con le Istituzioni. Anche in questo caso, gli inceneritori diventano siti di interesse strategico nazionale.

Ma in che modo agisce lo Sblocca-Italia?

La legge annulla completamente i principi di democrazia dal basso ed esautora istituzioni locali (Regione, Comuni), comitati di cittadini e osservatori indipendenti da ogni possibilità di intervento. Prevede infatti il commissariamento centrale per le opere e le infrastrutture ritenute di interesse nazionale o di pubblica utilità, attraverso l’esproprio diretto per pubblica utilità: “I procedimenti di espropriazione per pubblica utilità sono attuati su istanza delle società che, autorizzate dal Ministero o dal Comitato interministeriale per la programmazione economica a realizzare una infrastruttura energetica, non hanno la possibilità di concludere accordi bonari per l’utilizzo dei beni necessari ad attuare i loro progetti, riconosciuti di pubblica utilità.”

La legge permette inoltre, in particolare sul piano dell’estrazione energetica, che, una volta individuata un’area di concessione (estrattiva o logistica), sempre a livello centrale possa essere concesso, all’azienda richiedente, il diritto di esproprio su tutta la zona interessata, senza dover passare dal consenso delle rappresentanze locali. Semplicemente alcuni strumenti diventano di difficile utilizzo nel contrasto alle attività estrattive dannose e inutili perché neutralizzati dal nuovo quadro legislativo.

Chi esattamente rappresenta?

A questa domanda possiamo cercare di rispondere facendo qualche considerazione:

  • oltre ai fondi (per lo più pubblici) stanziati per la realizzazione di opere infrastrutturali e distribuiti tramite appalti e subappalti, bisogna tener presente che la maggior parte dei derivati (strumento finanziario altamente speculativo, una delle “bombe” all’origine dell’attuale crisi) di origine italiana sono ricollegabili ad aziende del settore energetico e costruttivo, ma questo dovrebbe in realtà stupirci poco considerando che il principale colosso economico nazionale è un’azienda energetica come ENI o pensando al ruolo multinazionale di una cooperativa cementificatrice come CMC. Seguendo l’andamento dei titoli è possibile rilevare il loro carattere speculativo: ogni concessione corrisponde infatti ad un rialzo delle quotazioni in borsa, senza considerare se realmente il cantiere partirà, se il gasdotto verrà realizzato o se, nel sottosuolo individuato, sono realmente presenti le fonti energetiche da estrarre. Ecco che la concessione diventa allora strumento di potere finanziario.

  • Per quanto riguarda il capitolo rifiuti dello Sblocca-Italia, anche qui possiamo intuire la volontà del governo di incrementare e favorire il redditizio ciclo della spazzatura: un incentivo alla sua produzione, un disincentivo a pratiche alternative, il suo trasporto da una zona all’altra a seconda delle esigenze di bilancio delle aziende gestori degli inceneritori sottoutilizzati; tutto questo è permesso direttamente tramite la possibilità di spostare la spazzatura da una regione all’altra, da un comune all’altro, su richieste-accordo e necessità economiche.

  • Infine, non possiamo non considerare l’aspetto strategico-militare: uno dei pilastri della politica estera (difesa e aggressione) di uno Stato è la politica energetica. Da questo punto di vista, trasformare l’Italia in un paese totalmente dipendente dall’estero (l’antica vocazione alla soggezione della nostra penisola) e renderlo il cuore della rete distributiva europea (con forti connessioni in Asia) c’entra con la svendita e la privatizzazione generali che i governi della crisi (Renzi su tutti) stanno attuando sui territori e sulle risorse strategiche della collettività. Per comprendere il senso della spartizione, bisogna ricostruire la rete di legami nazionali e internazionali che i nostri governanti hanno con esponenti importanti del capitale globale.

Lotte territoriali e Sblocca-Italia

Dicevamo all’inizio che una lotta contro lo Sblocca-Italia esiste già: al centro-sud, in particolare Campania e Abruzzo, si sono intrecciate le più vecchie battaglie contro, rispettivamente, il biocidio criminale nella Terra dei Fuochi e le trivellazioni petrolifere nell’Adriatico. In queste aree, le manifestazioni e le proteste popolari hanno visto la partecipazione di decine di migliaia di persone, in una composizione sociale per certi versi inedita: la lotta contro lo Sblocca-Italia parla di un’autodeterminazione territoriale che riguarda la necessità di vivere fuori dal ricatto o tumore o fame, del reddito e del lavoro che territori e comunità possono esprimere, di un modello energetico che risponda a bisogni collettivi e che non sia ostaggio della santa alleanza tra finanza, nuovi colonialismi e criminalità organizzata. Autodeterminazione territoriale rappresentata da una mobilitazione sociale eterogenea, composta da molti soggetti che a sinistra e nei movimenti non siamo purtroppo abituati a considerare “compagni”, ma che invece possono rivelarsi dei resistenti e dei buoni compagni di strada.

E nell’Alta Italia?

Anche nell’Alta Italia è necessario trovare la forza e il modo di riattivare quelle connessioni e quelle sinergie che blocchino la cementificazione e lo sfruttamento intensivo, in particolare in Lombardia, una delle regioni più devastate d’Italia e cuore della rete energetica continentale. Esiste una difficoltà oggettiva data dai contesti anzitutto geografici dove l’estrazione avviene e dal silenzio con cui si concretizzano gli ordini dei signori dello Sblocca-Italia: se stiamo a guardare la cartina degli impianti di stoccaggio, delle trivellazioni, dei gasdotti e metanodotti, delle infrastrutture presenti o previste, appare evidente che si tratta di contesti che rendono difficile l’aggregazione su vasta scala e l’attenzione esterna (come abbiamo tristemente imparato in altre lotte, ad esempio la TEM). Eppure, proprio le lotte condotte negli anni precedenti (trivelle, Pedemontana, Brebemi, Tem, Toem, via d’acqua, Expo) hanno contribuito a formare in una parte dei comitati e della popolazione una posizione critica verso questo capitalismo predatorio: ripartiamo da qui, ancora una volta dalle città e dai territori, dalla capacità di intrecciare la questione ambientale con la ben più vasta questione sociale.

Riassumendo, possiamo dire che lo Sblocca-Italia assomiglia molto ad un PGT su scala nazionale, decisionista e autoritario: impone, infatti, una nuova governance territoriale che mette sullo stesso piano urbano e rurale, seguendo i princìpi dello sviluppo secondo cemento e finanza, esautorando ulteriormente ogni forma di democrazia rappresentativa che, a questo punto, diventa definitivamente solo rappresentata. E la cornice politica, a nostro avviso, è proprio questa: l’annientamento delle mobilitazioni popolari e la chiusura definitiva dello spazio pubblico di critica e azione. Oppure, sempre da questo punto di vista e rovesciando le prospettive, la possibilità di liberarci di strumenti vecchi e comunque normalizzatori del conflitto per poter finalmente porre l’autodifesa territoriale come questione sociale. E trattarla nel modo adeguato.