In attesa di vederlo risorgere, pubblichiamo le impressioni di un* di noi sui primi giorni di vita di Macao ai tempi della Torre Galfa. E’ un contributo datato per un certo verso (16/05), perchè viene prima di Palazzo Citterio e si colloca al di fuori del dibattito attuale interno a quest’esperienza. In ogni caso, in questa fase di attesa appunto, può fungere da spunto di riflessioni per chi fosse interessato ad approfondire, buona lettura.
Alcuni appunti su Macao
Macao pare una deflagrazione comunicativa emersa a Milano (05/05/12) alle pendici della decadente Torre Galfa. Macao come campagna per l’apertura del nuove centro per le arti e la cultura a Milano. Macao che si fa dal basso, “flirta” con i movimenti. ma sa “giocare” con uomini di politica, d’accademia, da rotocalco. Macao sembra pura voglia d’aggregazione e di libera espressione nell’insoddisfatta metropoli del vento che stenta. Cosa è e dove va realmente Macao sarebbe forse meglio chiederlo ai Macachi. Dei primi undici giorni di vita di Macao in molti hanno scritto ma in molti di più hanno fotografato, taggato, condiviso, filmato e, semplicemente, parlato. Se dei nove mesi di gestazione sarebbe ambizioso parlare per conto dei protagonisti, sulle ultime ore, sullo spartiacque costituito dalla dinamica sgombero-rilancio-mediazione-acampada, qualche ragionamento lo si può aprire. Ieri la torre s’è mossa sulla strada: l’evento si fa partita a scacchi e detona in città.
Da tangentopoli alle accuse di corruzione, dal blocco del limitrofo cantiere di Porta Nuova al decennale degrado della Torre: nulla scalfisce il potere di un imprenditore dall’immagine distrutta ma dalla grande tenuta. Quando Ligresti ordina (pare che Salvatore sia il presidente onorario di Fondiaria SAI ed il figlio del ministro dell’interno il suo direttore generale), la polizia procede. Non c’è via di fuga, specie se il fallico palazzo (33 piani d’erezione) si trova simbolicamente tra le due sedi del decadente potere lumbard. Così accade che alle 6.40 il piede di porco del potere immobiliare “liberi” (nel gergo pisapiano) il maltolto dalle brame partecipative di Macao per restituirlo all’abbandono, senonché il contenuto dilaga in strada con una rinata capacità aggregativa e lo sgombero si fa presto festa. Una fesa, un affermarsi lungo un giorno intero. Nell’aria c’è un’attenzione pruriginosa a non omologarsi a immaginari e linguaggi “da” movimento ma anche facce, pratiche, grinta “di” movimento. C’è odore di #occupy e retorica sui beni comuni. C’è tanto e c’è tanta gente fino a notte.
Nel mezzo c’è il potere cittadino che affluisce copioso (quanto e più che nei giorni passati) ma non solo. C’è la radiopopolare e l’associazionismo, tratti di una popolazione che ha smesso di sospendere il giudizio sulla nuova giunta senza però aver scritto un bilancio possibile dell’esperienza. La rabbia per gli sfratti, la forbice tra il trattamento dei precari e quello dei consulenti, la conferme dell’indirizzo morattiano su svendite expo e pgt, se presente, giace inespressa. La precisione ha un prezzo alto e lo sguardo dell’attivista si rivela inadatto a comprendere la dimensione inedita di questa composizione così milanese, radical freak, compatta ed eterogenea insieme. Dietro quelle reflex, scherza qualcuno, c’è una genuinità totale, creativi con lo sguardo proteso al proprio futuro individuale che in questa porta spazio-temporale si fa progetto collettivo. Nuovo centro per le arti e la cultura, nuovo centro per le arti e la cultura, nuovo centro…
Alle volte i gesti più naturali appaiono straordinari. Tipo un sindaco che esce dalla riunione di giunta e comunica le sue decisioni alle persone interessate, mentre in centinaia, i giovani “vibrano” in attesa (ma non ero l’unico sbigottito, giuro), aprono e chiudono di continuo assemblee pubbliche, tavoli tematici, mutano la forma, il suono e il colore della strada che occupano da un’intera giornata. In parecchi, a Piazza Macao, lo chiamano Giuliano e non Pisapia, o sindaco. Come a identificarsi in quel moto di partecipazione arancione che un anno fa bastò a “Giuliano” a conquistare il posto di primo cittadino eguagliando i voti della precedente tornata di fronte alla debacle del pdl meneghino. Lui prima li scarica confondendo il governo della città con l’assessorato al demanio ma a frittata fatta precisa che, diversamente dal grigiore destrorso del ventennio milanese, lui sa riconoscere il valore dell’esperienza. Il discorso di Giuliano è comunque breve, demagogico eppure concreto. Il suo senso: nella torre non c’era speranza, non scherziamo. Comunque avevamo in progetto di destinare l’ex Ansaldo ai giovani tramite bando, se vi date una veste presentabile (associazione? il neonato comitato?) e forti di questa bella, pacifica e fresca mobilitazione, apriamo la possibilità pure a voi (dimostrando a noi stessi e alla città che un potere gentile, fermo ma “in ascolto” è possibile!). Non c’è standing ovation per Pisapia, applausi sì, critiche no, gli interventi a seguire vanno altrove. L’assemblea permanente si prende il giusto tempo per valutare. La festa monta nuovamente fino a notte.
L’offerta (succosa?) dell’amministrazione, seguita allo sgombero prefettizio, tranquillizza i media e stabilisce un’ennesima tregua in giunta. Però impone una nuova scelta ai Macachi. Passando sopra al circuito delle sfere relazionali, dei teatri autogestiti, dei soggetti politici nuovi e meno nuovi, il Comune invita a chiudere il processo costituente e trasformare l’attivazione in asfittica partecipazione. Quale il discrimine celato da questa metamorfosi? Come mantenersi agili e mutevoli dentro la cristallizzazione istituzionale? Come tenere vivo un fermento in una dimensione differente? Partecipare a cosa insomma?
Forse, con un certo coraggio, si potrebbe azzardare che il sindaco ha fatto la sua giusta parte, così come (senza ripensamenti) giocano le proprie maschere l’anziano proprietario, il poliziotto, il lettore di quotidiani, il lavoratore basito al semaforo. L’errore di Pisapia non sta nella risposta offerta alla platea ma, nell’ipotesi più candida, nel non aver compreso la domanda. La sua unica soluzione possibile è destinata a uccidere Macao con un’arroganza diversa da quella di pd e pdl ma sostanzialmente identica negli esiti. Ancora una mossa Macao, la partita non i chiude qui. Lasciati assorbire da Milano o prendi un respiro e resisti, rilancia, spariglia.
Macao, quali incompatibilità, quali emozioni celi sotto le tue ciglia gialle e blu?