Solo il conflitto sociale salva Milano – e tutt* noi

Dopo mesi di rocamboleschi voltafaccia e piroette retoriche per difendere l’indifendibile, di fronte all’accusa più infamante di tutte per la classe politica, quella di corruzione, il sindaco Sala e il Partito democratico hanno infine deciso di abbandonare, in un trionfo di ipocrisia, la legge “Salva-Milano”. Infatti, è dai tempi del grande spettacolo (più mediatico che sostanziale) di Tangentopoli che nulla più della famosa “valigetta coi soldi” rappresenta l’incubo dei nostri governanti, in grado di compromettere carriere politiche e professionali nella pubblica amministrazione – molti più che il causare o peggiorare l’impoverimento di migliaia di persone. Ora, l’arresto dell’architetto ex direttore dello Sportello unico edilizia di Palazzo Marino e già vice-presidente della Commissione paesaggio, Giovanni Oggioni, per corruzione appunto, è riuscita dove non avevano potuto le opinioni illustri quali quelle di giuristi, urbanisti, architetti, oltre che le proteste dei comitati civici. Beppe Sala, Elly Schlein e giù a seguire fino alla destra leghista e meloniana, la grande coalizione che voleva con il “Salva Milano” non correggere e condonare, ma estendere all’intero Paese il modello di sviluppo urbano meneghino – considerato la “interpretazione autentica” della legge – hanno valutato “non esserci più le condizioni”. Non è chiaro per fare cosa: andare avanti con l’approvazione di una legge, ora collegata a una possibile pratica corruttiva, perché non più giustificabile; oppure per sostenere come universalmente valido il modo di amministrare la città dove contano unicamente le voci degli operatori privati?

Pare proprio, a questo punto, che nessuno salverà chi vuole speculare e creare valore sulla pelle di Milano e dei suoi abitanti, soprattutto a reddito medio-basso. Ma è davvero così? Non difendiamo certo dirigenti che hanno costruito relazioni di potere per portare avanti i propri interessi personali oltre che di signori del cemento, dell’edilizia e di fondi immobiliari; ma dal nostro punto di vista l’azione delle Procure non cambia di una virgola il giudizio politico complessivo denunciato da collettivi antagonisti, movimenti sociali e comitati di quartiere a partire dalla stagione Expo in poi: il ruolo quasi servile dell’Amministrazione Comunale, sostenuta e legittimata da accademici e think tank radicati nel tessuto universitario milanese,  agli interessi e ai progetti degli sviluppatori immobiliari era evidente nei PGT e negli scenari di sviluppo urbano, presentati come la più classica delle “profezie auto-avveranti”, ma spesso più desiderati dagli investitori che reale inevitabile destino della città; la continuità nel tutelare opachi interessi del potere economico-finanziario-immobiliare, complessi da decifrare nella geografia e nel linguaggio spesso inaccessibile delle Società di gestione del risparmio e della cosiddetta “finanziarizzazione del mattone”,  è cifra della storia recente di Milano, con una indubbia accelerazione dal dopo-Expo in poi.

I manifestanti fuori da Palazzo Marino il giorno del voto in Consiglio comunale sul “Salva-Milano” (foto Mianews)

Sul tema avevamo già scritto approfonditamente l’estate scorsa, nell’analisi a puntate su Milano “La città e i movimenti. Per riprendere una parola critica e di lotta su Milano”, a fronte dei circa 150 cantieri finiti sotto l’occhio degli inquirenti per le modalità anomale e del tutto arbitrarie rispetto a quella che dovrebbe essere la norma di una democrazia procedurale. E come allora, continuiamo a pensare che il problema arrivi da lontano, da un trentennio abbondante di rinuncia della politica ad avere un disegno pubblico della città, un’idea complessiva che non la riducesse al solo ruolo di metropoli-evento e territorio da “reinventare” a colpi di vetro, ferro e cemento e interventi spot che ignorassero l’impatto su interi quartieri e segmenti di abitanti..

Ci troviamo di fronte a un doppio fraintendimento: da un lato, come sempre nella mediatizzazione delle inchieste per corruzione, si alimenta la tesi delle “mele marce” o del “sistema” clientelare facente capo a uno o più deus ex machina, la cui eliminazione affidata ai “corpi sani dello Stato” (forze dell’ordine e magistratura) correggere la stortura di un contesto politico-economico complessivamente positivo e sano; dall’altro, si tende ad attribuire l’intera situazione alla volontà di un singolo, nel nostro caso Beppe Sala, soprattutto da parte dei suoi colleghi di partito o coalizione che tentano in questo modo di deresponsabilizzarsi e depoliticizzarne le cause –  e certo il contesto della città-reame del sindaco-manager ben si presta. Cosi come il vizio di fare urbanistica “ad personam”, ricordiamolo, Milano l’ha da decenni, almeno da quel glorioso “rito ambrosiano” che sul finire degli anni ’70 e poi in tutti gli anni ’80 permise ai noti Silvio, Bettino, Claudio, Salvatore, Paolo e simili di cambiare definitivamente il volto e il sentire di questa città.

Foto tratta da Milano Horror Story del fumettista Hurricane, in uscita l’11 marzo 2025

Ma il fatto che un personaggio come Sala sia arrivato al ruolo di sindaco e abbia imposto la sua visione di città, non deriva unicamente dal suo carattere autoritario e arrogante, parte della sua formazione da manager. Si tratta della inconsistenza politica del centro-sinistra meneghino e lombardo, oltre che del risultato di una transizione di potere nella “capitale economica” del Paese, per cui un manager tecnocrate e green/pink washed era l’uomo giusto al momento giusto. Cosa si aspettavano da Mr. Expo, già Direttore Generale del Comune sotto la sindacatura Moratti, l’opinione pubblica, i media, che tanto hanno esaltato nell’ultimo decennio “Milano a place to be”, “Milano capitale per qualità della vita”, che facesse veramente di Milano una città verde, accogliente, sostenibile, inclusiva? Serviva la magistratura per avere consapevolezza che le norme del PGT avrebbero portato a una densificazione urbana senza precedenti, edificando anche in aree verdi, o che oneri di urbanizzazione irrisori avrebbero attratto speculatori immobiliari di ogni risma. Dov’erano i sorpresi e i rammaricati di oggi, i consiglieri comunali, i partiti della “opposizione verde e di sinistra” dentro la giunta, quando comitati e attivisti denunciavano che si sarebbe arrivati a questo già 10/15 anni fa, denunciando che la Milano post Expo sarebbe stata una città più cara, esclusiva e con un’accelerazione delle dinamiche di sviluppo immobiliare e crescita del consumo di suolo? Non bastavano la continuità delle previsioni di Piano, come ad esempio la vicenda degli ex scali ferroviari, o l’affaire San Siro, per non parlare dei dati sul caro-affitti che ha determinato una crisi inedita nei settori educativo, sanitario e dei trasporti pubblici i cui salari troppo bassi rendono impossibile trovare tranvier*, infermier* e operator* socio-sanitari*, educator* e insegnanti per capire che il cosiddetto modello Milano era tossico e costruito su dinamiche di predazione e profonda disuguaglianza?

Ecco perché siamo convinti che fermare il “Salva Milano” (una legge disgustosa per la plateale volontà di tutela dei più forti e ricchi) non risolve la questione urbanistica, cioè il senso del Diritto alla Città. C’è (o c’era) il Salva-Milano, ma ci sono anche il Piano Casa appaltato a fondi e soggetti privati, il cui principale ideatore, l’assessore Bardelli, si è dimesso a ridosso del mandato di arresto per Oggioni; la già citata questione Stadio con l’effetto alone che potrebbe avere in primis sul quartiere ALER di San Siro; il nuovo PGT in vista, dove il tema della rigenerazione urbana resta centrale; c’è la questione abitativa e del patrimonio di case pubbliche indisponibili o in vendita, cui si potrebbe aggiungere la questione studentati, a fronte di un’offerta di alloggi temporanei a uso turistico in costante aumento. E così via. “Al fine di favorire il buon esito di numerose pratiche edilizie, avrebbe ricevuto altre utilità da un’associazione di categoria dei costruttori edili e da un operatore economico del real estate”: con queste parole l’ex dirigente Oggioni è stato mandato ai domiciliari e a partire da queste parole si è iniziato a parlare di “sistema Milano”. Ma a noi sembra importante chiamare le cose con il loro nome e ci sembra queste motivazioni non descrivano altro che un sistema di potere fondato sulla commistione tra ruoli pubblici e privati e dalle “porti girevoli” tra ambiti che dovrebbero rappresentare interessi sociali distinti.  E non è solamente una questione di “mele marce” e di un “sistema Milano” da processare, via il dente via il dolore. Perché, se il problema è politico, non deve e non può essere la via giudiziaria la soluzione.

Siamo da anni di fronte a un capitalismo rapace, che con il consenso degli organi di governo, nazionali e locali, attraverso la deregolamentazione totale dello sviluppo urbano, una (non) urbanistica neoliberale e predatoria, con il mito del mattone e della rendita e una retorica nazionalpopolare che lo sostiene a fini di consenso. Insomma, ci sono gli illeciti per la legge e poi c’è il saccheggio dei territori che prosegue nei limiti, molto larghi c’è da dire, di legge. Se i primi sono stati, per ora, fermati (di fatto) dalle Procure, sul resto la parola non può che passare al conflitto sociale e politico. E il tempo è ora, un momento di fragilitàdella classe dirigente milanese milanese e del suo modello di sviluppo rappresentato dai cantieri fermi, con le Olimpiadi 2026 e le loro macerie dietro l’angolo, prima che il blocco di potere si riorganizzi e aggiorni i propri dispositivi di governance: ricostruiamo noi tutt*, collettive, climattivist*,  comitati, spazi sociali, precariato metropolitano, movimento di lotta per l’abitare – un fronte ampio di iniziativa e mobilitazione politica per riaffermare il Diritto alla Città.

Mobilitazione contro i processi di gentrificazione nel quartiere di San Siro