Gli effetti della deregulation urbanistica milanese degli ultimi 20 anni, con la rinuncia del pubblico a ruolo attivo nella trasformazione della città e nelle politiche abitative, delegando a sviluppatori immobiliari e gruppi finanziari, attratti da oneri di urbanizzazione irrisori, il ridisegno della metropoli, hanno reso sempre più difficile per molte persone e famiglie trovare casa a prezzi accessibili. Un fenomeno sempre più evidente e rilevato da più parti, alimentato dalla retorica di “Milano a place to be” che ha spinto l’offerta di alloggi per uso turistico e, soprattutto, di immobili di lusso, nuovi o “storici”, per un mercato per ricchi che non conosce crisi.
Questo fenomeno viene certificato anche dai dati degli osservatori del mercato immobiliare, per cui negli ultimi anni a Milano stiamo assistendo ad una crescita enorme (si parla di qualche migliaio di abitanti) di nuovi ricchi residenti provenienti un po’ da tutto il mondo, disposti a investire cifre a 6 zeri per garantirsi una casa a Milano. A favorire questo fenomeno sono le politiche fiscali italiane che garantiscono una “flat tax” minimale sui redditi prodotti all’estero per chi trasferisce qui la propria residenza fiscale. Oltre all’assenza di una imposta patrimoniale tale da incentivare gli investimenti produttivi anziché la parassitaria rendita fondiaria. Imposta che certo non può essere l’IMU, per sua natura quantitativamente risibile agli occhi dei grandi proprietari.
Milano è in prima fila nell’attrarre questi nuovi abitanti, proprio in virtù di una crescita esponenziale di immobili di pregio e dai prezzi inarrivabili. Non solo Citylife o Porta Nuova, ma un po’ in tutta la città le nuove edificazioni puntano a un target di acquirenti sempre più elevato. Chiaro che queste dinamiche alimentano una spirale di aumento generalizzato dei costi delle case. Non solo, cambiano pure la composizione sociale della città. Perché attrarre nuovi abitanti dalle alte possibilità di spesa genera un effetto domino su tutti i prezzi del vivere a Milano, rendendola insostenibile ed escludente per sempre più persone, con stipendi e salari normali che non beneficiano degli stessi aumenti.
Altra conseguenza è il degrado a livello di diritti, in termini di reddito ed in termini di sicurezza sul lavoro, del comparto edilizio: un comparto che dovrebbe trovare giovamento per via dei volumi imponenti a livello finanziario disposti in città ma che vede all’ordine del giorno un esercito di lavoratori precari, sfruttati e malpagati. I 4 lavoratori sulla gru del 12 dicembre han fatto ben poca breccia all’interno del dibattito cittadino ma sono più che un esempio del degrado nel settore: impiegati nei lavori di rifacimento di un palazzo che costeggia la Galleria Vittorio Emanuele, di proprietà Coima, non pagati da mesi e costretti al gesto estremo per essere solo e semplicemente ascoltati. Un esercito di lavoratori che si vuole silenziare mentre gli affari procedono a gonfie vele. Sulla pelle di chi realmente costruisce.
Un tempo si diceva “Milan col coeur in man” a significarne generosità e inclusività, oggi andrebbe aggiunta anche la postilla “se te gh’è el portafoi pien”.