Il Parlamento si appresta ad approvare il cosiddetto decreto “Salva-Milano”, passato alla Camera anche con i voti del PD. La deputata e segretaria Dem lombarda Silvia Roggiani ha affermato che “con la procedura semplificata Milano ha attratto investimenti” e che “l’unico dato reale è che con il blocco dei cantieri abbiamo avuto minori introiti da 140 milioni”. Chiedendosi, affermando che il 46% del totale investimenti immobiliari in Italia si sia concentrato su Milano grazie alle politiche Pisapia-Sala: “cosa sarebbe successo senza le nostre giunte che hanno portato la città ad essere davvero europea?”
Il Foglio, casualmente di proprietà di una holding attiva anche nel settore immobiliare, ha parlato di una “guerra culturale, economica e politica sulla casa”, portata avanti da élite accademiche e professionali in alleanza con studenti e comitati di abitanti, contro il nuovo modello di città in grado di svilupparsi, garantendo abitazioni convenzionate e housing sociale, grazie agli introiti derivati dal nuovo corso immobiliare post-Expo, di cui primo beneficiario sarebbe stato proprio il ceto medio.
Il “compromesso” (o meglio: la convergenza) tra democratici e destra è culturale, oltre che politico-amministrativo: dietro la propaganda sulla casa di proprietà e la presunta alta qualità di vita, si nasconde la realtà degli oneri di urbanizzazione più bassi d’Europa e di una metropoli data in pasto a operatori privati e fondi di investimento. Mentre il concetto di “legge di interpretazione autentica” (secondo cui il Comune ha solo interpretato in maniera più “smart” le leggi sull’urbanistica) rivela la permanente flessibilità a senso unico verso l’alto nella applicazione delle norme.
Al di là dell’azione delle procure, contro cui si rivolge il decreto, vi è la realtà di una città considerata un insieme di merci: la possibilità concessa di trattare singoli interventi come a sé stanti e slegati dal contesto sociale, superando ogni principio di controllo, trasparenza e pianificazione (tramite la semplice SCIA si possono stravolgere edifici e area circostante), ha reso Milano una sorta di “supermercato dei volumi edificatori” (con tutte le conseguenze anche sul piano del consumo di suolo)
Ribaltiamo la domanda di Roggiani: quanti dei 450mila abitanti che hanno lasciato Milano lo avrebbero fatto senza la resa della città pubblica? La crisi del personale nei settori infermieristico e dei trasporti pubblici ci sarebbe stata lo stesso? Quant* lavorator* a basso reddito non sarebbero stat* espuls* dai confini comunali? Cosa sono 140 mln “persi” per il blocco dei cantieri a fronte di 1.5 mld cui il Comune ha rinunciato per rendere il mercato meneghino attraente per i capitali? E se invece di housing e nuove case di lusso, si fossero recuperati i quasi 10mila appartamenti popolari vuoti e ristrutturati quelli in uso, se si fosse imposto un reale tetto ad affitti e contrastata (non regolamentata) la turistificazione?
É vero, c’è una guerra sulla casa: la stanno vincendo i ricchi, in alleanza con piccoli e medi proprietari convinti di poter godere della spinta propulsiva dei grandi fondi di investimento, senza vedere lo spostamento di reddito verso l’alto subìto anche da loro. La giustizia sociale non si basa però sulla crescita incontrollata e senza criteri, ma sulla redistribuzione e la garanzia di accesso universale. E la giustizia sociale, per chi si era illuso, non si ottiene nelle aule dei tribunali.