La città e i movimenti. Globalizzazione e il diritto alla città, in poche parole

Come si è arrivati alla finanziarizzazione della città? Quali le spinte globali e quali le scelte della politica che hanno determinato le linee di sviluppo della città dalla fine del secolo scorso? In questa seconda puntata cerchiamo brevemente di dare risposta a questi quesiti.

Leggi la prima puntata: https://www.offtopiclab.org/la-citta-e-i-movimenti-per-riprendere-una-parola-critica-e-di-lotta-su-milano/

SECONDA PUNTATA: UNO SGUARDO ALLE ORIGIN

Non è nostra intenzione sviluppare un saggio analitico sulle vicende storiche ed economiche degli ultimi 40 anni che hanno determinato lo scenario globale in cui viviamo e generato le dinamiche che hanno avuto, e hanno tuttora, impatto e conseguenza sul Diritto alla Città; potremmo semplicemente sintetizzare in una battuta, “e’ il capitalismo, baby”, ma sarebbe riduttivo. Cerchiamo perciò in maniera sintetica e, di conseguenza, necessariamente superficiale e magari con qualche “salto quantico”, di provare a ricostruire quanto accaduto.

Il punto di passaggio, dopo le grandi crisi di sistema degli anni ‘70, avviene con l’ascesa della dottrina neoliberista e del primato della finanza sull’economia reale a inizio anni ‘80, a sancire il passaggio da un modello taylorista di produzione a una nuova fase sempre più attenta a massimizzare i profitti, liberando il sistema capitalistico di tutta una serie di condizionamenti, vincoli, regole che nei decenni precedenti le lotte sociali avevano imposto come argini alla voracità di imprese, banche, classi più ricche. Reagan, Margaret Thatcher, i Chicago Boys, il Fondo Monetario Internazionale, sono stati i riferimenti ideologici e i bracci operativi che hanno imposto riforme strutturali ai vari Paesi, con l’obiettivo di abbattere i rischi di crisi finanziarie e dare stabilità ai profitti e alle rendite finanziarie. Si avviò così un processo di accumulazione, concentrazione della ricchezza e di globalizzazione delle dinamiche finanziarie hanno portato a destabilizzare l’equilibrio economia-politica a danno di quest’ultima con conseguente ridisegno dei modelli di governance, delle Istituzioni, comprese quelle sovranazionali, e del loro funzionamento con l’obiettivo di garantire in qualsiasi condizione la massima crescita dell’economia, la stabilità dei mercati finanziari e di portare avanti politiche economiche che abbiano i mercati finanziari come riferimento, agendo sul piano dei tagli alla spesa pubblica e ai sistemi di welfare e previdenziali per garantire il minimo indebitamento degli Stati e aumentare al contempo la quantità di denaro che affluiva ai mercati finanziari. Una redistribuzione della ricchezza al contrario che in poco più di 40 anni ha sottratto redditi e patrimoni alle classi medie e popolari a vantaggio dei percentili più ricchi della popolazione. Così si è alimentato a dismisura il meccanismo delle rendite finanziarie, peraltro fiscalmente più convenienti che i redditi da lavoro, professione o attività imprenditoriale e, quantomeno nel nostro Paese, intoccabili nel sentiment collettivo con provvedimenti di natura patrimoniale o fiscale, a maggior ragione se poi sfociano in investimenti immobiliari, anche in fasce della popolazione che ne sarebbero totalmente esenti.

Spesa previdenziale e welfare “privatizzati” con i tagli allo stato sociale e a carico delle singole persone, concentrazione della ricchezza e crescita delle rendite speculative hanno generato uno sviluppo esponenziale dei mercati finanziari, per volumi e peso nelle scelte globali, e di fondi d’investimento, fondi pensione e fondi immobiliari sempre più grossi e potenti, così come le Società di Gestione del Risparmio (SGR) che li controllano e gestiscono, in grado di condizionare le economie di Paesi anche come il nostro, determinandone priorità economiche e scelte in materia fiscale e finanziaria. Negli anni gli istituti finanziari sovranazionali, quali il Fondo Monetario e la Banca Mondiale, hanno agevolato questi processi, imponendo ai Governi politiche tese a ridurre indebitamento e spesa pubblica al fine, dal loro punto di vista, di rendere stabili le economie dei singoli Stati. Questi meccanismi, oltre a generare un inevitabile impoverimento e crescenti diseguaglianze sociali, hanno fatto sì che il volume complessivo degli strumenti finanziari gestiti da Fondi e SGR aumentasse a dismisura e ben oltre il valore dell’economia reale (fino a 5 volte il PIL complessivo del Pianeta). Un processo sempre più profondo e tuttora in corso di concentrazione delle attività finanziarie, immobiliari e assicurative in capo ai medesimi soggetti che agiscono sul piano globale, e che ha spazzato via, in Italia sicuramente, gran parte dei vecchi costruttori che hanno caratterizzato il mondo immobiliare e le speculazioni da dopo la Seconda Guerra Mondiale fino all’inizio di questo secolo.

Una massa di denaro simile necessitava di nuovi sbocchi per l’investimento, che la globalizzazione delle economie mondiali, in fase espansiva di pari passo con lo sviluppo e il diffondersi della rivoluzione digitale, non bastava a soddisfare. In questo contesto le metropoli, quelle dei Paesi più ricchi e sviluppati e che già erano poli di attrazione per persone e capitali, assumono un nuovo ruolo, ossia quello di diventare centri di profitto ed estrazione di valore e di accumulo di rendite finanziarie per il semplice fatto di essere delle grandi città, di avere una popolazione che vive, si muove, consuma e, soprattutto, di avere un asset da mettere al centro dei meccanismi della finanza speculativa: le case. Lo sviluppo immobiliare cessa così di essere funzionale al dare risposte ai bisogni abitativi di chi vive un determinato territorio, ma diventa una variabile indipendente: si costruisce nelle metropoli globali perché le loro caratteristiche di snodi per flussi di persone, merci e capitali, è garanzia di profittabilità dell’investimento e di poter mettere a bilancio “proprietà” che generano e alimentano meccanismi di rendita. Non si costruisce necessariamente per vendere, ma per poter dire che si è proprietari laddove le rendite generano maggiori margini di guadagno, in “città che valgono”. 

Per chiudere con questo “sguardo alle origini” occorre citare in breve come queste dinamiche globali sono state tradotte e calate sul piano nazionale, con l’ovvio e necessario corollario ideologico e di narrazione positiva (la famosa “fine della storia” post crollo del Muro di Berlino e fine dell’URSS o il “There Is No Alternative” di tatcheriana memoria), con conseguenze anche a livello locale. Non riassumeremo certo 40 anni di manovre economiche, via via sempre più ispirate e poi imposte dall’integrazione europea e dalle regole di austerity imposte all’Italia, stante l’enorme indebitamento pubblico (un mostro terribile nella dottrina neoliberista vigente), concertate da tutto l’agone politico e con il consenso spesso dei sindacati confederali. Scelte economiche ovviamente attente più ai mercati finanziari che ai bisogni del Paese e della popolazione, per soddisfare di volta in volta, parametri di Maastricht, patti di stabilità, regole del FMI. Le conseguenze, quelle già sopra citate, tagli del welfare e dei sistemi previdenziali, tagli alla spesa pubblica (tranne a quella militare e per la sicurezza sempre cresciute negli anni) che non porta benefici al sistema finanziario (scuola, tutela ambientale, cultura, per fare degli esempi), tagli ai fondi disponibili per gli Enti Locali, privatizzazioni e svendite del patrimonio demaniale. Scelte ripetute in maniera analoga da Comuni e Regioni causa i suddetti tagli, che hanno iniziato a smantellare e privatizzare i propri servizi e, per quel che ci interessa, a mettere sul mercato edifici e il patrimonio abitativo pubblico e popolare, rinunciando, contestualmente, con la scusa dell’assenza di risorse, ad agire attivamente un ruolo pubblico nelle politiche abitative, rispondendo in primis e direttamente alla domanda di casa da parte delle fasce di popolazione esclusa dal mercato degli affitti, anche quelli di tipo cooperativo o in housing sociale.

Come dicevamo, però, i diktat dei mercati comportavano anche interventi sul piano normativo per agevolare il più possibile “il libero mercato e gli investimenti”, ovvero per modificare a fondo l’impianto degli strumenti vari di Welfare, nazionali o locali, e rimuovere o quasi ogni possibile vincolo che potesse intralciare l’iniziativa privata, fino a sancire come dogma costituzionale il principio di sussidiarietà, ossia tradotto che lo Stato lasci fare al mercato e ai privati anche per quei servizi o quegli ambiti di intervento, anche strategici, da sempre gestiti direttamente o con aziende ed enti ad hoc dagli apparati pubblici (per es. trasporti, energia, sanità, formazione scolastica, assistenza sociale, case). Dal punto di vista formale, la riforma del Titolo V della Costituzione da un lato ha portato a nuovi poteri e compiti agli Enti Locali, dall’altro e rispetto alle politiche urbane e del territorio, ferma la legge urbanistica nazionale, ha aumentato il peso delle Regioni ma in una quadro di passaggio dalla logica e dai vincoli della pianificazione propri dei Piani Regolatori, a quello di governo del territorio, che è insita nei Piani di Governo del Territorio (PGT) e che ha sancito anche a livello urbanistico il principio di sussidiarietà e il superamento della priorità dell’interesse pubblico collettivo e un nuovo ruolo delle Amministrazioni Comunali come semplici “regolatori” di interessi privati e di diritti edificatori.

Nella prossima puntata affronteremo il “modello Milano”, come sì è sviluppato negli anni, quali sono i tratti salienti della città con “più weeks che settimane” e quali sono i principali attori