“Non c’è niente di certo al mondo tranne la morte e le tasse”

Il valzer dei dati su contagi da CoVid-19 e tamponi continua ad essere oggetto di discussione giornaliero, ma su quelle cifre sono ormai chiare alcune cose:

  1. Sono dati parziali
  2. Dipendono direttamente dalle strategie attuate dalle diverse regioni
  3. Non danno voce al reale impatto sulla popolazione
  4. La scarsa cultura sul dato da parte dei politici non aiuta a comprendere il fenomeno
  5. La comunicazione del dato è a tutti gli effetti un oggetto politico

C’è tuttavia un dato certo, il più crudo, che racconta meglio di altri il pesante lascito della #fase1: il numero dei decessi. A Milano, secondo l’ISTAT, se prendiamo in considerazione i dati dal 20 Febbraio (primo contagio ufficiale italiano) al 15 Aprile ci sono stati 3464 decessi totali (non solo CoVid19). Nello stesso periodo tra il 2015 e il 2019 la media era stata di 2227. Un aumento di 1237 decessi ovvero il 55% in più. Il picco è stato a Marzo e considerando che i dati di Aprile sono ancora parziali la situazione apparirà sicuramente anche peggiore quando potremo guardarla nella sua interezza.

La particolarità di questo dato è che, seppur non individuando il numero di decessi esclusivo per CoVid-19, rende l’idea della portata del fenomeno. Inoltre è un dato che era a disposizione di tutti i livelli amministrativi, anche della giunta Comunale di Beppe Sala.

Decessi cumulativi su Milano città

Nelle settimane tra la istituzione della zona rossa di Codogno e quelle dell’effettivo lockdown regionale (e nazionale), periodo potenzialmente decisivo per rallentare la propagazione del contagio, il Sindaco lanciava la tristemente popolare campagna #MilanoNonSiFerma, d’accordo con ConfCommercio. Non appagato, una settimana dopo replica il messaggio in inglese Milan does not stop sul suo canale Youtube. Ricordiamo che i Sindaci hanno il potere e la possibilità di creare zone rosse e limitazioni, come ci hanno insegnato questi due mesi e mezzo di caos legislativo e frammentazione normativa relativa alle autonomie concesse alle amministrazioni locali nella governance dell’emergenza epidemiologica.

Quasi parallelamente a Bergamo, il 28 febbraio la Confindustria locale lanciava la campagna #bergamoisrunning spinta da Giacomo Biraghi, ex spin-doctor di Expo2015 e attuale responsabile dell’innovazione di Confindustria Bergamo. I risultati qui sono stati ancora più devastanti specialmente i Comuni di Alzano Lombarda e Nembro cha hanno pagato con un alto numero di morti la decisione delle Istituzioni di non attivare una zona rossa.

Tornando a Milano, il disastro era ormai compiuto: tra rimpalli di responsabilità, immobilismo della Giunta e pressioni dal mondo dell’industria, 2 giorni dopo il lockdown nazionale, e 23 giorni dopo il primo contagio italiano, la forbice tra la media precedente dei decessi e quelli del 2020 comincia ad aumentare velocemente. Tra incubazione e decesso per CoVid-19 intercorrono mediamente 22 giorni: 11 giorni di incubazione (fonte Ministero della Salute) e altri 11 giorni tra i primi sintomi e il decesso (fonte ISS) e da qui capiamo che quei 23 giorni (vedi grafico dal 20 Febbraio al 14 Marzo) erano estremamente importanti e che si doveva fare di più che lanciare #milanoNonSiFerma

Infatti il 23 Marzo Beppe Sala è costretto a scusarsi per la sua campagna social. Il 2 di Aprile il crematorio di Lambrate deve chiudere per il numero troppo elevato di salme. La settimana successiva il Sindaco si lamenta con la Regione Lombardia perché non sono chiari i numeri di contagi su Milano, non ha idea dell’impatto di CoVid-19 e non sa come comportarsi…però i dati sui decessi totali (e quindi confrontabili con la media degli anni passati) erano sempre stati a sua disposizione dato che sono gestiti dall’anagrafe locale. Avrebbe addirittura potuto pubblicare questi dati a cadenza regolare tramite il portale open data del Comune invece di aspettare che lo facesse l’ISTAT, in ritardo ed aggiornati solamente al 15 Aprile. Inoltre, anche se non gestiti direttamente del Comune,  i dati sui decessi CoVid-19 erano reperibili dalle ATS locali infatti molti comuni della Città Metropolitana li pubblicavano tramite loro siti istituzionali.

Gli sforzi maggiori del Comune si focalizzano, insieme alla Prefettura, sui controlli degli individui cercando di spostare le responsabilità sui comportamenti individuali e scorretti della popolazione invece di cercarla nella organizzazione produttiva e nella governance politica. Ma il gioco non funziona: al 12 Aprile, su 20.366 controlli solo 3.2% si trasformano in sanzioni. Ma la caccia al nemico pubblico continua: dopo i runner si passa ai dj di via Nino Bixio fino ad arrivare oggi alla Movida.

Per quanto riguarda invece gli ambiti dove effettivamente CoVid-19 si è trasmesso maggiormente (RSA, luoghi di lavoro, ospedali – secondo la ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità) l’impegno e minimo o assente. Nella provincia di Milano i controlli sulle aziende nella sono stati solamente 228, mezzo milione di persone sono state costrette a recarsi sul luogo di lavoro per attività non essenziali mentre la Prefettura accettava in buon numero le autocertificazioni delle aziende per rimanere aperte. La continuità lavorativa non ha mai fermato uno dei principali veicoli del contagio, ovvero la mobilità e gli assembramenti da lavoro.

Nel mentre migliaia di persone con sintomi erano costrette a cercare di curarsi in solitudine a casa e il personale medico restava ad alto rischio contagio. Ciò rendeva necessario l’auto-isolamento dai familiari e conviventi, molto spesso impossibile nella stessa abitazione in particolare per quelle fasce sociali dove la situazione abitativa è fatta di sovraffolamento in pochi metri quadri. Infermieri, medici e singoli cittadini hanno dovuto provvedere di tasca loro a trovarsi un alloggio separato. Anche in questo ambito la politica della Giunta è stata timida e non è riuscita ad andare oltre all’espropriazione di un solo albergo, mentre la stessa strategia poteva essere adottata per migliaia di immobili sfitti presenti sul territorio comunale. Invece l’iniziativa è stata lasciata ai singoli proprietari con risultati intangibili. Il messaggio per tutti è stato: arrangiatevi, rinunciando de facto al ruolo di regolatore e mediatore della vita sociale proprio dell’amministratore locale.

Lo stanziamento e la raccolta fondi per supportare persone e contesti in difficoltà è stata fondamentale ma il Sindaco si è dichiarato apertamente contrario alla (timida) soluzione patrimoniale (in parole povere tassare chi ha tanti soldi) proposta dal suo stesso partito di affinità, ribadendo che l’unica via era quella della beneficenza volontaria da parte dei ceti abbienti, andando di fatto a privarsi di una potenziale ingente quantità di risorse che sarebbe andata a sommarsi al Fondo di mutuo soccorso. La sudditanza – politica e culturale – verso la classe abbiente (di cui egli stesso fa parte) e una discutibile politica sulla distribuzione dei buoni spesa (escludendo occupanti e senza fissa dimora, quindi le fasce più marginali e consistenti sacche di povertà) ha reso necessario altre forme di solidarietà nella città per la distribuzione di cibo e altri generi di prima necessità, bisogno coperto dall’esperienza delle Brigate Volontarie per l’Emergenza e dalla vasta, eterogenea rete di mutuo soccorso attivatasi in tutti i Municipi del Comune.

Eccesso decessi comuni prima e seconda fascia

Ma la voglia di tornare alla normalità, il “lavoro come credo” (forse quello degli altri) e l’isteria del “ritorno a La-vo-ra-re” del Sindaco era troppo forte. Riattivare i flussi lavorativi di persone in ingresso alla città era necessario. Non possiamo non evidenziare come nei Comuni di prima e seconda fascia della Città Metropolitana l’impatto di Covid-19 è stato anche peggiore di quello su Milano città, con punte di eccesso di decessi del 376% nel Comune di Mediglia. Ci chiediamo quindi quali misure aggiuntive dal punto di vista sanitario e sicurezza sul lavoro sono state applicate per garantire la salute della popolazione all’interno di un contesto geografico così fortemente colpito e a rischio ricaduta.

È evidente come il reale impatto di CoVid-19 è ben più ampio di quello riportato a livello ufficiale. La Regione Lombardia al 14 Aprile parlava di 6058 contagi nella città di Milano, qualche giorno fa uno studio di ATS Milano però ha evidenziato come ci sia un sommerso stimabile di almeno 10.000 casi, rappresentato da persone in isolamento volontario e cura autonoma domiciliare, mai registrati e quindi senza accesso a tamponi o cure mediche.Come già segnalavamo in un nostro approfondimento del 22 aprile scorso, da una ricerca ISPI l’indice di mortalità plausibile di CoVid-19 in Italia è mediamente del 1.15%, ovvero 1.15 decessi ogni 100 contagi. I dati ISTAT ci dicono che nella Città Metropolitana il 58% dei decessi in eccesso tra il 20 Febbraio e il 31 Marzo è imputabile a CoVid-19, ma è molto probabile che ci sia (stata) una buona percentuale di sommerso come indicato da una recente ricerca dell’INPS.

Contrariamente ad altri periodi e contesti emergenziali, lo stato d’eccezione vissuto in questi mesi non ha fondato un centralismo normativo e penale imposto in modo omogeneo dall’alto e con forza dal governo nazionale; al contrario ha prodotto una frammentazione normativa che, nei limiti di alcune misure di massima, ha però lasciato molta autonomia a enti locali e prefetture su come gestire l’emergenza – e in particolare il nodo centrale della interruzione/continuità lavorativa. A fronte del disastro amministrativo lombardo anche la “locomotiva d’italia” non si è contraddistinta per l’eccellenza che spesso decanta. 

Diciamo questo per riportare l’attenzione anche rispetto al tema degli strumenti amministrativi che il Comune di Milano e la Città Metropolitana avrebbero potuto utilizzare per attuare una gestione diversa dell’emergenza. Perché se è vero che la Sanità è di competenza della Regione, tuttavia:

  • non concentrarsi sui presunti comportamenti individuali come principale causa del contagio;
  • Imporre una seria verifica delle attività in continuità produttiva per limitare la mobilità lavorativa non essenziale;
  • Attuare lo strumento dell’esproprio di abitazioni e immobili vuoti per potenziare la rete della quarantena domiciliare monitorata, accogliere i senza fissa dimora, aprire più presidi medici territoriali d’urgenza;
  • Non dare eco alle forme più classiste della solidarietà sociale e agli appetiti di profitto del mondo confindustriale, a scapito della salute pubblica;
  • Attuare un piano sulla mobilità innovativo su tutta l’area Metropolitana e non nascondersi dietro 35km di piste ciclabili temporanee pronte a Dicembre e sospensione Area B, C e ZTL;
  • Condividere le informazioni per tempo riguardo i decessi e avviare uno studio capillare che fotografasse la quantità di sommerso presente nell’area metropolitana.

Saremo pretestuosi, ma crediamo che sia il momento giusto per fare i conti non solo con il modello lombardo leghista-ciellino ma anche con quello escludente e profondamente diseguale del modello Milano.