Non è stata una sfilata, né una passeggiata: è stato un corteo compatto, duro e deciso, in cui il corpo militante si è felicemente sciolto nella grande varietà ed eterogeneità dei percorsi e delle lotte presenti in piazza. La due giorni di mobilitazione nazionale non è stata una testimonianza, ma una precisa dichiarazione di protesta e di rappresentanza: precari, disoccupati, immigrati, comitati e movimenti per la casa e di difesa territoriale (No Tav, No Muos, No Expo e le sigle minori); il sindacalismo di base e parte di quel mondo del lavoro operaio tradito dai confederali (in prima fila, l’Ilva).
50, 80 o 100 mila in piazza sabato, importa fino ad un certo punto (sebbene i numeri abbiano ampiamente superato le previsioni più ottimistiche della vigilia): i percorsi presenti che hanno gridato la propria rabbia e la propria storia, incontrandosi e rimanendo compatti cordone dopo cordone, anche nei momenti di maggiore tensione, a significato della propria volontà di organizzazione, non erano riconducibili alla sola galassia dell’antagonismo e dei centri sociali: erano una parte attiva, ma estesa, di popolazione che ha accettato di raccogliersi su parole d’ordine radicali e di sfidare il terrorismo mediatico e politico dei giorni precedenti.
Raramente siamo riusciti come sabato a rovesciare in meglio le aspettative: compattezza, rabbia, radicalità e intelligenza sono riusciti a garantire una visibilità ed una vittoria politica, come i movimenti sociali non ne vedevano da tempo. Il processo non si è concluso, ma in questi giorni successivi le dichiarazioni e la gestione delle conseguenze della data romana stanno mostrando una volontà di tornare ad avere un peso politico. Per la prima volta si è riusciti anche ad interrompere il meccanismo di criminalizzazione e a zittire l’assurda e falsa divisione in buoni e cattivi: la compattezza del corteo, proprio nei momenti di tensione, e al tempo stesso l’intelligenza di non perdere il controllo e far degenerare la situazione (in un contesto di chiaro svantaggio), sono state a tutela di chi si esponeva e di chi a sua volta tutelava non scappando. Del corteo stesso nella sua totalità. Certo, restano una serie di criticità su cui riflettere e che occorre affrontare: come organizzare e dare continuità all’eterogenea composizione dei percorsi e delle lotte che si sono ritrovati a Roma; come evitare la retorica paternalista di forze politiche e istituzioni, pronte a neutralizzare il peso e il contenuto politico del movimento di Roma attraverso piccole concessioni e finte comprensioni; quindi, come portare avanti contenuti e progetti, di una visione complessiva dell’emergenza sociale che stiamo vivendo in Italia e in Europa.
Dopo l’incontro con il ministro Lupi e la giornata di protesta contro gli sfratti (con risultati parzialmente ottenuti), ci saranno altre occasioni di incontro e di discussione: il meeting euromediterraneo Agorà99 a Roma e, molto probabilmente, l’appuntamento nazionale in Val di Susa il prossimo 16 novembre. Siamo riusciti a ottenere un buon risultato: non sbagliamo i prossimi passi e, soprattutto, torniamo ad affrontare criticità e problemi comuni. L’errore (voluto o meno) più grosso che si sta facendo nel commentare il movimento di Roma è quello di attribuirgli una rappresentanza sociale e non politica, riducendolo a mera testimonianza e “sfilata delle sfighe” in cerca di qualcuno nelle alte sfere che sia disposto ad ascoltare: questo è stato un corteo composto da moltissime sigle, realtà, soggetti e percorsi politici, con una sua autonomia. La domanda è: riuscirà a mantenerla, costruendo una proprio piattaforma?
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