Al tempo della lotta #nocanal, quando l’expo-canale noto come “via d’acqua” rischiava di devastare quattro parchi della città, avevate ragione…ma oggi perché siete contro l’apertura dei navigli? Questo non si capisce.
Da più parti, nessuno si sente personalmente chiamato in causa, ci è giunta voce di un bisogno di chiarimento sul lancio di #battaglianaviglia, il gioco con cui abbiamo aperto la campagna di contrasto al non-referendum del sindaco Sala (vedi l’evento del primo torneo!). Con questo contributo proviamo a rispondere alle domande che ciascuno di noi ha collezionato in queste settimane.
Perché siete contrari all’apertura dei navigli?
Semplice: non siamo contrari. Il battage “pubblicitario” con cui la giunta milanese (con la compiacenza di Corriere e Repubblica) ha presentato alla città la “riapertura” è una campagna rendering-based. In parole povere la presentazione del progetto è stata interamente sostituita dall’esibizione del suo immaginario: Milano città d’acqua, Milano memoria e futuro, Milano assai più bella…
Il primo fraintendimento è presto chiarito: non conosciamo (quasi) nessuno contrario “di principio” alla riapertura dei Navigli, così come non conosciamo (quasi) nessuno che si sia espresso sul merito di un progetto e delle sue caratteristiche che, per la cronaca, non parla mai al plurale di “navigli” ma del solo Naviglio Martesana.
Bene ma perché la riapertura di un solo naviglio non dovrebbe essere meglio di nulla?
Questo è un quesito più intrigante. In linea di principio a chi dice “uno è meglio di nessuno” saremmo portati a rispondere che “il meglio è nemico del bene”. Non è scritto da nessuna parte che questo progetto abbia le carte in regola per spalancare le porte ad una riapertura “per tappe” dei navigli di Milano, è piuttosto vero il contrario: un progetto costosissimo, privo di una visione strategica, rischia di aprire e chiudere con i suoi cantieri anche l’idea di un intervento più organico.
E questo chi lo dice?
Anzitutto la tempistica: il progetto “Martesana” si può fare oggi perché la compresenza dei cantieri della M4 permette all’amministrazione comunale di prendere due piccioni con una fava. Chiusa la finestra temporale dei suoi scavi, risulta difficile immaginare un progetto a lungo termine (che non c’è) basato su risorse (che non ci sono) ben più impattanti sulle casse pubbliche. In seconda battuta, ma questo è forse il nostro punto di maggior interesse, perché il progetto non si accompagna con un Piano del traffico urbano. In definitiva questo progetto mette la parola fine al sogno dei navigli aperti, piuttosto che avvicinarlo.
Che c’entra adesso il Piano del traffico urbano? Non possiamo affrontare un tema per volta?
No, non possiamo e anche questa volta per almeno due motivi. Per cominciare Milano ne ha un bisogno impellente. Perché? Perché il primo sintomo della sottrazione del governo cittadino alla sua funzione è il suo farsi mero regolatore di interessi privati. Oggi Milano e la sua mobilità mutano al ritmo di interessi esogeni (attori della gig economy, posizionamento sul mercato di ATM, spending review sulle periferie, grandi eventi e grandi poli di trasformazione…) piuttosto di scommettere su politiche pubbliche orientate ai bisogni dei suoi abitanti.
Senza Piano del traffico non c’è liberazione della città dalle automobili. Senza un modello di mobilità dolce (basato su ciclabilità, pedonalizzazione e tpl; non sulla sharing economy a combustibili fossili) non c’è blocco del traffico che tenga per abbattere il PM10, né avanzamento in direzione di una città pubblica, vivibile e conviviale. Ecco perché questa riapertura è un’occasione persa: non anticipa la città che sarà ma sfrutta l’immagine sbiadita dell’urbe che non c’è più. Il nuovo naviglio non toglie una sola automobile né prevede piste ciclabili, congestiona il traffico in centro senza espellere le auto dal nostro spazio-tempo di vita urbano.
Va beh, un po’ ideologico ma ci sta. Adesso però siamo realisti: perlomeno sarà come oggi ma più bella. Pensa attraversare Milano come fosse Venezia, in barca!
Tombinamenti e sifoni saranno oltre 20: ven – ti. Devi immaginare una sequenza di strette pozze, piuttosto che un gran canale navigabile. Poi passiamo alle sezioni “ufficiali” del progetto, insomma i disegnini che ti “spiegno bene” come funziona: le imbarcazioni per turisti (si, perché saranno solo in centro) si trovano nel cuore del pozzo, almeno un metro sotto la linea di passeggio. Dal punto d’osservazione dei nostri traghettatori non si vede la città viva ma un triangolo di cielo, qualche cima di albero e palazzi, poco di più. Fuori dalla conca non c’è una sola immagine di biciclette mentre agli autosauri è garantito lo spazio di sempre, al netto di incroci sempre più lenti e difficili per via dell’invaso.
Ammetterete però che 360 milioni di euro, per quanto importanti, non sono sta cifra pazzesca..insomma il cambiamento sarebbe forte a quel prezzo.
I milioni previsti sono 500, è su questa cifra che dobbiamo ragionare. Poi dobbiamo moltiplicare per due (o fateci un esempio di opera pubblica di queste proporzioni che non sia almeno raddoppiata nel costo, a dispetto delle previsioni iniziali). A questo punto possiamo sottrarre i 140 milioni che distanziano le prime due cifre, solo che questo non è un vantaggio per le finanze comunali ma un’ennesima beffa.
Non più di quarant’anni fa il Bosco di Gioia fu donato a Milano da un suo abitante facoltoso, con la sola clausola che sarebbe rimasto verde e pubblico. Il gigantismo, più architettonico che politico del “celeste” Formigoni, portò al suo indegno abbattimento per fare spazio alla nuova faraonica sede di Regione Lombardia. La piazza di Gioia, tra i giacimenti di amianto di proprietà comunale e la stesse sede della Regione, è oggi un orribile parcheggio.
Ti fermo subito, stiamo cambiando nuovamente discorso.
Errore. La piazza di Gioia la possiamo immaginare ospitare un nuovo polmone verde, oppure donata (come tutta la fetta di città circostante a Catella, leggi Hines) per costruire l’ennesimo, inutile, fallico, grattacielo. Perché ne parliamo? Perché, non si capisce con quale pezza giustificativa, il Comune vorrebbe usare gli oneri di questa grande opera(zione) immobiliare (ma non solo) per costruire il tesoretto di cui alla voce 140 milioni. Insomma un’ennesima concessione al mattone in area di pura rendita, laddove ci sarebbe invece bisogno di un più coerente intervento verde pubblico. Anche da un punto di vista di priorità (l’abitare su tutte) ci sono forse iniziative che rivendicano una certa urgenza prima dell’abbellimento del solo centro a uso turistico (su questo si veda l’approfondimento di #scandaglio).
MMh ok. Almeno però se ne parla da un tot e ci sarà un referendum, così che la città si esprima in maniera democratica ed inequivocabile.
Se qualcuno conoscesse il progetto, e non è il nostro caso, avresti ragione. Con un però: il referendum non ci sarà. Promesso, garantito, evocato a più riprese negli ultimi due anni e mezzo, sarà sostituito da un non meglio specificato Débat public. Un po’ come la via d’acqua fu presentata in uno spettacolo al teatro Dal Verme con tanto di artisti e performer, e poi data per fatta tra gli applausi dello scintillante show. Quella volta non andò bene, noi scommettiamo sul fatto che anche oggi il modello di governance basata su NON trasparenza, NON chiarezza, NON democrazia della decisione si possa nuovamente sbriciolare.
Eddai, sarà mica una vicenda così prioritaria di tanti problemi che ci sono.
Ce ne sono tanti e diversamente sintomatici dello stato di salute della città, a ciascuna comunità e a ciascuna/o di noi fare un pezzetto dal punto di pressione in cui si sente in grado di agire. Nel nostro piccolo abbiamo mantenuto uno sguardo d’attenzione su quelle vertenze capaci di unire la vocazione “intersezionale” (come si suol dire oggi) ai luoghi vissuti del tessuto urbano.
La difesa della Piazza d’armi e del suo verde spontaneo, la tutela del Trotto, la battaglia sugli scali ferroviari non sono che alcuni esempi dei fronti che ci hanno visto impegnati in questi mesi a segnalare le minacce incombenti e fortificare genuini conflitti, a decostruire la città che incede e coltivare comunità resistenti e creative. Non è che un ultimo invito a toccare con mano la crepa che si apre nel muro.
Ammettiamo per ipotesi che le cose stiano come dici…perché farne un gioco prima ancora di un comitato di lotta?
L’appuntamento è per domenica 14 gennaio, alle 15, a Piano Terra. Il “primo torneo” di #BattagliaNaviglia potrebbe essere l’occasione per capirlo e sondare insieme nuove vie..
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